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Perché non basta la norma Airbnb

La cosiddetta norma Airbnb ha il solo obiettivo di contrastare l’evasione fiscale, ma la diffusione del fenomeno rende necessaria una regolamentazione più ampia. Basata su linee guida nazionali e requisiti più stringenti stabiliti dagli enti locali.

Nuove norme per l’affitto breve

La cosiddetta norma Airbnb – che entra in vigore da giugno – definisce un nuovo regime fiscale per le locazioni brevi. Oltre alla ritenuta del 21 per cento, operata come cedolare secca sui contratti non superiori a trenta giorni, la norma prevede che i gestori di portali d’intermediazione online – come appunto Airbnb, che agevola l’incontro tra proprietari disponili a locare un immobile e turisti desiderosi di trovare una sistemazione – trasmettano i dati degli accordi stipulati per loro tramite e, se incassano i canoni corrispondenti, assolvano la ritenuta fiscale in qualità di sostituti d’imposta (articolo 4, Dl 24 aprile 2017, n. 50).

Sebbene l’obiettivo sia solo quello di contrastare l’evasione fiscale, le recenti disposizioni possono indurre a credere che l’introduzione di questi obblighi di trasparenza costituisca una soddisfacente regolamentazione del settore (peraltro il gettito addizionale che si conta di reperire non sarà certo esorbitante: 139,3 milioni, e solo se emergerà tutta la base imponibile che si presume occultata).

Una questione preliminare riguarda l’opportunità di accordare ai redditi da locazione breve una imposizione di favore. Dato che si punta a far emergere base imponibile costituendo un obbligo per gli intermediari, essa non sembrerebbe trovare giustificazione, se non nella circostanza che la gran parte dei locatori a breve non può dedurre i costi di esercizio; possibilità di cui godono gli altri imprenditori del settore. Il punto chiaramente rimanda alla più ampia questione dell’inquadramento di questo tipo di attività e dei conseguenti doveri relativi.

Per esempio, il comune di Firenze – ma sforzi analoghi sono in corso altrove – ha stipulato un accordo con Airbnb per ottenere il pagamento della tassa di soggiorno anche da coloro che usufruiscono di strutture ricettive non convenzionali. La regione Toscana ha però inizialmente contestato la legittimità dell’accordo, visto che camere o appartamenti non sarebbero strutture ricettive, salvo poi cambiare idea.

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L’esperienza tedesca

L’intermediazione immobiliare tramite portali on-line, accanto agli indubbi benefici, può produrre conseguenze non desiderate, come l’incremento degli affitti a lungo termine. In Germania, dove della questione si discute da tempo, da maggio 2016 non è possibile concedere in locazione breve un immobile senza previa autorizzazione comunale; la multa, per chi non si adegua, è di 100mila euro. L’obiettivo è quello di evitare strozzature nella disponibilità di alloggi. Uno studio commissionato da Airbnb sulla città di Berlino, ha però evidenziato che la carenza di immobili da locare sarebbe piuttosto da attribuire all’incremento della popolazione stabile della città.

Le restrizioni decise in Germania hanno funzionato? Nel primo mese di attuazione della normativa, l’attività d’intermediazione di Airbnb è crollata del 40 per cento (qui e qui). I dati disponibili sembrano tuttavia suggerire che il calo sia stato temporaneo e che lentamente l’offerta sia in ripresa. Sia perché le multe per i trasgressori sono state applicate di malavoglia, sia perché la normativa è stata variamente interpretata, e ha poi funzionato l’escamotage di locare solo parte degli immobili in modo da sfuggire alle restrizioni.

Una proposta per l’Italia

Per ciò che riguarda l’Italia, una regolamentazione è necessaria, data l’ampiezza del fenomeno: nel 2015 le strutture ospitanti (83.300) hanno accolto 3,6 milioni di ospiti; il guadagno medio per struttura è stato di 2.300 euro, con un impatto economico complessivo di 3,4 miliardi. Il pericolo sempre in agguato, è, però, una regolamentazione asfissiante, che finirebbe per deprimere i fermenti positivi.

La nostra proposta è quella di linee guida nazionali molto blande, che stabiliscano solo alcune regole di buon senso (ad esempio: obbligo di segnalazione di inizio attività), con possibilità per gli enti locali di differenziare i requisiti (ed eventualmente gli oneri), a seconda del contesto (la figura 1 mostra la distribuzione del fenomeno), tenendo conto di quattro condizioni: la capacità di carico del sistema turistico; le condizioni di sviluppo locale; le pressioni eventuali sui canoni di locazione a lungo termine; il volume d’affari complessivo di chi esercita questo tipo di attività, discriminando ad esempio la situazione di chi attua sporadicamente l’home sharing, da quella di chi connota la propria attività di locazione con le tipiche caratteristiche dell’imprenditorialità.

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Figura 1 – Appartamenti che hanno ricevuto prenotazioni nel 2015 tramite il portale Airbnb

Fonte: Airbnb – Sociometrica

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  1. La nostra start up vuole sviluppare proprio per tale ragione un sistema soft per la gestione delle imposte, rendendo ciascun soggetto parte attiva del sistema.

  2. Michele

    Perché il reddito che deriva dal mio lavoro è tassato con IRPEF ad aliquote crescenti fino al 43% + le addizionali regionali e comunali e invece se affitto appartamenti per brevi periodi devo pagare solo il 21%? Come si concilia con la progressività della tassazione prevista all’ art. 53 della Costituzione?

    • Giovanni Esposito

      Gentile Michele, le sue perplessità sulle imposte sostitutive appaiono più che legittime: infatti esse stridono con la progressività della tassazione.

  3. Annamaria

    Alla fine fra la commissione a Airbnb, la cedolare secca del 21%, le spese di gestione , consumo di acqua e energia elettrica e pulizia che non sono basse , non conviene più affittare per breve tempo. Caleranno le prenotazioni. Fra l’altro già le tasse di una secinda caa sono da rapina, praticamente la TASI dei servizi indivisibili viene pagata solo dalle seconde case che sono quelle che li usano di meno.

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