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Cosa succede dopo i referendum

Archiviati i due referendum inutili in Lombardia e Veneto, parte ora la trattativa. Ma può trasformarsi in farsa se la richiesta è di mantenere sul territorio gran parte delle imposte destinate allo stato, illudendo i cittadini su un esito impossibile.

Si vince con ogni risultato

Da poche ore si sono chiuse le urne – o spenti i tablet – in Veneto e Lombardia. Al di là delle polemiche o delle battute sull’efficienza del voto elettronico, certamente utili e interessanti ma ininfluenti ai fini della vera posta in palio, le prime dichiarazioni di vittoria e ottimismo di Luca Zaia e Roberto Maroni confermano l’inutilità di una tornata referendaria il cui esito era ampiamente prevedibile e i cui rischi superavano di gran lunga i possibili effetti positivi.

Data per scontata la vittoria del “sì” (infatti superiore al 95 per cento in entrambe le regioni), per i referendari la vera battaglia si giocava sulla partecipazione. Che è stata elevata in Veneto (circa il 60 per cento) e invece contenuta in Lombardia (il 38,25 per cento). E, tuttavia, entrambi i presidenti hanno già annunciato che andranno a Roma portando il massimo delle richieste possibili. Il che, nel caso lombardo, sarebbe incomprensibile se il referendum fosse stato davvero cruciale. In Lombardia, nel 2016, la partecipazione al referendum confermativo della riforma costituzionale fu del 74 per cento (dato simile a quello delle regionali lombarde del 2013). Non solo: ai lombardi sembra che la questione dell’autonomia interessi appena un po’ di più della questione delle trivelle in mare (partecipazione al 30 per cento). Tuttavia, Maroni fa benissimo a infischiarsene: perché avrebbe dovuto e potuto avanzare le sue richieste in termini di competenze anche se la partecipazione al voto fosse stata la metà. O anche, guarda un po’, se il referendum non si fosse mai nemmeno tenuto. Perché gli argomenti cruciali che le due regioni dovranno portare per convincere il legislatore risiedono negli equilibri dei loro bilanci e non nella loro capacità di mobilitare il corpo elettorale su una domanda dall’esito prevedibile e scontato.

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Sia chiaro: qui non si sostiene che il voto non conti nulla. Anzi, si sostiene proprio il contrario: Zaia e Maroni sono presidenti eletti direttamente dalla popolazione e rappresentano l’intero territorio regionale, così come le altre istituzioni regionali. Avevano già nelle loro mani un forte mandato politico, che il referendum avrebbe solo rischiato di ridurre. Che cosa succede quindi, ora?

La trattativa

A questo punto potrà finalmente cominciare la procedura prevista dall’articolo 116 della Costituzione. L’organo regionale competente dovrà approvare una richiesta che sarà poi inviata al governo e che diventerà la base per una trattativa. Se sarà raggiunto un accordo tra le parti, questo sarà sottoposto al giudizio del parlamento, che dovrà approvarlo a maggioranza qualificata.

Il passaggio parlamentare, oltre che costituzionalmente sacrosanto, diventa estremamente interessante perché costringerà i partiti nazionali a prendere posizione in merito alla questione. E li costringerà a farlo proprio nel pieno della campagna elettorale per le elezioni politiche. Certo, il parlamento si presenta all’appuntamento senza avere ancora fatto il proprio dovere: a sedici anni dalla riforma costituzionale e a dieci dall’approvazione di un disegno di legge governativo, non esiste ancora una legge di applicazione dell’articolo 116, che avrebbe avuto quantomeno il merito di dare maggior certezza al procedimento, soprattutto per quanto riguarda i tempi di inizio e di conclusione della trattativa. A proposito della quale, se dal lato delle competenze si è capito che entrambi i presidenti punteranno a ottenere tutte le ventitré previste, Zaia ha già ribadito la richiesta di tenere sul territorio i nove decimi delle imposte versate a Roma. Sempre che sia prima confermata dal Consiglio regionale, realisticamente la richiesta dovrà comunque essere abbandonata. La fastidiosa campagna di disinformazione cominciata prima del referendum sembra continuare: ciò è molto grave perché illude i cittadini rispetto a un esito che, a Costituzione vigente, non potrà mai realizzarsi. E rischia di creare tensione tra i cittadini e lo stato centrale, davvero un brutto modo per cominciare il processo che, la Catalogna insegna, per avere successo deve essere svolto in collaborazione e non certo in opposizione tra stato e regioni. Chiedere al governo prima e alla maggioranza qualificata del parlamento poi di non trasferire più risorse a Roma significa montare una farsa calcolata, entrare in una trattativa sapendo già che fallirà.

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È lecito aspettarsi minore spesa pubblica e minori tasse? In realtà, la storia del regionalismo italiano non è un elenco di esempi felici. I guadagni di efficienza della spesa a livello locale (legati principalmente ad argomenti di maggiore conoscenza delle esigenze locali) potrebbero annullarsi con la rinuncia ad economie di scala. Il successo di questa operazione dipenderà inoltre anche dalla qualità del ceto politico di riferimento. Tanto per cominciare, per esempio, non sarebbe male mettersi a raccontare la verità agli elettori, una volta tanto.

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28 commenti

  1. Savino

    Se c’è malcontento, il popolo bue ha il dovere di chiamare il malcontento con il proprio nome e non di nascondersi dietro le bandierine e le mascherine dell’autonomismo.
    Cosa succede? I tanti “Batman” delle Regioni e delle autonomie locali sguazzeranno nei 9/10 delle tasse.

  2. Rick

    La mia impressione è che la grande e trasversale partecipazione al referendum in Veneto abbia rinforzato il bargaining power di Luca Zaia. Portare la maggioranza assoluta degli abitanti di una regione a votare si per una richiesta di maggiore autonomia pone una questione politica che non può essere insabbiata.
    Conseguentemente, e forte (anche) di questo risultato, Zaia ha posto richieste che lui per primo sa di non poter portare a casa con lo scopo di cedere su di esse ma di ottenere autonomia su tutte e 23 le competenze possibili.

    Discorso diverso per Maroni, dove l’esito del referendum (sono d’accordo) non l’ha rafforzato ne indebolito.

  3. bob

    La follia di questo “Paese” passa attraverso queste assurdità:

    Sono materie concorrenti:
    Rapporti internazionali e con l’Unione europea delle Regioni;
    Commercio con l’estero;
    Tutela e sicurezza del lavoro;
    Istruzione, salva l’autonomia delle istituzioni scolastiche e con esclusione della istruzione e della formazione professionale;
    Professioni;
    Ricerca scientifica e tecnologica e sostegno all’innovazione per i settori produttivi;
    Tutela della salute;
    Alimentazione;
    Ordinamento sportivo;
    Protezione civile;
    Governo del territorio;
    Porti e aeroporti civili;
    Grandi reti di trasporto e di navigazione;
    Ordinamento della comunicazione;
    Produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia;
    Previdenza complementare e integrativa;
    Coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario;
    Valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali;
    Casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale;
    Enti di credito fondiario e agrario a carattere regionale.

  4. Marco

    L’esperienza spagnola insegna una cosa: MAI dare alle regioni competenza sul sistema educativo. È peggio che dar loro direttamente l’indipendenza. In Spagna i libri di testo di storia sono diversi da regione a regione ed in Catalogna questo ha permesso la creazione e l’indottrinamente di una “storia alternativa”, basata su di una mitologia nazionalista. È principalmente questo che ora alimenta l’irrazionalità nel discorso pubblico in Catalogna e che permette al governo separatista di Barcellona di “vendere” alla sua base (composta in ampia misura da studenti frutto di un sistema educativo “autonomo”) l’idea che bisogna liberare la Nazione Catalana primigenia dall’oppressione di una dittatura franchista e dalla schiavitù della Costituzione e delle leggi spagnole.
    Il risultato è che di fronte all’invenzione nella scuola di una epica di “liberazione nazionale” risulta ora quasi impossibile riportare il confronto sul terreno fattuale e prosaico della negoziazione politica: finanziamento, solidarietà intra-territoriale, investimenti in infrastrutture, ecc. Uno scontro violento fratricida è ora molto probabile. Morale: Dio guardi l’Italia dal commettere l’idiozia di “federalizzare” l’educazione primaria e secondaria permettendo la dissoluzione degli elementi culturali comuni che sono alla base del sentimento di appartenenza ad una stessa comunità politica, legata da un passato, un presente ed un futuro comuni.

    • Ducaconte

      Scusi, perchè allora non togliamo l’istruzione alle RSS che già oggi sono autonome su questo versante, Province Autonome e Valle d’Aosta? Sulla storia alternativa poi sarebbe bene fare qualche indagine su cosa si dice oggi in giro per il paese con la scuola gestita dal centro: sicuri che sia lo stesso? Ancora: anche le altre regioni in Spagna sono autonome sul versante istruzione. Perchè i catalani non possano anche loro dire che la ricostruzione storica a Madrid o nei Paesi Baschi sia distorta non è chiaro.

  5. Ducaconte

    Va bene, nove decimi una bufala. Quanto allora? O si fa il solito giochino di trasferire funzioni ma non i soldi?

  6. Venexian

    Mi trovo in disaccordo con gran parte del contenuto dell’articolo. Innanzitutto, anche se non necessario, un referendum rafforza notevolmente le posizioni dei negoziatori. Secondo punto, non dimentichiamo che già nel 1992, 1998, 2001 e 2006 richieste, da parte del Veneto, di referendum analoghi o di trattative con il governo furono bocciati dalla Corte Costituzionale o non ebbero seguito per inerzia governativa. Anche 4 dei 5 quesiti originari di questo referendum sono stati bocciati dalla Corte. La materia fiscale non è trattabile fino ad un certo punto: maggiori competenze prevedono il trasferimento di risorse, dovendosi garantire la copertura finanziaria per legge. Inoltre, perché un governo non dovrebbe voler concedere maggiore autonomia alle altre regioni? E’ una affermazione discutibile, considerando l’esempio di stati federali efficienti come Germania, Austria, Svizzera. In tutta Europa il superamento dello stato-nazione come uscito dalla Pace di Westfalia è in crisi: Scozia e Catalogna, solo per dare due esempi di attualità. La ristrutturazione dell’Europa in macro-aree più omogenee dal punto di vista economico-culturale porterebbe indubbie efficienze strutturali che compenserebbero ampiamente le supposte, mancate economie di scala. Oggi i numeri li fanno le reti e i sistemi coordinati, perché più flessibili, e non tanto i blocchi unitari e monolitici. Perché oltre la metà degli stati UE ha meno abitanti e PIL di Veneto e Lombardia e prosperano felicemente?

    • bob

      lo stato-nazione è quello che ti ha portato fuori dalle fame nera! Ha ragione Luciano Benetton” Autonomia? Di che…! Balduzzi (prof. a Milano) è l’unico che con onestà intellettuale e senza alcuna ideologia ha esposto un quadro veritiero rispetto a tutti i numeri-bufala che sono stati detti. Al “signore” che sostiene che i cittadini veneti, liguri etc. siano spolpati dalle tasse, consiglio di portare la residenza a Roma (solo la residenza) visto che ci sono tutti questi vantaggi. Il prodotto lordo è il risultato di una serie di parametri più complessi e chi sa un po’ di economia o chi sta sul campo con una qualsasi azienda lo capisce. Il resto è “biada per il popolino” costa poco e rende molto.

    • Paolo Balduzzi

      Grazie del commento. Rispondo punto per punto.
      1. “Il referendum rafforza le posizioni dei negoziatori” è una affermazione che va provata. In linea teorica, potrebbe anche diminuire la forza dei negoziatori, qualora il Governo volesse evitare di creare un precedente e invece premiare chi ha scelto la strada tradizionale (vedi Emilia Romagna). Io penso – e mi auguro – che il risultato del referendum sarà ininfluente (mi spingo a dire che Zaia avrebbe potuto chiedere le 23 materie anche se il quorum non fosse stato raggiunto), così come mi auguro che sarà ininfluente il colore politico delle maggioranza coinvolte. Una decisione di questo tipo dovrà essere basata solo su criteri quanto più oggettivi (gli equilibri di bilancio?). In linea pratica, invece, la storia ci dirà tra qualche mese chi avrà ragione. Quindi aspettiamo.
      2. La materia fiscale è trattabile, certo, ma limitatamente alla copertura dei costi di gestione dei servizi. Tanto spenderà di meno lo Stato (3 miliardi nel caso delle 23 materie, probabilmente), tanto potrà tenersi il Veneto sul territorio. Una cifra di gran lunga inferiore ai 9/10 delle entrate richiesti
      3. Perché l’Italia non è uno stato federale ma regionale (quindi unitario). Concordo però che la mia affermazione è discrezionale. Qualcuno crede davvero però che in Italia lo Stato sia disposto a dare l’istruzione a 15 regioni?

      • bob

        Io la vedo così:

        questo “referendum” ha certificato solo una diversità culturale tra i cittadini abitanti di certi territori. Non credo più alla divisione culturale Nord-Sud, non credo ci sia una “questione” ne settentrionale ne meridionale, credo che l’Italia con l’avvento della globalizzazione è divisa nella società a Nord come a Sud! Oliviero Toscani lo ha detto con una provocazione pesante ma che fa riflettere e che in qualche modo riprende l’esternazione del suo “datore di lavoro” Luciano Benetton “l’Autonomia! Ma di che….?

        E’ il Veneto profondamente spaccato! Porto ad esempio una città come Verona che vive con dinamiche e parametri diversi dal profondo Nord- Est ma anche dalla sua stessa provincia, basta analizzare le percentuali dei votanti ( il sistema Fiere – i rapporti con Roma – il turismo- la cultura e l’arte con l’Arena). Una mentalità diversa che per continuare ad esistere deve essere sempre più Roma o Milano cioè inclusiva , attraente, disponibile e quindi comprende che non può permettersi il linguaggio del “ mona” come dice Toscani. Basta vedere i dati di Milano per intendere cosa voglio dire

        Se qualcosa di utile c’è stato un questa consultazione è quella di avere fatto emergere una divisione tra una mentalità aperta con una mentalità chiusa sugli stessi territori. Non si può più parlare di Nord- Sud oggi la facilità dei contatti e i mezzi a disposizione dei giovani creano aperture e non chiusure. Il resto è piccola mediocre “politica”

  7. Temo che i cittadini delle regioni bene amministrate non sopportino più di vedere lo sfacelo di parte del Sud e soprattutto della capitale. Non se ne può più di vedere miliardi buttati letteralmente nella spazzatura a Roma mentre buona parte dei cittadini lombardi, veneti, emiliani, liguri sono spolpati dalle tasse. Dispiace vedere che la politica romana non prende coscienza della situazione. Spero che almeno evitino di alzare barricate contro il 30 per cento della popolazione che produce il 50 per cento del prodotto lordo!

    • Savino

      Così certe Regioni hanno più soldi per farsi rimborsare le mutande verdi? Oppure Galan può farsi le ville coi soldi del MOSE?
      I politici sono tutti uguali, a Roma come a Milano e Venezia

  8. Michele Lalla

    I lombardi sono stati saggi, ma non sono saggi i promotori, che hanno scherzato e scherzano ancora con il fuoco; forse, solo per il potere personale: chi ha dimenticato le monete padane (finite in truffa celata), le lauree comprate, i diamanti, i lingotti d’oro, le mutande verdi, …Buffonate e buffoni?. No. Il pericolo è proprio questo: siamo un paese di teatranti. Chiedo a Zaia e ai veneti che sono andati a votare in massa: «Perché non ripianate voi il buco della Popolare di Vicenza e del Banco Veneto?». Chiedo al governo di chiedere a Zaia, che va trionfante al tavolo, di ripianare lui (e i suoi sostenitori) i buchi, poi si parla della questione … Anche il governo è latitante; ma se è per strategia, è ottimo (bravo Gentiloni). Insomma, in modi diversi la storia si ripete. L’articolo poteva essere piú severo, ma ha messo in luce bene i termini della questione.

  9. bob

    ..aggiungo se qualcuno può spiegarmi cosa sono “materie concorrenti” su un fazzolletto di terra come l’ Italia?

  10. EzioP1

    Il gioco ormai è fatto. Non avendo sufficienti argomentazioni per le prossime elezioni era necessario costruirne almeno una che tenesse banco per tutto il tempo tra ora e le elezioni. L’autonomia con tutto il battage che comporterà tra governo e Lega sarà un ottimo palco teatrale per le due regioni referendarie e per la Lega in generale. Dalla proposta della legge che dovrà essere approvata dai due rami del parlamento per concedere il via alla negoziazione tra regioni e governo, dai fondi assegnabili, dal tipo di autonomia, dal tempo da cui farla decorrere, ecc. saranno motivi di riscaldamento delle teste degli elettori.

  11. Historicus

    Perché il Veneto non dovrebbe essere regione a statuto speciale? Ripassiamo assieme un po’ di storia. 1. La Sicilia occupata dagli alleati aveva richiesto di diventare uno stato USA, De Gasperi rispose con la concessione dello statuto speciale garantendo agli Usa le basi militari tuttora presenti. Da notare che la Sicilia è stata soggetta al Regno di Napoli e degli Ottomani prima, quindi mai stato indipendente. 2. Sardegna: la sua insularità ne ha accomunato il destino a quello siciliano, anche se è stata soggetta al Piemonte per secoli. 3. Val D’Aosta: c’era il pericolo che diventasse un dipartimento francese come riparazione di guerra. 4. Friuli Venezia Giulia: in piena guerra fredda, privato dell’entroterra istriano-dalmata, era necessario assicurarla all’Italia anche per motivi strategici. Da notare che tutta l’area, ad eccezione di Aquileia, era stata per secoli della Repubblica di Venezia. 5. Trentino Altro adige / Suedtirol: onde evitare l’effetto Belfast che già prendeva piede negli anni ’60 con attentati ed omicidi e per mantenere buone relazioni con l’Austria, venne concesso lo statuto. L’area era stata per secoli parte dell’Impero Asburgico, con il Tirolo unito fino al 1918. E il Veneto? Dopo dieci secoli di indipendenza come Repubblica di Venezia (molto più grande territorialmente) pare oggi non abbia diritti ad avere un’autonomia speciale, un po’ più marcata delle altre cinque regioni sempre soggette ad altri dominatori…bizzarro, non trovate?

    • enzo

      In riferimento alla Sicilia: non è mai stata parte dell’Impero Ottomano. Il Regno di Sicilia nel medioevo (fino ai vespri) comprendeva anche il napoletano. Quando, per motivi dinastici, sia il napoletano che la Sicilia hanno fatto parte dei domini asburgici, sono sempre stati regni separati, come la Sardegna, il ducato di Milano, ecc. Dopo le guerre di successione i regni andati ai Borbone e tornati indipendenti sono rimasti due sotto un unico sovrano fin quando Ferdinando li ha uniti nella prima metà dell’Ottocento nel Regno delle Due Sicilie. Questo portò alla rivolta del 1860 per ottenere l’indipendenza da Napoli in cui si inserì la spedizione dei mille che portò invece all’annessione unitaria.

  12. Henri Schmit

    Analisi impeccabile. Aggiungo che c’è qualcosa di falso e rischioso nelle modalità di referendum scelte dalle due regioni: un referendum con valore solo consultivo non impegna né chi lo propone né l’organo di decisione della regione e non permette ai cittadini lombardi e veneti di decidere alcunché. La rivendicazione di Zaia all’indomani del verdetto che va oltre l’ogetto della consultazione mostra l’inefficacia e la rischiosità dello strumento per i principali, cioè i cittadini; si tratta sostanzialmente di strumenti demagogici in mano a chi governa.

  13. enzo

    Voglio proporre due argomenti. Nel rispetto dell’art 116 e della legge determinate funzioni possono passare dallo stato alle regioni, indipendentemente dalla loro posizione geografica. In altri termini ci sarà una rincorsa delle regioni (tutte quelle che possono) ad appropriarsi di funzioni dello stato centrale e quindi a gestire i soldi che verranno trasferiti dallo stato centrale alle regioni in proporzione a quanto già avveniva precedentemente (alla faccia del residuo fiscale). Lo stato centrale continuerà a riscuotere le imposte come prima mentre le regioni saranno libere di spendere i nuovi trasferimenti nel modo migliore senza assumere il bieco aspetto dell’esattore. Concludendo le regioni potranno aquisire nuove funzioni e nuovi finanziamenti indipendentemente dal fatto che siano o meno contribuenti nette. Il secondo aspetto è questo: mi sembra che si ponga tutta l’attenzione sulla questione finanziaria. In realtà nel momento che si passano le funzioni non si trasferiscono solo i finanziamenti ma anche l’organizzazione e quindi il personale. Se la questione per volontà divina dovesse riguardare solo il Veneto forse nessuno ci farebbe caso, ma in realtà, “a Roma” ci sono centinaia? di dipendenti che svolgono quella funzione (esclusi quelli che sono già sul territorio regionale) e che una volta privati di quella andrebbero ricollocati per evitare una ridicola duplicazione di spesa.

  14. Michele

    Le regioni nei loro quasi 50 anni di storia hanno dato una pessima prova di se stesse. Un ulteriore livello di burocrazia. Una fonte di scandali quali il Mose o la sanità lombarda. Dotarle di più competenze e più quattrini da spendere non porterebbe nulla di buono.

  15. franco benincà

    Che il referendum sull’autonomia sia stato una indubbia operazione di marketing elettorale dal dato scontato è evidente in tutti i suoi aspetti, ma, a mio modesto giudizio, l’opera del Governatore Zaia è alquanto ardua ed in sede di trattativa con il Governo andrà inevitabilmente a scontrarsi con gli interessi nazionali, nel vero senso del termine. Tralascio la maggior autonomia sotto l’aspetto fiscale, qui già ampiamente dibattuto, e mi addentro, a solo titolo esemplificativo, su quello dell’energia.
    La distribuzione/produzione di energia può essere sorretta da un monopolio della Regione Veneto?
    Credo sia molto difficile estromettere i “grandi” produttori/distributori” (ENI per es.)
    I capitali saranno reperiti nel “mercato regionale”?
    Non credo, considerato che consorzi di energia già esistenti (vedi BIM Piave) si avvalgono dei contributi dei Comuni locali che ne costituiscono anche la governance
    La Regione autonomamente può sostenere un mercato concorrenziale dell’energia in regime di oligopolio?
    Mi riesce difficile immaginare la concorrenza tra la BIM Piave e Gazprom o con i giganti anglo-franco-americani, oppure passi un messaggio promozionale del tipo “l’energia per i veneti a prezzi scontati”, considerato che la fonte da cui attinge la Regione Veneto è legata alle interdipendenze nazionali ed internazionali.
    A parte il settore turistico ed una sanità “veneta” riconosciuta di eccellenza, di cui già si beneficia, la contrattazione di una maggiore autonomia non può prescindere dal peso degli interessi in gioco e dalla forza contrattuale che non è misurabile in termini di consenso, ma da quanto le attività economiche “venete” in termini finanziari/ strutturali sono innovative e competitive, in assenza di appoggi nazionali.
    Spero valga di monito la crisi che pesantemente sopportano le medie/piccole attività industriali, e la caduta verticale degli istituti di credito veneti.
    Maggior autonomia potrebbe essere quello che ho sopra argomentato, ma spero tanto che il grande consenso raggiunto e voluto da Zaia non sia l’ennesima occasione di benefit impropri ad amici, clienti e lobbies vicine alla politica del Governatore.

  16. franco benincà

    a mio modesto giudizio l’opera di trattativa di Zaia andrà a scontrarsi con gli interessi nazionali. Esempio per la materia “energia”. La distribuzione/produzione di energia può’ essere sorretta da un monopolio veneto? – La regione può sostenere un mercato concorrenziale di energia in regime di oligopolio?. E’ difficile passi un messaggio del tipo “l’energia per i veneti a prezzi scontati” considerato che la fonte di fornitura è legata alle interdipendenze nazionali ed internazionali. La contrattazione di una maggiore autonomia non può prescindere dal peso degli interessi in gioco non misurabile in termini di consenso. Il peso veneto è determinato da quanto le attvità economiche medio/piccole del territorio siano innovative/competitive finanziariamente/strutturalmente. Sia di monito la pesante crisi che sopportano e la caduta verticale degli isituti di credito veneti. Spero che il consenso ottenuto non sia l’ennesima occasione di benefit impropri ad amici, clienti e lobbies vicine alla politica del Governatore

  17. Giorgio

    Quante belle parolone, solo critiche e commenti pessimistici ..certo! ora si gioca la partita della negoziazione che non sarà certo facile conoscendo la palude Romana, ma che con un mandato popolare (Veneto) di questo tipo avrà certamente più forza, come non capirlo?? e poi vi siete persi quanto sia stato bello per un cittadino Veneto esprimersi su questo quesito e sentire un orgoglio identitario che mi ha messo i brividi. Pensate solo se non ci fosse stata tutta questa campagna denigratoria sul referendum da parte da tutti questi tecnici benpensanti (di cui ho tutta la mia disistima), l’affluenza sarebbe stata ancora maggiore, io resto fiducioso che ci porteremo a casa tutte quelle competenze che dimostreremo di saper gestire al meglio, lasciate senza mettervi di traverso che ci sia concesse e poi vedremo.

    • bob

      I tecnici parlano con i numeri, risponda loro con i suoi numeri. Della gestione ne sono convinto, come oltre il 50% degli abitanti della Regione che non sono andati a farsi prenderei giro. Come la gestione delle banche fallite, del MOSE, di Pfas …altro che brividi… Viene tristezza!

    • Amegighi

      Caro Giorgio, in politica esiste la demagogia, la bellezza della passione, l’idealismo, l’utopia. Tutte cose che possono essere positive o negative a seconda di come vengono considerate dalla propria opinione. Ma esiste anche la realtà dei fatti, dei dati e delle cose, con i quali ci si deve necessariamente scontrare. E questa realtà dei fatti è il metro che distingue il vero politico, da quello di piccolo cabotaggio, se non falso o burlone, una specie che noi in Italia conosciamo bene. Il vero politico è quello che analizza bene il problema, oserei dire in modo assolutamente freddo. Ne individua altrettanto bene la soluzione, considerando che la vittoria o i vantaggi stanno in quanto si riesce ad ottenere rispetto all’ipotesi nulla, attraverso la cooptazione anche degli avversari, cioè il compromesso. Infine applica la soluzione approvata, cosa anche questa non facile, ottenendo dei risultati facilmente individuabili dalla gente. “Facilmente individuabili” si intende che la gente se ne rende conto da sola, senza la necessità di slogan o altro.
      Se considera questo, vedrà come ben difficilmente vi sono persone di questo livello, da noi. Eppure di queste persone c’è necessità, come dei “tecnici” (a casa mia si chiamano studiosi o ricercatori; e non sono benpensanti, ma utili, fosse altro per controllare le immani fesserie che vengono dette) che li aiutano alla ricerca delle soluzioni.

  18. Michele

    Dopo i referendum non succede nulla. Solo qualche decina di milioni di euro da pagare in più con le tasse dei contribuenti. Tra qualche settimana non se ne ricorderà più nessuno. Referendum che sono solo propaganda elettorale pro lega. Tutto il resto “is conversation”. I fatti stanno a zero.

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