La Commissione ha presentato a dicembre una proposta che introduce un nuovo scenario di regolazione e politica concorrenziale per le piattaforme digitali, rafforzando la sinergia con l’antitrust. Le conseguenze potrebbero essere drastiche.

Il mondo digitale è cambiato

Quelli che fino a qualche anno fa si chiamavano servizi della società dell’informazione, regolati nell’Unione europea con le regole del mercato interno, hanno subito una trasformazione profonda nella loro natura e influenza. Il panorama dei mercati digitali è completamente cambiato da quando i servizi elettronici si limitavano all’e-commerce e alle prenotazioni su internet: alcune piattaforme si sono sviluppate divorandone altre e hanno invaso settori tradizionali come l’accoglienza, la mobilità, il lavoro, la finanza, le consegne, oltre alle reti sociali e all’informazione. Accanto a player giganteschi come Amazon, Google, Facebook, Uber, Airbnb, Foodora, sopravvivono piccole piattaforme di rete locale che godono del favore dell’opinione pubblica ma occupano solo nicchie di mercato.

Nella Tabella 1 è riassunta la dimensione quantitativa e temporale del cambiamento.

Regolazione digitale e politica concorrenziale da modificare

A nuovi attori e nuove dimensioni si accompagnano nuovi problemi per la regolazione pubblica e la politica concorrenziale per le piattaforme digitali. La prima – la regolazione – finora si è limitata a osservare il cambiamento o ha tentato, spesso goffamente, di applicare vecchie regole a fenomeni nuovi e dirompenti come nel caso degli affitti brevi e della mobilità. La seconda – la politica della concorrenza – ha in questi anni applicato l’approccio tradizionale degli strumenti antitrust, come nel caso della multa di 1,7 miliardi di euro a Google per abuso di posizione dominante, per aver privilegiato i propri servizi su quelli dei competitor nel suo motore di ricerca, una multa arrivata dopo anni di istruttoria e che ha costretto l’Ue e il suo sistema di audit a constatarne la sostanziale inefficacia.

Nuove mappe?

Il 15 dicembre 2020 l’Unione europea ha presentato il Digital Service Act e il Digital Markets Act, due provvedimenti che dovranno passare il vaglio del Consiglio europeo e del Parlamento europeo prima di entrare in vigore direttamente nella legislazione degli stati membri.

Il primo provvedimento non apporta un cambiamento radicale alla regolazione vigente delle piattaforme digitali, limitandosi a chiarire e rafforzare i loro obblighi in tema di contenuti illegali e di loro rimozione. Il secondo, invece, introduce un nuovo scenario di regolazione e politica concorrenziale ex ante, rafforzando la sinergia fra regolazione e politica antitrust, che ha implicazioni ancora imprevedibili ma certamente forti sui grandi player digitali.

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Il Digital Markets Act fornisce alla Commissione strumenti di nuova regolazione in progress con un approccio al mercato e alle posizioni dominanti abusate che permette un intervento a priori e in divenire: in particolare, le grandi piattaforme digitali verrebbero classificate, secondo criteri quantitativi e di mercato, in modo da evidenziare quelle che hanno ruoli di gatekeeper (funzione di controllo).

Una piattaforma gatekeeper controlla una essential facility (struttura essenziale), ossia un asset indispensabile ai concorrenti per operare sul mercato. La storia ne ha già fornito esempi, come le locande sulle strade dei commercianti e dei pellegrini, che non potevano rifiutare ospitalità, oppure, più di recente, le ferrovie americane sottratte al potere monopolistico dei proprietari per garantire l’accesso ai concorrenti. Nei mercati digitali, secondo molti, una essential facility è per esempio lo scaffale virtuale della piattaforma Amazon nell’e-commerce. Su questo scaffale la società di Jeff Bezos ha potere di entry-exit (entrata e uscita), ne conosce i dati e le informazioni e li può usare per favorire le proprie strategie commerciali.

Secondo il Digital Markets Act, la caratteristica di gatekeeper si presumerebbe se la piattaforma ha un fatturato (turnover) di almeno 6,5 miliardi di euro negli ultimi tre anni, un valore di mercato medio nell’ultimo anno di almeno 65 miliardi di euro, 45 milioni di utenti/mese attivi nella Ue e più di 10 mila utenti business attivi in ciascuno degli ultimi tre anni finanziari.

Ai gatekeeper verrebbero associati obblighi molto pesanti, come la proibizione di clausole di nazione preferita, la proibizione dell’uso di informazioni non pubbliche appartenenti ai loro utenti per competere in modo scorretto, la condivisione dei dati con i concorrenti, il divieto di favorire i propri servizi negli interfaccia con il mercato, fino al radicale provvedimento della separazione dei rami di impresa.

Sulla base di questi criteri quantitativi, oggi sarebbero considerate gatekeeper ovviamente Google, Amazon, Facebook, Apple, oltre a Oracle, Sap, Microsoft Azure e Amazon Web Services. Sulla soglia, ma non per tutti i criteri, sarebbero Booking, Spotify, Uber, Bytedance, Salesforce, Google Cloud, Ibm Cloud. Sottosoglia Airbnb, Twitter, Lift, Xbox, Linkedin, Bing, Netflix, Zoom, Expedia, Grubhub. Le piattaforme sottosoglia sarebbero comunque sottoposte a una sorveglianza attenuata e in itinere, ma non alle regole strette previste per i gatekeeper.

La nozione di gatekeeper permette inoltre di allentare gli standard di prova nelle controversie tra regolatore e regolato e l’onere, spesso gravoso e incerto, della definizione dei mercati rilevanti. Nel complesso, l’equilibrio normativo sembra spostarsi a favore del regolatore.

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Le criticità

Sono state indicate varie criticità rispetto al Digital Service Act e in particolare sul Digital Market Act. Secondo fonti collocate fra ricerca accademica e consulenza, il Dma non distingue fra i differenti business model delle piattaforme gatekeeper (ad-funded come Google, marketplace come Airbnb, sistemi operativi e app store come Play Store e Apple), ignorando le implicazioni che le tre tipologie hanno sugli incentivi al comportamento di mercato e sulle conseguenti politiche regolatorie ottimali.

Inoltre, il Dma non si occupa delle fusioni (merger) non disponendo delle basi legali per modificare l’attuale legislazione europea sul tema. Infine, va considerato il rischio di contenzioso nel caso di provvedimenti draconiani assunti nei confronti di gatekeeper accusati di comportamento anticoncorrenziale per abuso di posizione dominante, basta pensare all’obbligo di separazione dei rami di azienda. Il tempo, non breve, fra la proposta e l’entrata in vigore dirà se intenzioni e criticità si realizzeranno.

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