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Giochi di guerra sulla tassazione delle multinazionali

All’Ecofin di Tallin si discute di tassazione delle multinazionali. Il rischio è aprire un conflitto con i paesi dove i giganti del web sono nati e cresciuti. Per avere successo, l’iniziativa europea deve avere chiaro qual è il nemico da battere.

Un tema per l’Ecofin

Un vecchio e trito luogo comune recita che quando nasce una nuova idea gli statunitensi ci fanno un business, i cinesi la copiano e gli europei la regolano. Se fosse così, l’economia di Internet non farebbe eccezione.

Tassare le grandi multinazionali che operano in rete, tacciate a giorni alterni di elusione fiscale o pianificazione fiscale aggressiva (se non di vera e propria evasione), è diventato negli ultimi anni uno sport praticato in tutti i paesi dell’Unione europea, dove le diverse amministrazioni fiscali si muovono in ordine sparso, così come i giudici, sotto la spinta dell’opinione pubblica. A volte ciò accade con successo, come nel caso dell’Inghilterra (e dell’Italia), altre invece no, come più di recente in Francia.

Gli appelli alla coralità nella gestione della fiscalità di Internet sembrano avere ottenuto anche una risposta politica, auspice una lettera congiunta di alcuni stati europei (fra i quali l’Italia), cosicché il prossimo vertice Ecofin di Tallin dovrebbe essere il luogo in cui l’Unione si appresta finalmente a iniziare l’iter per la fissazione di regole comuni (e condivise) per individuare dove (e su cosa) queste multinazionali debbano pagare imposte. La proposta è semplice, l’obiettivo ambizioso: introdurre una “Equalization tax” da applicare sul volume delle vendite realizzate in Europa dalle multinazionali straniere che oggi non pagano imposte (sui redditi) qui, in quanto non residenti.

Qual è il vero obiettivo?

A giudicare dai contenuti trapelati e dal testo della lettera, si tratta di un gioco pericoloso, seppure praticato con indubitabile tempismo. Prima di provare a formulare risposte, è necessario fare esattamente il punto su che cosa sia reputato insoddisfacente dai governi europei, e che cosa sia meritevole di modifica sul piano legislativo.

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Si tratta del fatto che le multinazionali dell’IT technology adottino soluzioni di Tax planning al limiti dell’elusione fiscale ? Oppure della semplice circostanza che paghino imposte sul reddito in un luogo “altro” rispetto all’Unione (o ad alcuni paesi dell’Unione), alla luce delle regole consolidate del fisco internazionale?

Le due situazioni possono non coincidere, e l’impressione che si ha in questi giorni, è che i governi europei cerchino di perseguire il secondo obiettivo dichiarando in realtà di voler conseguire (solo) il primo.

Il contrasto all’elusione internazionale e alla pianificazione fiscale aggressiva è un obiettivo meritorio da sempre e trova ulteriore conferma sia nelle raccomandazioni Ocse che nei più recenti interventi dell’UE in materia. Anche l’Italia ha fatto passi avanti con l’introduzione recente della voluntary disclosure delle società estere con stabile organizzazione nella penisola, nota alla stampa  come “web tax”: ogni decisione promossa in sede Ecofin (e volta a ravvicinare le posizioni degli stati) non può che essere vista positivamente.

Se l’obiettivo è invece il secondo, ciò porterà l’Unione in rotta di collisione con gli Stati Uniti e il Giappone (subito) e poi con Cina e forse India nel medio periodo: cioè con tutti quegli stati in cui le multinazionali dell’IT sono nate, cresciute e dai quali poi sono partite alla conquista del mercato globale dopo una dura selezione interna.

La matematica non tradisce: maggiore base imponibile in Europa significa (al netto di una doppia pretesa fiscale sullo stesso imponibile) minore tassazione altrove. Se dal punto di vista giuridico l’Europa può provare a cambiare regole in uso da decenni (se non da secoli), è anche ragionevole ritenere che gli altri stati, portatori di interessi di quelle stesse multinazionali e bersaglio (mediato) della nuova politica, non stiano con le mani in mano. Già alcuni senatori statunitensi, durante la precedente amministrazione, avevano dato prova di questa sensibilità alla luce degli interessi nazionali: altre contromisure arriveranno, se i tabù fiscali cominciano a cadere. Perché magari i prossimi non possono essere la tutela dell’immagine, di un segno distintivo, di quella specificità dei prodotti e dei servizi cui tanto tiene il nostro paese all’estero?

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La tempistica però ci sorride: se l’Unione davvero vuole andare alla guerra con le multinazionali IT statunitensi, questo è il momento migliore. Silicon Valley è distante dall’amministrazione Trump, che non ha mai appoggiato, ed è contraccambiata: la mossa europea potrebbe in effetti sfruttare la frattura, che non esisteva con l’amministrazione Obama anche quando i profitti enormi del business IT restavano parcheggiati in sicuri paradisi fiscali e non contribuivano ad alleviare il peso del fisco negli Usa.

Ecco che allora l’iniziativa europea, per avere davvero successo, deve essere autenticamente concertata, coinvolgendo entrambe le sponde e le amministrazioni dell’Atlantico, e va radicata sull’idea e sul principio che il vero nemico da battere non è la mancata tassazione qui (o lì) ma la mancata tassazione tout court, e che l’idea di fair taxation non è radicata su un luogo, ma su una soglia: una cifra tutto sommato ragionevole. Insomma, va radicata sul tema secondo cui il contribuente europeo e quello statunitense sono nella stessa posizione e vogliono la stessa cosa. Questo è l’unico risultato ragionevole che la nostra generazione può ambire di conseguire.

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11 commenti

  1. Marcello Romagnoli

    Quindi se non andiamo “alla guerra” con i giganti USA, Giappone, Cina ecc. cosa facciamo? Accettiamo che le aziende di questi paesi, ma perchè no anche europee, mettano base amministrativa in paesi dalla tassazione compiacente e paghino poco o nulla mentre godono dei benefici delle infrastrutture e del benessere di altri paesi? Ricordiamoci che anche le aziende europee vendono nei suddetti paesi che potrebbero decidere di adottare la stessa linea e quindi di far pagare loro le tasse. Io credo che la logica della globalizzazione che porta vantaggi enormi ai grandi gruppi faccia bene alle tasche dei loro azionisti, ma non all’economia reale del pianeta. Più soldi agli stati vuol dire più soldi per le infrastrutture, per il benefico stato sociale (vero segno di progresso), per una migliore redistribuzione della ricchezza. Inoltre toglie risorse spesso eccessive nelle mani a questi grandi gruppi, risorse che li portano spesso a crescere troppo e a trovarsi in posizioni di forza eccessiva.

    • Marco Greggi

      Sono d’accordo con lo spirito delle sue riflessioni e sul senso della sua posizione. Mi permetto solo una considerazione. C’è solo una cosa peggiore rispetto all’inazione che lei critica: fare la guerra … e perderla. Credo che l’Europa debba cercare alleati, e che lo stesso Governo federale statunitense possa diventarlo, se opportunamente coinvolto.

  2. serlio

    Tutto corretto salvo l’intenzione manifestata dal Governo italiano di tassare il fatturato e non il reddito. La differenza è enorme, sopratutto dal punto di vista dello stato di diritto che verrebbe ancora una volta sopraffatto dal diritto di stato! Si tratterebbe di una squallida scorciatoia che solo lo statalismo ignobile dei politici al governo possono concepire. Quello che occorre è un accordo, difficile ma non impossibile da raggiungere, tra gli stati membri della EU. La elusione fiscale è praticabile perchè gli stati si fanno concorrenza fiscale e le imprese, muovendosi nello stato di diritto, utilizzano al meglio e a loro vantaggio le norme esistenti. occorre cambiare queste norme non rinunciare allo stato di diritto, perchè una volta infranto questo limite quale sarebbe il prossimo passo verso il fascismo fiscale? (peraltro già molto presente in Italia).

    • Marco Greggi

      Il problema è che tassare il reddito diventa difficile in questi casi, tra l’altro, per l’esistenza di trattati internazionali che non lo consentono (o meglio, non lo consentono tutte le volte in cui il governo italiano lo vorrebbe).

    • DDPP

      Totalmente d’accordo

  3. Alfonso Salemi

    Per risolvere il problema della tassazione delle aziende, ma anche dei singoli contribuenti, si potrebbe pensare ad una tassazione per via informatica.e contestuale all’erogazione del bene o servizio
    In questo modo sarebbe molto ridotto il gioco di ” guardie e ladri” che avviene con il sistema attuale di tassazione.
    Esempio: nel momento stesso di acquisto di un bene o servizio viene trasferita all’erario l’aliquota corrispondente. Ad es. se il cliente paga 1000 € vengono trasferite direttamente 35 € (o un’aliquota prefissata) e non ci sarà più bisogno di fare la dichiarazione dei redditi. Naturalmente il problema non è così semplice, ma è certamente più semplice del sistema attuale.
    Se prendiamo il caffè in un bar svizzero si vede realizzato questo sistema e nello scontrino è riportato il prezzo del caffè e la relativa detrazione versata all’erario in tempo reale. Non sarebbe male fare una telefonata all’ufficio svizzero competente per sapere con precisione come sono organizzati.

    • Marco Greggi

      Il sistema che lei propone, quello della sostituzione tributaria, è ampiamente praticato in Italia. Anche la comunicazione diretta con l’amministrazione finanziaria della transazione (in luogo dell’emissione dello scontrino) è possibile, sebbene non in realtà parcellizzate come quella di un bar. L’esperienza delle Divisioni della contribuzione elvetiche (mirabile !) è difficilmente esportabile però in Italia, per motivi essenzialmente culturali. Il problema qui è che molte dei quelle società non pagano perché ritengono di non essere tenute a farlo.
      Problema che diviene ancora più complesso perché, in moti casi e a fil di diritto, hanno ragione loro.

  4. DDPP

    L’idea di tassare il fatturato è molto antica: si chiama dazio. Che poi il dazio sia sul numeo di transazione oppure sul valore presunto del bene non mi sembra diverso.
    La globalizzazione ha portato enormi benefici mondiali e tanti problemi settoriali: premia i flessibili e punisce i torpidi.
    Ma se iniziamo con i dazi si torna diritti al mercantilismo seicentesco e perdiamo tutti

    • Marco Greggi

      Il titolo originale di questo mio contributo era semplicemente “Giochi di guerra” e voleva essere un omaggio nascosto a un film di culto della mia gioventù (Giochi di guerra, 1983), tradotto in salsa tributaria. Lo scenario che Lei dipinge, proprio come nel film, è quello della M.A.D. (Mutual Assured Destruction). Grazie al cielo, per noi, sempre in una prospettiva fiscale !

  5. Henri Schmit

    Il problema discusso è immenso, e di estrema importanza. Fa riflettere l’alternativa posta dall’autore per la strategia negoziale dell’UE: l’obiettivo è di lottare contro l’elusione/evasione delle (digital companies?) multinazionali DELL’IT, e di tutte le altre CON l’IT, provando a mettersi d’accordo nell’OCSE su regole condivise, o di lottare contro i regimi fiscali di scopo dei paesi vincenti nella guerra globale per accaparrarsi gli introiti fiscali delle attività internazionali? Lo stesso equivoco vale per l’Italia nei confronti dei suoi partner europei più efficienti: è più facile denunciare la concorrenza sleale dei paradisi fiscali che di spegnere le fiamme dell’inferno fiscale a casa propria. L’IT-economy pone delle sfide per le quali la normativa esistente (1. il permanent establishment 2. IL SUO UTILE!) non è attrezzata. Una turn-over tax che ignora il margine è assurda . L’Italia non riesce nemmeno a tassare gli utili dell’industria pesantemente immobilizzata, fortemente sovvenzionata nel passato, figuriamoci l’efficienza fiscale nella nuova economia del web e del servizio, in un mondo sempre più aperto, globale, permeabile. E che cosa fa il governo? Prova a attrarre i ricconi di tutto il mondo e super-manager di Londra con vantaggi mirabolanti. L’industria finanziaria della City non si trasferirà a sud delle Alpi. Il paese è talmente inefficiente nella concorrenza europea che a prescindere delle trattative internazionali rischia di poter contare solo sull’IVA.

    • Marco Greggi

      Gentile Dottore, le sue preoccupazioni sono fondate, così come profonde le radici del problema. Devo ancora leggere le conclusioni del vertice informale, ma la mia paura è che la frattura sia già all’interno dei 28. Tutti mettono all’indice Svizzera, Singapore e le “grandi multinazionali: ma io penso che il problema sia più vicino. Restando in metafora: il “nemico è già dentro”.

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