Ridurre la tassazione sul secondo percettore di reddito potrebbe rivelarsi una buona idea per contrastare la bassa natalità in Italia. Perché molto spesso si tratta di donne e una misura simile favorirebbe la loro partecipazione al mercato del lavoro.
Perché sostenere il secondo percettore di reddito
Il Programma nazionale di riforma presentato l’11 aprile dal governo accenna all’adozione di misure per il sostegno all’occupazione femminile e per il secondo percettore di reddito (pagine 79 e 80). Un intervento di questo tipo sarebbe una buona misura pro-natalità, data la relazione positiva tra partecipazione femminile al mercato del lavoro e tassi di fecondità.
Nell’81 per cento delle famiglie bi-reddito italiane, il secondo percettore è una donna. Un eventuale intervento sull’Irpef a favore del secondo percettore è dunque un modo di ridurre la tassazione sul reddito da lavoro delle donne, incoraggiando così la loro partecipazione al mercato. Per tradurlo in pratica, si potrebbero estendere le categorie di spesa per la cura dei bambini detraibili dall’Irpef, aggiungendo alle voci oggi previste (asili nido e istruzione) quelle per baby-sitter, centri estivi o altro, e nello stesso tempo aumentare l’aliquota di detrazione se entrambi i coniugi lavorano, riducendo così quella effettiva pagata dai nuclei bi-reddito.
In questo modo si renderebbe la scelta delle madri di continuare a lavorare dopo la nascita dei figli un’opzione concreta e fattibile, mettendo le coppie in condizione di decidere di avere un secondo, se non un terzo figlio. Solo l’occupazione di entrambi i coniugi assicura, infatti, le risorse necessarie a crescere più bambini. Un intervento di questo tipo non ha vizi di incostituzionalità, che sono invece presenti nei casi della tassazione differenziata per genere o della tassazione familiare, implicita nel quoziente familiare. E la proposta era già emersa il 10-12 marzo scorso al Lingotto, nel gruppo di lavoro “Nuova economia e fisco amico”.
Misure diverse per due obiettivi diversi
Le implicazioni negative per la collettività di un basso tasso di natalità sono note a tutti, ma la relazione tra natalità e tassazione è meno immediata e merita una riflessione. O meglio, il disegno delle politiche a sostengo della natalità richiede una corretta rappresentazione della relazione che esiste non solo tra tassazione del reddito e occupazione femminile, ma soprattutto tra quest’ultima e la fecondità.
Infatti, una delle maggiori trasformazioni avvenute nell’ultimo quarantennio nella società occidentale è l’inversione della relazione tra occupazione femminile e numero medio di figli per donna. Nel 1980 la relazione era negativa: il numero medio di figli per donna era più alto nei paesi dove si registravano bassi tassi di occupazione femminile. Negli anni Duemila la relazione è diventata invece positiva, ossia il numero medio di figli per donna è più alto laddove i tassi di partecipazione femminile al mercato del lavoro sono più alti.
Gli ultimi dati Oecd (2014) mostrano che in Europa esiste un nutrito gruppo di paesi con tasso di occupazione delle madri tra il 72 e l’83 per cento, nei quali si registrano tassi di fecondità tra l’1,7 e il 2: Svezia, Danimarca, Norvegia, Olanda, Belgio, Finlandia, Francia. All’estremo opposto si trovano paesi (ad esempio Polonia, Italia, Grecia, Spagna, Malta, Cipro e Ungheria) con tassi di occupazione femminile delle madri tra il 50 e il 70 per cento, associati a tassi di fecondità tra l’1,3 e l’1,4.
Nel nostro paese, la stessa fotografia si ottiene se si guardano i dati per regione su partecipazione femminile al mercato del lavoro e fecondità: le regioni del Sud registrano i valori più bassi di ambedue gli indicatori (Sardegna, Basilicata, Calabria e Puglia, per esempio), mentre in alcune tra quelle del Centro-Nord (Veneto, Lombardia, Valle d’Aosta, Emilia-Romagna) entrambi gli indicatori sono al di sopra della media del paese.
Stabilire un nesso causale tra occupazione femminile e tassi di fecondità è più complesso, ma le analisi comparate tra paesi avanzati mostrano che la relazione tra fecondità e sviluppo è diventata positiva negli stati con più alto indice di sviluppo umano e che hanno adottato politiche a favore della parità di genere. In questi paesi si registrano alti livelli di istruzione delle donne, una partecipazione femminile al mercato del lavoro di livello analogo a quella maschile e una più egualitaria divisione del lavoro di cura e di casa fra i coniugi.
In effetti, la misura a favore delle coppie bi-reddito è solo una delle tante che sarebbero necessarie se si fosse davvero persuasi che la bassa natalità italiana è un’emergenza. Quello che qui si vuole sottolineare è l’importanza di disegnare politiche con obiettivi precisi e fondate su una corretta conoscenza dei fenomeni sociali sottostanti. Nelle politiche di supporto alla famiglia è necessario distinguere due obiettivi, ugualmente importanti, ma da tener distinti. Da un lato, c’è il contrasto della povertà, e in particolare di quella minorile, dall’altro c’è il sostengo alle donne che lavorano dopo la nascita dei figli. Si tratta di due obiettivi per i quali vanno adottate politiche diverse, ma per la ripresa della natalità in Italia è più importante il secondo rispetto al primo.
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chiara saraceno
Attenzione, così come tassare di meno i secondi redditi sarebbe probabilmente incostituzionale e porrebbe non irrilevanti problemi di equità perché tasserebbe meno il reddito di una avvocata moglie di un commercialista del reddito di un impiegato monopercettore o di una madre sola, quindi monopercettore e, anche aumentare le detrazioni quando lavorano in due sarebbe ingiusto. Non faciliterebbe certo l’offerta di lavoro di chi a bassa qualifica e con pesanti carichi famigliari non può rivolgersi al mercato dei servizi di cura. Le detrazioni in generale favoriscono chi il lavoro ce lo ha già, non chi non è in condizione di averlo per carenza di domanda e vincoli famigliari. Se vogliamo davvero sostenere l’occupazione femminile l’investimento prioritario andrebbe fatto nei servizi, che tra l’altro inciderebbe positivamente anche sulla domanda di lavoro, in particolare femminile. Poi si può anche intervenire sulle detrazioni, campo per altro che andrebbe riformato e che spesso ha effetti fortemente disegualizzanti.
Giuseppe Spazzafumo
A mio avviso l’unico modo realmente funzionante per incentivare le nascite è l’applicazione del quoziente familiare. Fino a che le imposte versate restano sostanzialmente indipendenti dalla numerosità del nucleo familiare tutti gli altri tipi di aiuto avranno un effetto marginale.
Marco
Concordo in pieno con l’analisi della dott.ssa Rapallini. Purtroppo noto come anche qui, i commentatori si sentano spesso in diritto di esprimere opinioni personali pur dimostrando di non sapere nulla dell’argomento trattato, in questo caso inclusione delle donne nel mondo del lavoro (a Mister quoziente familiare) e costituzionalità fiscale dei regolamenti attuativi (a Mister avvocata moglie di commercialista). Peccato.
PB
Concordo totalmente con il commento di Chiara Saraceno. E’ un problema di welfare (pubblico) prima che di modello di tassazione. Casomai, le tasse facciamole pagare…
Michele
1) nelle condizini attuali del mercato del lavoro, una minore tassazione del secondo percettore di reddito rischia fortemente di tradursi semplicemente in minori retribuzioni lorde 2) incentiverebbe molto di più la natalità il miglioramento dei servizi e soprattutto una riduzione della precarietà nel mercato del lavoro (i.e. Il contrario di quanto fatto dal jobact e dalle politiche sul lavoro negli ultimi 20 anni)
Michele
Un commento generale relativo alle politiche economiche italiane e al relativo dibattito. A mio giudizio occorre una visione di insieme e una radicale semplificazione anche nel disegno di provvedimenti settoriali. Nel disegno generale delle politiche economiche occorrerebbe tornare ai fondamentali. Ogni strumento deve avere degli obiettivi precisi, dichiarati e misurabili. Il sistema fiscale ha come obiettivo principale il finanziamento dello stato secondo principi di progressività della tassazione e di equità. Il sostegno alla natalità deve essere perseguito con altri strumenti più adatti. Altrimenti si favoriscono arbitraggi, si introducono distorsioni e si perde in accountability. Un esempio da manuale è la malaugurata mancia degli 80 euro, aumento della spesa che Renzi vuole si legga come riduzione delle imposte, che ha avuto come effetto paradossale che i più poveri lo hanno dovuto restituire…
Sofia
Quando si parla dei paesi del Nord Europa in cui occupazione femminile e natalità raggiungono alte percentuali si trascura sempre di dire che la maggior parte delle donne lavora part-time in settori a bassa remunerazione (servizi). Aggiungendo questo particolare, la prospettiva non risulta così idilliaca come può sembrare a prima vista…
marco
Il commento della dottoressa Saraceno :…”l’investimento prioritario andrebbe fatto nei servizi che inciderebbe anche sulla domanda di lavoro…” rivela una impostazione marxista del suo ragionamento e non aiuta le famiglie reali di questo paese che hanno bisogno di poter pianificare il loro sviluppo anche con l’aiuto dello stato.
Chiara Saraceno
Marxista?? E in che senso l’investimento in servizi non aiuterebbe le famiglie (meglio, gli aspiranti genitori) a pianificare il loro futuro? Proprio perché si potrebbe contare su servizi accessibili e di buona qualità si potrebbe continuare a lavorare per il mercato con tranquillità. Inoltre, dato che in Italia c’è un problema di domanda, cioè non ci sono abbastanza posti di lavoro, l’investimento in servizi incrementerebbe anche la domanda, i posti di lavoro.
PS Non è vero, come scrive Sofia, che in tutti i paesi nordici le donne lavorano part time (è vero dell’Olanda) e in occupazioni marginali e poco pagate. Vi è certo un po’ di segregazione e sono più le madri che i padri che vanno temporaneamente part time alla nascita dei figli, tuttavia in quei paesi di norma le donne lavorano full time.
massimo
Chiara la ho molto apprezzato in molti interventi ma ormai …..dicendolo con uno slogan anche un pochino brutto…Molte delle cose gestite dal “pubblico” ci costano il doppio e ci danno la metà dei servizi….(l’elenco può essere lungissimo basta confrontare il costo a posto letto (prestazione erogata) del Gemelli e del policlinico Umberto primo a Roma, degli asili pubblici e convenzionati , ecc……)
Henri Schmit
Mi permetto di aggiungere un’altra osservazione da commentatore ignorante delle problematiche trattate. La proposta dell’autrice mi sembra gravemente iniqua. Non so se incostituzionale, e m’importa poco (perché esiste una giustizia suuperiore a quella delle sentenze della Corte cost.). Sono d’accordo con le osservazioni di Chiara Saraceno senza tuttavia ignorare l’importanza della fiscalità. Non capisco perché una tassazione per nucleo familiare sarebbe incostituzionale. Intanto è quella la soluzione in numerosi altri paesi – e non solo nei paesi scandivi socialmente arretrati secondo una commentatrice – con un ordinamento giuridico certamente non meno rispettoso dei diritti individuali delle sentenze della Consulta. Ha ragione Michele: invece di ‘imbizantire’ sempre di più la legislazione e la fiscalità bisogna tornare ai fondamentali, guardando magari quello che si fa altrove, dove la differenza fra benestanti e bisognosi è minore e il tasso di natalità superiore che non in questo paese sempre più in coda alle classifiche internazionali.