Per togliere potere a una burocrazia in grado di ostacolare qualsiasi riforma, è necessario definire prima una strategia di semplificazione della pubblica amministrazione e solo dopo intervenire con un quadro normativo e regolamentare organico e coerente.
La battaglia contro gli “ultimi samurai”
Il titolo dell’ultimo saggio di Giorgio Barbieri e Francesco Giavazzi – “I signori del tempo perso”, dedicato ai burocrati della pubblica amministrazione – può apparire irriverente, ma il suo contenuto merita un’attenta riflessione. Il tema dell’adeguatezza degli alti dirigenti statali ha mostrato la sua gravità fin dagli albori dello stato unitario. Secondo Giavazzi e Barbieri è stato proprio l’approccio alla cultura amministrativa centralizzata di derivazione francese, “il peccato originale” della nostra burocrazia.
Gli autori sostengono che i dirigenti apicali della Pa hanno acquisito un potere in grado di ostacolare le riforme di cui il paese ha bisogno. Un potere che può essere disinnescato solo attuando una sottile strategia perché nel muro contro muro è la politica ad avere la peggio. È quanto accaduto a Matteo Renzi che ha immediatamente percepito i burocrati come un pericolo per l’attuazione del suo programma di governo e ha ingaggiato con loro una dura battaglia, dalla quale è uscito sconfitto perché ha sottovalutato il potere di interdizione di coloro che ostacolano qualunque iniziativa pur di non cedere le rendite di posizione acquisite. Barbieri e Giavazzi propongono un parallelo tra l’Italia di oggi bloccata dalla burocrazia e il Giappone del diciottesimo secolo alle prese con gli “ultimi samurai”, proprio come nel film interpretato da Tom Cruise.
Una deregolamentazione difficile
La semplificazione è un obiettivo ambizioso che può essere raggiunto solo proponendo una strategia d’azione e un percorso attuativo: il saggio si concentra soprattutto sull’obiettivo. Tuttavia, se si sostiene che gli uffici legislativi e gli alti funzionari pubblici sono i responsabili della proliferazione normativa da cui traggono beneficio, allora è necessario indicare quali dovranno essere i soggetti cui delegare tale funzione. L’introduzione, come suggerito, di clausole che al termine della loro efficacia decadono automaticamente (sunset clauses) non è sufficiente. E la mera riduzione degli articoli di un testo di legge non garantisce alcuna semplificazione, anzi può rilevarsi persino dannosa. Nell’aprile del 2016 il nuovo Codice degli appalti, passato da 591 articoli (incluso il regolamento di esecuzione) a 227, fu presentato come una semplificazione delle procedure di affidamento che avrebbe rafforzato la lotta alla corruzione. A distanza di un anno, non solo è stato necessario approvare un primo decreto correttivo composto da 131 articoli, ma la norma che consentiva all’Anac di correggere in corsa le procedure dubbie, il cosiddetto potere della “raccomandazione vincolante” (decreto legislativo 50/2016 art. 211 comma 2), è stata dapprima cancellata da una misteriosa “mano invisibile” e poi reintrodotta “previo contraddittorio” (comma 1). L’esito del contraddittorio potrà essere impugnato dinanzi ai competenti organi della giustizia amministrativa.
Così, una norma nata con le migliori intenzioni rischia di rimanere schiacciata dalla burocrazia. In più, del regolamento di esecuzione del vecchio codice (Dpr 5 ottobre 2010, n. 207), abrogato il 19 aprile 2016, restano in vigore 146 articoli in attesa delle linee guida Anac e dei decreti attuativi del ministero delle Infrastrutture. Per questo è necessario definire prima una strategia di semplificazione e solo dopo innovare il sistema amministrativo con un quadro normativo e regolamentare semplificato, organico e coerente.
La fattibilità delle proposte
Al di là del titolo volutamente provocatorio, il saggio di Barbieri e Giavazzi mantiene uno stile sobrio e ha l’indubbio merito di porre l’accento su temi che pochi hanno avuto il coraggio di affrontare in modo così esplicito. L’analisi è impeccabile, le citazioni di prim’ordine, tuttavia la fattibilità delle soluzioni non sempre è agevole. Vediamo perché.
- L’idea di favorire il passaggio degli alti funzionari dal settore privato a quello pubblico (il cosiddetto pantouflage), di valutare il loro rendimento e di rendere contendibili le posizioni apicali appare in linea con i contenuti della riforma Madia. È chiaro che l’efficacia dei provvedimenti dipenderà dal grado di attuazione della riforma, il cui esito non è scontato.
- La proposta di sostituire i burocrati di stato con giudici appare audace, ma poco condivisibile. Nella maggior parte dei casi, i giudici hanno scarsa esperienza gestionale, ridotta attitudine alla risoluzione dei problemi e, al pari degli alti burocrati, non sempre si sono dimostrati indipendenti dalla classe politica. Inoltre, la circostanza che alcuni burocrati si siano serviti della magistratura per colpire funzionari della Pa che avevano dimostrato indipendenza, spirito di servizio e professionalità, evidenzia una pericolosa contiguità tra i due poteri.
- Decisamente più interessante la soluzione che auspica il ritorno delle responsabilità amministrative in capo alla politica anche se, in assenza di partiti forti, c’è il rischio che il potere resti ancora nelle mani della burocrazia.
La strada maestra sembra essere dunque quella che prevede l’applicazione del turnover e la valutazione dei risultati conseguiti. L’ostilità con la quale gli “ultimi samurai” hanno accolto le novità introdotte dalla riforma Madia conferma la scarsa propensione al cambiamento. Affinché la riforma produca gli effetti auspicati, sarà necessario un rigoroso controllo delle procedure comparative per evitare che i requisiti di idoneità continuino a favorire una ristretta élite di nominati.
* Le opinioni sono espresse a titolo personale e non coinvolgono l’amministrazione di appartenenza
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Dario Quintavalle
Veramente il pantouflage è esattamente il contrario: il passaggio di funzionari pubblici alle imprese private https://fr.wikipedia.org/wiki/Pantouflage
Guido Nannariello
Durante la stesura dell’articolo avevo valutato anche l’espressione “rétro-pantouflage” che però non mi aveva convinto perché nel libro recensito avevo percepito “bi-direzionalità” nell’uso del termine (se ricordo bene si parlava di mobilità, porte girevoli, etc.). La responsabilità dell’imprecisione è solo mia e l’osservazione di Dario Quintavalle è corretta.
Barbara M.
Stavo cercando il suo CV, dott. Nannariello: è vuoto e non dichiara compensi http://www.mef.gov.it/documenti-allegati/2017/operazione-trasparenza/CV_Dirigenti_Giu2017_I-O.zip
Anche questo è un inutile adempimento burocratico?
Guido Nannariello
Meno condivisibile il commento della Barbara M. che parla di trasparenza ma nasconde il proprio cognome. Infatti, con decisione assunta il 12 aprile 2017, il Consiglio dell’Autorità Nazionale Anticorruzione ha sospeso l’obbligo di pubblicare redditi e patrimoni dei dirigenti pubblici. Ciononostante il Ministero dell’economia e delle finanze continua a pubblicare regolarmente i redditi lordi dei propri dirigenti nella sezione “Amministrazione Trasparente”. La curiosità di Barbara sarebbe stata soddisfatta anche se avesse scritto il mio nome seguito dalle lettere “CV” su google oppure su Linkedin.
Savino
Il titolo del libro mi dà l’occasione per dire che è giunta l’ora di mandare a casa i signori del tempo perso, entrati, peraltro, senza titoli di studio adeguati e senza formule concorsuali trasparenti e contendibili. Nel senso che il problema non è tanto o solo la deregulation, ma sta proprio nelle persone. Il ricambio nella p.a. urge pesantemente, soprattuto a causa di gap tecnologico, meritocratico e di diritti acquisiti assai dispendiosi per la collettività. Se c’è qualcosa che non ci manca è il numero di disoccupati potenziali aspiranti funzionari pubblici (85.000 domande per 30 posti da vice-assistente in Bankitalia!). Si deve poter cominciare a dichiarare degli esuberi, come per le banche, anche a costo di creare esodati, e arrivare a piani di 2-3 nuovi assunti a 1.300 euro al mese ogni 10 esuberi dichiarati tra i superpagati senza titolo nè merito.
Nicola
Per prima cosa precisiamo che il nuovo codice appalti ha già avuto ben due sostanziali revisioni, non una.
Le norme, complessivamente, tenendo conto anche di quelle regolamentari ANAC e ministeriali, si è tutt’altro che semplificata (fa ridere pensare alla semplificazione come riduzione del numero degli articoli!).
E questo non può essere imputato alla “burocrazia”, è del tutto disonesto. Intellettualmente.
La burocrazia lavora male e lentamente quasi esclusivamente per colpa della politica.
Che produce norme scritte male, frutto di compromessi e spesso senza avere le capacità tecniche per scriverle.
Vogliamo parlare degli obblighi di tracciabilità L.136/2010 previsti a prescindere dal valore dell’appalto? (anche solo 1 euro).
E’ burocrazia o è politica che scrive male le norme?
E’ colpa della burocrazia quando vengono assunti dirigenti “fedeli” alla politica, ex art.19 co.6,? Sappiamo bene che nella gran parte dei casi non si tratta di “esperti” bensì di paracadutati, o meglio “miracolati”, senza alcun concorso e che poi vengono stabilizzati con un falso concorso.
E’ difficile lamentarsi della qualità della dirigenza pubblica quando una parte consistente è formata da famigli, adeguatamente promossi in ossequi al Principio di Peter.
Henri Schmit
Premetto che non sono Nessuno, che non ho alcun Titolo per esprimermi su questo importante tema e che ho appena messo il naso nei documenti segnalati da Barbieri&Giavazzi. Sono sostanzialmente d’accordo con l’autore di questo articolo. Fa sorridere se la politica dà la colpa del disfunzionamento della PA alla PA. Ma fa proprio ridere la proposta di cambiare la PA assumendo dei dirigenti dal privato. Peggio ancora la proposta (fatta da importanti magistrati) di nominare ai posti più sensibili degli ‘indipendenti’ o renderli tali (cioè pure irresponsabili) come appunto i giudici. Basta poco buon senso per capire che non può e non deve essere così. Non sono anche la Consob e Banca d’Italia indipendenti? La radice del problema non è il modello centralista francese, il quale sarebbe al contrario una condizione necessaria per cambiare davvero qualcosa in positivo, se ce ne fosse la volontà, se fosse conveniente. Sembra piuttosto un mix fra Stato piemontese, borbonico e bizantino. Per cambiare la PA bisogna iniziare dall’alto, cioè dalla politica. Già, ma le riforme non ce le lasciano fare …..