La Corte di giustizia Ue è stata chiamata a esprimersi su ricorsi di attori nazionali contro le piattaforme digitali. Ha così indicato due requisiti-filtro per considerarle fornitrici di servizi elettronici. Ma è il compito che spetterebbe ai regolatori.

Nuove regole per nuovi attori

L’irrompere delle piattaforme digitali in molti mercati ha posto la regolazione pubblica in una difficile situazione: molte categorie consolidate (hotel, taxi) hanno spinto verso un’applicazione delle regole esistenti con un approccio copia/incolla, ottenendo anche alcuni risultati nell’ostacolare i nuovi e temibili concorrenti. L’approccio, tuttavia, imbriglia l’innovazione e favorisce il mantenimento del potere di mercato da cui può derivare abuso e sfruttamento dei consumatori.

In questo quadro, la via giudiziaria dei ricorsi alla Corte di giustizia della Unione Europea (Cgue) da parte dei tribunali nazionali chiamati in causa dagli attori locali (Barcellona: taxi contro Uber; Parigi: hotel e intermediari immobiliari contro Airbnb) ha segnato un primo punto. Si tratta ora di capire se la linea è fruttuosa e, soprattutto, se è fondata dal punto di vista dell’interesse generale che i regolatori dovrebbero tutelare. Analizziamo, a questo fine, i due diversi esiti nei casi Uber e Airbnb.

Il contesto normativo Ue

L’Unione Europea assicura la libertà di stabilimento ai cosiddetti servizi della società dell’informazione (direttiva 2006/123/Ce, direttiva 2000/31/Ce) sottraendoli al quadro regolatorio nazionale e locale: la clausola del mercato interno (articolo 3 direttiva 2000/31) proibisce i vincoli locali alla libera offerta di questi servizi con un beneficio per gli investimenti e l’innovazione.

La definizione di servizio elettronico si fonda su quattro criteri: deve essere fornito con remunerazione, a distanza, con mezzi elettronici e su richiesta individuale. Tuttavia, la qualità di servizio elettronico non implica automaticamente quella di servizio della società dell’informazione, e la sentenza della Corte di giustizia Ue sul caso Uber, di cui ho scritto qui, assieme a quella, più recente, sul caso Airbnb, ne sono una dimostrazione.

La Corte, pur riconoscendo che quello di Uber è un servizio elettronico, ha escluso che possa essere qualificato come servizio della società dell’informazione, ritenendo che la multinazionale effettui un servizio di trasporto e riconducendola sotto i vincoli delle legislazioni nazionali e locali.

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La motivazione della sentenza è duplice:

  1. a) Uber crea una offerta di servizi che non esisterebbe senza la piattaforma, è quindi un market player e non un puro intermediario. Una argomentazione discutibile, che ho contestato qui.
  2. b) Uber esercita un controllo penetrante sulle condizioni di offerta e sulla organizzazione del lavoro.

Quale sarà l’effetto sui mercati e sulle piattaforme

In un primo momento si è temuto che la sentenza su Uber potesse allungare la sua ombra su altri settori della cosiddetta economia delle piattaforme, Airbnb in primo luogo. Tuttavia, la sentenza della Corte di giustizia Ue (relatore Maciej Szpunar, lo stesso di Uber), nella causa intentata da alberghi e mediatori immobiliari francesi contro la piattaforma di scambio di stanze e appartamenti, afferma invece che Airbnb sarebbe un servizio della società dell’informazione, il che vieterebbe ai legislatori nazionali di porre vincoli e regolazioni particolari alla libertà di offrire il servizio.

La motivazione della sentenza segue la ratio della sentenza Uber: Airbnb, a differenza della società di passaggi in auto, non crea una nuova offerta che non esisterebbe senza la piattaforma. I locatori infatti possono agire indipendentemente e affittavano già prima di Airbnb tramite agenzie, contatti personali o siti web personali. Inoltre, Airbnb non esercita un controllo ficcante sulle condizioni del mercato (quantità, qualità, prezzi, tempi, condizioni di ingresso e uscita), limitandosi a mettere in contatto una offerta di appartamenti con la domanda. Inoltre, la Corte riconosce alle piattaforme un ruolo di costruttori di fiducia e simmetria informativa con i rating sulla qualità dei servizi.

È ragionevole ipotizzare che la sentenza Airbnb crei un terreno giuridico favorevole ad altre piattaforme che rispondano ai due requisiti indicati nelle motivazioni, come quelle di offerta e domanda di lavoretti. Invece, il settore delle consegne di cibo a domicilio (Deliveroo, Just Eat) appare a rischio sotto il profilo dell’organizzazione del lavoro, che è, almeno in parte, nelle mani della piattaforma, la quale però non controlla la preparazione dei pasti: i ristoranti esistono a prescindere dalle piattaforme di consegne e in questo senso appaiono a metà strada fra Uber e Airbnb.

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In assenza di un quadro regolatorio omogeneo, nel prossimo futuro sarà interessante esporre le varie piattaforme al filtro che la Corte Ue ha imposto. E sarà interessante seguire anche l’evoluzione del dibattito sulla fiscalità, in particolare la controversia fra Airbnb e la nostra Agenzia delle entrate sulla ritenuta del 21 per cento e sulla comunicazione dei dati, che il Consiglio di stato ha rinviato, tanto per cambiare, alla Corte Ue (ordinanza 6219/2019 del 18 settembre).

Intanto, i regolatori stanno a guardare?

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