Sono bastate due settimane per trasformare un’apprezzabile manovrina non elettorale in un provvedimento che introduce e rinnova bonus, detrazioni e deduzioni. Si preservano, in modo opaco, i saldi, preparando il terreno per la prossima fiducia.
Solo ora è arrivata la vera legge di bilancio
Il disegno di legge di bilancio 2018 era uscito dal Consiglio dei ministri come una manovrina non elettorale. Di piccola entità, senza grandi sforamenti relativamente agli obiettivi indicati all’Europa, anzi con i saldi complessivamente in ordine, cioè con deficit e debito in calo rispetto al Pil, anche grazie a previsioni un po’ (ma di poco) più rosee del giusto. Poi l’uscita del documento scritto corrispondente a – come chiamarla – l’espressione di intenti approvata e inviata a Bruxelles ha tardato per due settimane (dal 16 al 30 ottobre). In quattordici giorni i saldi della manovra sono rimasti gli stessi, ma il numero dei suoi articoli è lievitato. Così come la lista dei bonus, nuovi e rinnovati, e delle detrazioni e deduzioni per sempre nuove categorie di beneficiari.
La tabella riportata sotto riassume i dati della manovra arrivata in Parlamento.
La variazione complessiva delle entrate derivanti dalla manovra è negativa per quasi 10 miliardi di euro (9,8 per la precisione). La cifra ricordata è il netto tra un numero negativo in assoluto più grande e attribuibile alle risorse reperite per la cancellazione delle clausole di salvaguardia (14,9 miliardi) e le misure di aumento delle entrate che derivano da misure di contrasto all’evasione (circa 2 miliardi) e dal differimento di entrata in vigore dell’imposta sul reddito di impresa (Iri) al 2019. Il rinvio di un taglio di tasse per le imprese piccole o individuali che vale 2,2 miliardi di euro di entrate aggiuntive per il 2018. Dalla decontribuzione di carattere strutturale per incoraggiare l’occupazione giovanile arriverebbe un ulteriore taglio di entrate per 0,4 miliardi di euro.
Dalla stessa tabella le uscite risultano in aumento per oltre 4 miliardi. Le voci principali sottostanti all’aumento sono 1,6 miliardi per il rinnovo dei contratti del pubblico impiego, 1 miliardo per le spese sociali (fondo per i lavoratori socialmente utili, l’estensione dell’Ape sociale e l’aumento nella dotazione del fondo contro la povertà) e 900 milioni per gli enti locali (regioni, province, città metropolitane). Per le spese associate al sisma, oltre alle voci già stanziate in passato, si aggiungono 170 milioni di euro. Tra i ministeri, quello di Istruzione e università riceve una dote di quasi 100 milioni di euro, mentre il ministero della Giustizia ottiene quasi 50 milioni di euro. Per tutti gli altri ministeri 25 milioni di euro. Dalle misure aggiuntive previste nella manovra deriverebbero anche limitati risparmi aggiuntivi di spesa rispetto a quelli previsti finora nella cosiddetta “spending review” per circa 70 milioni di euro. Un numero piccolo rispetto a quanto atteso. Ma i tagli di spesa ci sono, vedere sotto.
Tagli da un tripudio di fondi rifinanziati, riprogrammati, definanziati, cancellati
Il netto tra la variazione complessiva delle entrate e quella delle uscite indicate darebbe un indebitamento aggiuntivo per quasi 14 miliardi di euro. Ma queste sono solo le voci della manovra che riguardano la sezione I del disegno di legge di bilancio, quella dedicata alle innovazioni legislative necessarie a realizzare gli obiettivi programmatici indicati nel Def e nella sua Nota di aggiornamento. Ma poi c’è anche la Sezione II della legge che riporta le variazioni non determinate da innovazioni normative. E non sono briciole. Un importante contributo al raggiungimento degli obiettivi indicati viene dalla combinazione di rifinanziamenti, riprogrammazioni e cancellazioni di fondi predisposti in leggi precedenti e che ora sono riallocati in modo diverso o cancellati o definanziati così come dalla predisposizione di fondi nuovi di zecca come il promettente “fondo per la famiglia” di cui già il partito del ministro degli Esteri Angelino Alfano ha subito lamentato l’insufficiente entità. Una chicca meritevole di speciale menzione è la “riduzione del fondo per la riduzione della pressione fiscale”, che trae origine dall’articolo 93 della legge. Sembra un bisticcio di parole, non lo è.
In ogni caso, grazie al tocco magico dei tecnici che si orientano nelle complicate e poco trasparenti pieghe del bilancio pubblico riformato con la legge rinforzata n. 243 del 2012 e la legge n. 163 del 2016, l’indebitamento aggiuntivo – quello che determina lo sforamento del disavanzo inviato a Bruxelles dall’1 per cento a legislazione vigente all’1,6 programmatico – scende a soli 10,9 miliardi.
Dalla Sezione II della legge di bilancio arrivano infatti 4,3 miliardi di riprogrammazioni e cancellazioni (“tagli”), sufficienti a coprire 1,3 miliardi di rifinanziamenti aggiuntivi e, per la parte residua, a ridurre – appunto – l’indebitamento netto da 13,9 a “soli” 10,9 miliardi. Per reperirne le singole voci ci vogliono gli sherpa dell’Ufficio parlamentare del bilancio e delle Commissioni bilancio del Parlamento che scaveranno nelle duemila pagine del bilancio dello Stato. Di sicuro, grazie ai tagli di bilancio effettuati con queste modalità poco trasparenti, l’indebitamento aggiuntivo è solo di 10,9 miliardi di euro e non di 13,9. Se con la riforma della contabilità dello stato si voleva raggiungere la missione impossibile di migliorare la coerenza e la leggibilità delle manovre di bilancio, rassegniamoci: l’obiettivo non è stato raggiunto.
Tabella 1
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Antonio Petrina
Quel che dalla manovra , finora letta, e’ dato apprendere e’ che osserva una moderata austerita’ pari allo 0.3% del pil , con deficit allo 1.6% per sterilizzare le clausole di salvaguardia , con ridotta spending review ,con sconti e bonus fiscali per le imprese, con gli € 85 di rinnovo ai c pubblici, ecc.
L’attacco alla diligenza poi fa ben sperare in mille rivoli, saldi permettendo!