In Italia i ticket non sono più uno strumento di razionalizzazione della domanda, ma servono per finanziare la spesa sanitaria. In più sono decisi dalle singole regioni, creando una grave disparità di accesso al servizio sanitario nazionale.

La storia dei ticket

Negli ultimi due decenni, la compartecipazione per l’assistenza sanitaria (il ticket) è diventata uno degli strumenti per il finanziamento della spesa pubblica in Italia. Il fenomeno ha provocato un continuo aumento dei costi privati nella sanità pubblica, con una forte eterogeneità tra regioni. Il risultato è una pervasiva disuguaglianza territoriale di accesso al sistema sanitario nazionale, dovuta alle differenze nei prezzi dei ticket.
La compartecipazione alla spesa sanitaria è uno strumento di razionalizzazione della domanda che si giustifica quando vi sono incentivi al sovra-consumo, come già aveva notato James Buchanan nel 1965. Tuttavia, se non è ben calibrato, può costituire un ostacolo per l’accesso ai servizi sanitari (si veda qui e qui).
In Italia, un quadro organico di compartecipazione alla spesa sanitaria fu introdotto nel 1993 dalla legge n. 537. I primi ticket furono previsti per le visite specialistiche e per l’assistenza farmaceutica. Dopo quasi un decennio, la legge finanziaria per il 2001 abolì la compartecipazione, determinando un repentino aumento della spesa sanitaria nazionale. Ciò spinse il governo a reintrodurre i ticket dal 2002, mediante la legge n. 405/2001, nella quale si afferma esplicitamente che eventuali deficit di gestione sono coperti dalle regioni con strumenti di condivisione dei costi, tra cui la compartecipazione.

Misura per finanziare la spesa pubblica

Il 2002 è stato un vero punto di svolta per il ticket in Italia poiché dal quel momento la compartecipazione perde la sua naturale funzione di razionalizzazione della domanda e assume il ruolo di strumento per il finanziamento della sanità pubblica nella forma di una tassa imposta al beneficiario del servizio come alternativa ai tributi.
Ad appesantire il carico, arriva poi la legge finanziaria del 2007 che introduce un’ulteriore compartecipazione per le visite specialistiche (il cosiddetto super-ticket che sommandosi a quelli già vigenti fa salire il costo di alcune prestazioni) e un nuovo ticket per i servizi di emergenza (codici bianchi).
Oggi, dunque, abbiamo tre tipi principali di compartecipazione: ticket per i servizi di emergenza; ticket per visite specialistiche; e ticket farmaceutici.
Nella determinazione dei prezzi per tali servizi, le regioni hanno agito con ampia autonomia. La tabella 1, dove mostriamo i prezzi minimi e massimi per ogni tipo di ticket, dà un’idea della loro forte eterogeneità.

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Tabella 1 – Ticket sulla sanità pubblica in Italia
(dati aggiornati al 2015)

Fonti: Agenas, Federfarma
*una ricetta e un pacco di farmaci

Il più basso livello di compartecipazione per le emergenze è in Friuli Venezia Giulia (8 euro più un tariffario per le prestazioni specifiche), mentre il più alto è in Campania e nella provincia di Bolzano (50 euro). Per i servizi specialistici il livello più basso di compartecipazione è in Valle d’Aosta, Abruzzo, Basilicata e Bolzano (36,15 euro per visita). In Lombardia e in Piemonte il ticket per visite specialistiche è invece modulato in base al prezzo del servizio e può raggiungere i 66,15 euro. Per i ticket farmaceutici, Sardegna, Marche e Friuli non ne applicano alcuno, mentre in Puglia la somma di una ricetta più una confezione di farmaci prescritti può raggiungere gli 8 euro e 50.

Figura 1 – Mappa dei ticket e del reddito disponibile medio nelle regioni italiane
(dati aggiornati al 2015)

Fonti: Agenas, Fedefarma, Istat (2016)

Nota: nelle regioni in cui è modulato sul reddito (Emilia-Romagna, Toscana, Abruzzo, Veneto e Umbria) il ticket è associato al reddito medio; nelle regioni in cui è associato alla tipologia di servizio mostriamo la media dei ticket; nel Trentino Alto Adige mostriamo la media tra provincia autonoma di Bolzano e provincia autonoma di Trento.

La figura 1 riporta i ticket sanitari medi ed evidenzia con maggiore chiarezza la forte eterogeneità nel prezzo dello stesso servizio fornito in regioni diverse, sintomo di una latente diseguaglianza territoriale di accesso alla sanità pubblica. Inoltre dalle mappe emerge un totale scollegamento tra i prezzi dei ticket e il reddito disponibile medio nelle regioni (la correlazione tra reddito medio disponibile e compartecipazione per emergenze, visite specialistiche e assistenza farmaceutica è rispettivamente -0,35, -0,53, e 0,35). La diseguaglianza è paradossale poiché coinvolge i livelli essenziali di assistenza, che dovrebbero essere garantiti a tutti i cittadini, indipendentemente dal reddito e dal luogo di residenza (articoli 32 e 117 della Costituzione; legge 833 del 1978; decreto del presidente del Consiglio dei ministri 29 novembre 2001).
Il problema è che dal 2002 il gettito da ticket regionale serve a finanziare la spesa e non a caso le regioni soggette a piano di rientro hanno ticket più elevati (vedi Piemonte, Lazio, Campania e Calabria per le visite specialistiche). Per ristabilire un coerente schema di compartecipazione in Italia, il ticket dovrebbe tornare ad avere il ruolo originario di riduzione del sovra-consumo. È quindi necessario togliere alle regioni l’incentivo perverso a utilizzare i ticket come alternativa ai tributi: una soluzione potrebbe essere quella di scollegare il gettito da compartecipazione dal finanziamento della spesa.

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