Il fact-checking de lavoce.info passa al setaccio le dichiarazioni di politici, imprenditori e sindacalisti per stabilire, con numeri e fatti, se hanno detto il vero o il falso. Questa volta tocca alle dichiarazioni di Matteo Salvini e Giorgia Meloni dopo la mancata qualificazione della Nazionale ai Mondiali.
La Nazionale dei politici
L’Italia è fuori dai Mondiali di calcio. Rileggere queste parole fa ancora male a molti, ma dopo la delusione per la mancata qualificazione, la prima dal 1958, è il momento dell’analisi della sconfitta. La sera stessa di lunedì 13 novembre, giorno di Italia-Svezia, in diversi si sono lanciati in accuse e facili spiegazioni. Come Matteo Salvini e Giorgia Meloni, che sui rispettivi profili social (lui con questo tweet, lei così su Facebook) hanno individuato nell’elevata presenza di giocatori stranieri la causa dell’eliminazione dell’Italia dalle qualificazioni. Lo stesso Fabio Cannavaro oggi sul Corriere della Sera propone di stabilire delle quote per “tutelare lo sviluppo dei nostri giocatori”.
Ma è vero che dove c’è una maggiore quota di giocatori stranieri è più probabile un risultato deludente della squadra nazionale nelle competizioni internazionali? All’interrogativo hanno cercato di rispondere Business Insider e, in particolare, Il Post che ha pubblicato un articolo scettico, riportando i dati sui giocatori stranieri di diversi casi eclatanti (su tutti Inghilterra, Germania e Olanda).
La situazione di oggi
Proseguendo sulla linea proposta da Il Post, si può ricercare una possibile correlazione tra la presenza nelle rose dei club di giocatori stranieri e i risultati delle squadre nazionali. I dati utili all’analisi sono dunque due: la quota di giocatori stranieri presenti nelle rose (grazie al gigantesco database di Transfermarkt) e un indice in grado di sintetizzare i risultati nel tempo di una squadra nazionale. Fa al caso nostro il ranking Fifa, depurato delle nazioni extra-europee. Si tratta infatti di una classifica basata su un punteggio assegnato dalla federazione mondiale del pallone a risultati, importanza e difficoltà degli incontri disputati dalle nazionali.
Lo chiariamo subito: se Salvini e Meloni sembrano suggerire un rapporto di causalità tra stranieri e scarsi risultati della Nazionale (l’Italia non si è qualificata a causa dei tanti giocatori stranieri), il fact-checking non può avere tanta presunzione. Evidenzieremo dunque semplici correlazioni: nei paesi le cui nazionali sono più forti, i campionati hanno più o meno giocatori stranieri?
La correlazione tra la posizione nel ranking Fifa e la quota di giocatori stranieri dei primi 23 paesi europei (figura 1) è evidentemente positiva: ciò significa che oggi a una maggiore percentuale di giocatori stranieri nella prima divisione del campionato è generalmente associato un ranking Fifa superiore (in questo caso abbiamo invertito i valori, decrescenti, per mostrare la positività della correlazione). Vale per esempio per Inghilterra (67,2), Belgio (58,4), Portogallo (57,9) e Italia (53,2), cioè i primi quattro campionati per giocatori stranieri, che hanno un ranking Fifa superiore a Islanda (23,3), Ucraina (20,1), Irlanda (20) e Irlanda del Nord (10,6), cioè le ultime quattro tra i primi 23 campionati europei. I dati mostrano dunque una situazione opposta a quella immaginata da Salvini e Meloni.
Figura 1 – Correlazione ranking Fifa-quota stranieri
Fonti: Fifa e Transfermarkt
Va comunque sottolineato che se andiamo oltre i principali campionati europei e facciamo entrare nell’analisi tutti e 52 i campionati Uefa, la correlazione rimane positiva ma si affievolisce nettamente. Questo può suggerirci che la relazione tra buoni risultati della nazionale e alta presenza di calciatori stranieri è vera in particolare per i campionati più forti (e più ricchi).
E il passato?
E se volessimo guardare al passato? Circoscrivendo l’analisi al periodo 2006-2017 e ai cinque maggiori campionati europei – LaLiga, Premier League, Bundesliga, Serie A e Ligue 1 – possiamo vedere se la variazione della quota stranieri nel corso degli anni è correlata ai risultati delle rispettive nazionali (misurati dal punteggio Fifa).
Ne emerge un risultato differente da quello ottenuto sull’ultimo anno: infatti le due variabili sono legate da un coefficiente negativo. A un aumento della quota stranieri è corrisposto un calo del punteggio totale Fifa. È la stessa conclusione a cui giunge chi trova nei giocatori stranieri la causa della mancata qualificazione, una convinzione però basata perlopiù sui ricordi del passato: se nel 2006 gli attacchi della Roma e della Juventus erano guidati da Totti e Del Piero, due eroi del mondiale tedesco, nel 2017 si affidano al talento straniero di Dybala e Dzeko, e la nostra nazionale non riesce neanche a qualificarsi.
Purtroppo l’errore in cui si incappa è che una correlazione, cioè il fatto che due variabili si muovano insieme, non implica un rapporto di causa-effetto. Se all’aumento degli stranieri è corrisposto un calo di punteggio, i due fatti possono essere causati da un terzo elemento – ad esempio il mancato rinnovamento del management dei club, o una generazione di calciatori meno bravi – che né la nostra analisi né Salvini prendono in considerazione.
È utile quindi considerare i risultati delle ultime competizioni internazionali per evidenziare le differenze tra le Nazionali. Nel 2014 il mondiale brasiliano è stato vinto dalla Germania e la Bundesliga aveva una quota di stranieri del 54 per cento, valore molto più alto di quello della Spagna (41,4 per cento), che però non è riuscita neanche a superare il primo turno. Nei mondiali 2010, la Francia con il 49,3 per cento di stranieri nella Ligue 1 si ferma al primo turno, mentre la Germania con una percentuale simile arriva fino alle semifinali. Così come nei mondiali 2006: la Francia, con il 46,6 per cento di stranieri in campionato, ottiene un risultato migliore della Spagna, la cui Liga ne aveva solo il 39,9 per cento.
Tutte queste informazioni ci dicono che la quota stranieri nel campionato non ha probabilmente nessun effetto diretto sul risultato delle nazionali. È al massimo la capacità di ogni paese di coniugare la competitività dei team, i quali si vogliono rafforzare con giocatori stranieri, con la valorizzazione dei talenti nazionali. È ciò che è accaduto in Germania, ad esempio, in cui una quota molto alta di stranieri non ha intaccato i risultati sempre brillanti della nazionale. In Italia, al contrario, la quota di stranieri è raddoppiata dal 2006 a oggi (da 26,4 a 52,5 per cento), ma non è emersa una generazione di talenti paragonabile al passato. E la ragione è dovuta probabilmente ad altri fattori, come i settori giovanili non valorizzati e l’assenza di seconde squadre professioniste (sul modello spagnolo) in cui far crescere i giovani.
Il verdetto
I dati non sono chiari. Se oggi la correlazione tra calciatori stranieri e risultati della nazionale appare positiva, nel passato, per i maggiori campionati, non è così. Un peggioramento che comunque non è stato così importante da far perdere troppe posizioni a Inghilterra, Francia, Germania, Italia e Spagna. E se pure la quota di stranieri può incidere sui risultati della Nazionale, la maggior parte delle analisi più autorevoli non la riconosce tra le variabili decisive. Lo sono invece la qualità dei settori giovanili, gli investimenti fatti dalle squadre, il management dei club. I calciatori stranieri possono rivelarsi sostituti rispetto ai giocatori autoctoni, con effetti negativi sui risultati della Nazionale poiché ne prendono il posto e li relegano in panchina, oppure complementari, rinforzando l’esperienza dei calciatori autoctoni e la competitività internazionale delle squadre in cui giocano.
I dati appaiono ambigui e l’alto numero delle variabili in campo non permette un verdetto univoco. Come è invece quello di Meloni e Salvini, i quali confondono una mera correlazione con una causalità. Mai affidarsi a soluzioni semplici per rispondere a problemi complessi: ecco cosa ci può insegnare la statistica.
Qui è possibile scaricare tutti i dati usati in questo articolo.
Ecco come facciamo il fact-checking.
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Gabriele Lazzati
Ottimo articolo, ben fatto. I numeri dicono molto ma non tutto. Inoltre è davvero complesso trovare l’incidenza dei giocatori stranieri sull’apporto della nazionale del paese in cui giocano visto che ci sono moltissime variabili. Sottolineerei il caso NBA, dove sempre più stranieri si stanno imponendo nella lega, senza per questo diminuire la qualità della nazionale e dei giocatori USA. Questo va di pari passo con un ottimo management della lega, ambiente maturo, commissioner innovativo, arene NUOVE e belle ecc. Secondo me è comunque un esempio da cui prendere spunto, pur parlando di un altro sport come la pallacanestro.
Davide
Islanda e Irlanda e Irlanda del Nord sono campionati storicamente scarsi e quindi di scarsa attrattiva per gli stranieri. L’Ucraina fino a qualche anno fa importava sudamericani a bizzeffe, poi è iniziata la guerra e sono scappati.
In ogni caso, inserirli come esempio di ”basso livello di stranieri” e ”nazionali mediocri” è un argomento debole: nei primi 3 casi, il numero basso di stranieri è conseguenza, non causa del livello mediocre: si tratta di paesi con limitata tradizione calcistica. Nel caso Ucraino è semplicemente colpa della guerra. Un’analisi statistica che non tiene conto di contesti storici o politici vale ben poco.
Gabriele Guzzi
Ciao Davide. La nostra analisi statistica non voleva provare una propria tesi, ma solo smentire quella di Salvini e Meloni: più stranieri nei campionati non implicano per forza risultati insoddisfacenti delle nazionali. La seconda parte dell’articolo si sofferma solo sui grandi campionati, le cui nazionali sono ovviamente comparabili. Un saluto, Gabriele
Davide
Ciao Gabriele, grazie per la risposta.
Mi pare che la conclusione dell’articolo alla fine sospenda il giudizio, oppure la riconduca ad altre questioni, vivaio etc. Ad esempio, in campionati tipo Germania o Spagna dove vi è un numero di stranieri un po’ più basso, ma neanche troppo, unito a una ottima gestione di vivai, l’impatto stranieri si sente meno. Se la gestione vivai manca, si sente di più (vedi Italia). In questo senso, le affermazioni di Salvini e della Meloni non sono errate, ma superficiali in quanto andrebbero inserite in un contesto di scarsa valorizzazione dei vivai, che accentua l’impatto di un elevato numero di stranieri sul rendimento della nazionale.
La Francia poi è un caso unico. Il campionato è zeppo di giocatori che hanno la cittadinanza francese ma anche quella delle ex colonie, immagino vengano calcolati come francesi nel dato del 46%? Molti di quelli che poi non vengono chiamati per la selezione francese poi accettano la chiamata dei paesi d’origine, quindi è un caso difficilmente equiparabile agli altri. Se poi guardiamo altrove, ad esempio usciamo un attimo dall’Europa e guardiamo all’Uruguay, pochi stranieri, tanta tradizione e vivai e una buona nazionale. Idem il Brasile o l’Argentina. La Cina invece di recente si sta riempiendo di stranieri, ma mancano i vivai e la tradizione e la nazionale non si è qualificata, nonostante i buoni risultati dei club cinesi.