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Nella prevenzione dei disastri naturali l’Europa fa la sua parte

Il sisma di Ischia ci ricorda la vulnerabilità dell’Italia e la mancanza di una cultura della prevenzione. Il Fondo di solidarietà dell’Ue per i disastri naturali ha messo a disposizione 2,5 miliardi dal 2002. Non solo risorse per le emergenze, ma anche per la prevenzione.

Il terremoto che ha colpito l’isola di Ischia, nonostante la moderata magnitudo, ha provocato danni rilevanti, morti, sfollati e un fuggi fuggi generale nel mese di maggiore presenza turistica. Abbiamo assistito a nuove polemiche sull’abusivismo diffuso e vari rimpalli di responsabilità, ma tristemente ogni disastro ci ricorda solo che, nonostante le chiacchiere, poco viene fatto per cambiare. Sì tratta di un problema culturale esteso che non riguarda solo la politica, le amministrazioni pubbliche o le imprese edili ma tutti i cittadini: non c’è cultura della prevenzione, in Italia alla legalità e al senso civico si preferiscono le scorciatoie e i condoni. Così, a fronte di risparmi illusori nell’immediato, alla fine si finisce per pagare di più e più a lungo. Il terremoto di Ischia è l’ultimo di una serie di disastri naturali che in pochi anni hanno martoriato il nostro Paese a cui l’Europa non è stata indifferente. A fine giugno la Commissione europea ha proposto di concedere aiuti per 1,2 miliardi di euro a copertura del 5,5 per cento dei danni dei terremoti che hanno colpito l’Abruzzo, il Lazio, le Marche e l’Umbria tra il 2016 e il 2017. Una somma significativa messa a disposizione dal Fondo di solidarietà dell’Unione europea, di cui abbiamo già ricevuto un anticipo di 30 milioni lo scorso dicembre. Gli aiuti contribuiranno a finanziare la ricostruzione e la ripresa dell’attività economica, a coprire i costi dei servizi di emergenza, degli alloggi temporanei, delle operazioni di risanamento e delle misure di protezione del patrimonio culturale.

Il Fondo di solidarietà raccoglie una quota di risorse da parte di tutti gli Stati membri per poi metterle a disposizione di chi subisce una catastrofe naturale grave e ne fa richiesta entro dieci settimane dal primo danno. I danni totali devono essere superiori a 3 miliardi (o allo 0,6 per cento del reddito nazionale lordo, se minore) oppure, nel caso di catastrofe regionale, devono eccedere l’1,5 per cento del Pil e interessare almeno la metà della popolazione di una regione, con profonde e durature ripercussioni sulle condizioni di vita e la stabilità economica. Lo strumento è nato nel 2002 in seguito alle gravi inondazioni in Europa centrale e da allora è stato utilizzato per affrontare 75 emergenze, distribuendo oltre 5 miliardi.

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Nel complesso, il 48 per cento dei fondi è stato destinato ai territori colpiti da terremoti, il 40 per cento è stato impiegato per affrontare le conseguenze di inondazioni, il 9 per cento è andato alle aree che hanno patito gli effetti di tempeste e altri eventi metereologici estremi, il 4 per cento è stato utilizzato per siccità e incendi (figura 1).

Figura 1 – Fondo di solidarietà dell’Unione europea: distribuzione risorse totali (2002-2017; 5,1 miliardi di euro)

Fonte: elaborazione dati Commissione europea, Dg Regio

A causa della vulnerabilità del nostro territorio, l’Italia è il maggiore beneficiario dello strumento: dalla data di creazione del fondo ha ottenuto 2,5 miliardi, quasi il 50 per cento del totale. Complessivamente, il nostro paese ha ricevuto aiuti pari al 4,8 per cento di tutti i danni subiti (stimati in 52 miliardi), una quota maggiore della media europea del 4,2 per cento del danno. I disastri più grandi sono stati i terremoti, per cui ci siamo assicurati quasi 2,4 miliardi dal 2002 al 2017. Aiuti più piccoli sono arrivati in seguito a inondazioni e a una eruzione dell’Etna (tabella 1).

Tabella 1 – Fondo di solidarietà dell’Unione europea: aiuti all’Italia per disastri naturali dal 2002 al 2017

Fonte: elaborazione dati Commissione europea, Dg Regio

Gestione e prevenzione dei rischi naturali

Il Fondo di solidarietà è stato riformato nel 2014, dopo che alcune analisi avevano evidenziato che lo strumento non forniva una risposta abbastanza rapida alle emergenze: nonostante procedure più snelle rispetto a quelle degli altri fondi europei, erano necessari in media dodici mesi per i pagamenti. La riforma ha introdotto semplificazioni procedurali, pagamenti anticipati, criteri più chiari per la classificazione dei disastri regionali e un incentivo a migliorare la capacità di prevenzione delle catastrofi e di gestione del rischio da parte dei beneficiari degli aiuti, richiedendo loro di programmare e attuare strategie apposite.

Quest’ultimo cambiamento tocca proprio il punto debole dell’Italia, ossia il “vizio” di utilizzare i fondi pubblici solo per “curare” invece che per prevenire, senza preoccuparsi del futuro. Non a caso da una disanima dei programmi operativi regionali per il periodo 2014-2020 è emerso che poche regioni destinano risorse alla prevenzione e gestione delle calamità, generalmente solo dopo averne subita una.

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In quale misura la riforma abbia migliorato l’efficienza e la capacità di prevenzione ce lo dirà una valutazione che la Commissione avvierà nei prossimi mesi. In ogni caso, il Fondo rappresenta un esempio di valore aggiunto europeo, ossia di ciò che si può realizzare grazie all’appartenenza a una comunità e che sarebbe più difficile ottenere da soli: non solo risorse accantonate e pronte per le emergenze ma anche incentivi a utilizzare meglio i fondi pubblici, vincolando la concessione degli aiuti al miglioramento della capacità di gestione dei rischi e al lancio di iniziative di prevenzione. In questo quadro, colpisce che la notizia dell’ultimo significativo aiuto all’Italia, pur essendo stata ripresa da vari quotidiani, non abbia attratto un’attenzione mediatica paragonabile a quella dedicata quotidianamente alla crociata contro l’Ue che alcuni politici e commentatori conducono con ostinazione, mettendone in discussione l’utilità e il valore aggiunto, spesso senza dati alla mano, ma riuscendo comunque a trovare linfa e schiere di adepti su mezzi di informazione e social network. Certamente l’Europa non basta, sono necessarie iniziative nazionali più decise che favoriscano la diffusione di informazioni sui rischi e una cultura della prevenzione, vigilino sulla legalità sanzionando ogni abuso, senza gli “sconti” spesso applicati per convenienze elettorali ed economiche.

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  1. Savino

    L’Italia non ha mai fatto la sua parte: nè come società civile, nè come Stato.
    Cittadini anarchici, col desiderio di sentirsi superiori ad ogni regola, politici – assetati di consenso e potere – pronti ad assecondarli, burocrati smaniosi di possedere solo lingotti d’oro e bustarelle di danaro. Le sempre più rare mosche bianche vivono isolate e sono, spesso, costrette a lasciare il Paese.

  2. Henri Schmit

    Ottima informazione su questo fondo di solidarietà UE di cui l’Italia ha finora beneficiato della metà delle risorse. Sarebbe interessante come esattamente sono stati spesi questi contributi, chi decide e chi controlla. Il paese è terra prediletta dell’abusivismo, ma le calamità naturali ci saranno sempre, anche se tutto fosse costruito a regola. L’Italia è purtroppo anche un territorio molto esposto ai sismi e alle frane e mi domando perché non si è pensato di sviluppare per esempio con i fondi UE un centro di expertise, per es. a Aquila, per tutto quello che riguarda il lavoro post-calamità, coprendo numerose professionalità. Meglio investire soldi pubblici in una struttura di studio, di gestione e di controllo che disperdere gli stessi mezzi in numerosi mini-progetti di cui spesso non si sa se usano il vantaggio in modo appropriato.

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