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Riforma del processo civile per smaltire gli Npl

Il quadro regolamentare sul trattamento dei crediti deteriorati assume contorni più definiti. Perché le banche italiane rimangano ancorate all’Europa dobbiamo però riformare il processo civile, estendendo il rito sommario.

Un quadro più definito per gli Npl

Nelle prossime settimane il quadro regolamentare riguardante il trattamento dei crediti deteriorati (Npl) assumerà contorni più definiti, tuttavia le prime indiscrezioni trapelate lasciano chiaramente intendere dove si andrà a parare. È molto probabile che la Banca centrale europea, terminata la consultazione sull’addendum alle linee guida sui nuovi crediti deteriorati, decida di mantenerne inalterato l’impianto proposto, rinviando a giugno o dicembre 2018 l’entrata in vigore del provvedimento: i nuovi Npl dovranno pertanto essere interamente svalutati entro due anni dal loro insorgere, se si tratta di prestiti chirografari, ed entro sette anni se si tratta di prestiti garantiti (vedi Baglioni-Hamaui).

Nel frattempo, entro il primo semestre del prossimo anno, la Commissione europea avrà emanato un nuovo regolamento in materia di accantonamenti sui crediti deteriorati, a cui l’Eba sta lavorando, mentre la Bce avrà promulgato le sue linee guida sullo stock degli Npl in essere. Anche in questo caso le prime anticipazioni appaiono abbastanza chiare: entro il 2020 le banche europee dovranno ridurre il rapporto tra credito deteriorato e impieghi sotto il 10 per cento, per poi arrivare al 5 per cento nel biennio successivo. Si tratta di obiettivi ambiziosi, ma non dirompenti.

Negli ultimi anni le banche italiane, sotto la pressione delle autorità di vigilanza, hanno ridotto in maniere rilevante il peso dei crediti deteriorati e aumentato il livello di copertura (vedi grafico). Eppure ancora oggi gli istituti italiani hanno in bilancio una percentuale di sofferenze lorde in rapporto agli impieghi superiore al 16 per cento e al netto degli accantonamenti vicina al 8,4 per cento, il doppio delle banche spagnole e francesi e il triplo rispetto a quelle tedesche o inglesi (vedi Banca d’Italia Fsr). Alcuni intermediari hanno allora stimato che nei prossimi due anni, per assecondare le richieste dei regolatori, dovranno ridurre lo stock dei crediti deteriorati di oltre 100 miliardi e più del doppio a regime. Quest’onere, ovviamente, non è distribuito in maniera omogenea su tutte le banche, ma si concentra su alcuni istituti.

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Cos’è la transaction platform

Al fine di facilitare la vendita o la cartolarizzazione dei crediti deteriorati la Bce e la Commissione europea hanno recentemente proposto la costituzione di una transaction platform, cioè un sistema di transazioni elettroniche, che combini un data warehouse a una depositaria dei crediti deteriorati. L’Eba sta poi lavorando a un insieme di informazioni standard che le banche dovranno fornire su tutti gli Npl. Queste misure dovrebbero aumentare la trasparenza e l’accessibilità dei dati sui crediti deteriorati, ridurre i costi di transazione e le asimmetrie informative e in questo modo avvicinare offerta e domanda di crediti deteriorati. È probabile che una simile piattaforma, almeno in una prima fase, abbia carattere nazionale e natura semi-privatistica. E l’Abi e la Banca d’Italia dotrebbero facilitarne la nascita.

Tuttavia, se si vuole che le banche italiane possano rapidamente convergere agli standard internazionali è indispensabile fare un salto di qualità sul fronte dei tempi della giustizia civile. Nelle scorse settimane al Senato la lobby degli avvocati e dei magistrati è riuscita ad affossare un emendamento alla legge di bilancio che, anticipando una parte importate della riforma sulla giustizia civile, estendeva il rito sommario a numerosi procedimenti. Eppure quell’emendamento, che avrebbe dimezzato la durata dei processi, era sostenuto dal ministro della Giustizia e avrebbe nei fatti aumentato la tutela sostanziale dei cittadini, che oggi devono attendere anni per ottenere giustizia. Se vogliamo che le banche italiane e, più in generale, il sistema paese guadagnino credibilità a livello europeo è importate che alla Camera l’emendamento in questione venga ripresento. Altrimenti continueremo a lamentarci dei tecnocrati europei senza capire che i problemi italiani devono rapidamente essere risolti affrontando a testa bassa le lobby che in questi anni hanno affondato il paese, allontanandolo dall’Europa.

Grafico 1 – Variazione del Coverage Ratio e Npl ratio dal II trimestre 2016 al II trimestre del 2013

 

Fonte: Eba supervisory reporting

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  1. Henri Schmit

    Pur condividendo le valutazioni espresse non capisco a quali dati comparativi di NPL-ratio nell’ultimo FSR di BdI gli autori si riferiscano. Secondo gli studi fatti per la commissione UE (http://www.europarl.europa.eu/RegData/etudes/BRIE/2017/602072/IPOL_BRI(2017)602072_EN.pdf ), il confronto è un po’ diverso: un terzo dei paesi UE è al di sotto del 5% e non ha avuto sbalzi eccessivi durante gli anni della crisi; ne fanno parte D, F e UK. Un altro terzo ha avuto problemi ma è tornato al di sotto del 10%. L’ultimo terzo, fra cui l’Italia, è peggiorato molto durante la crisi e non ha saputo migliorare il NPL-ratio significativamente. Penso che il cuore del problema sia il settore delle costruzioni, iper-ciclico, che sta tuttora peggiorando (secondo il FSR del 24 novembre). Gli errori e le irregolarità peggiori (valutazione, condizionamento politico, connivenze, favori … truffe) nelle decisioni di affidamento delle banche sono forse riconducibili per buona parte a questo settore. Il patto marciano votato dal Parlamento potrebbe permettere di evitare nel futuro i dissesti del presente: invece di bloccare tutto per anni, la banca diventando proprietaria può proseguire il progetto di sviluppo nonostante le difficoltà o il fallimento dell’imprenditore. La misura è stata suggerita nei rapporti tecnici dell’UE (debt-equity switch); è di facile applicazione nel settore immobiliare, più difficile nell’industria.

  2. Alberto V.

    Il processo civile non può essere riformato con un “emendamento” in una legge di bilancio: l’estensione del rito sommario a tutti procedimenti civili, effettuato in codesti termini, lungi dal “velocizzare i processi” o “dimezzare i tempi della giustizia civile” avrebbe solo stravolto il sistema delle regole processuali limitando i poteri processuali delle parti coinvolte (e quindi compromettendo la tutela dei diritti). Se si vuole “accelerare” il processo civile (con effetti finali, raramente considerati, d’incremento del PIL) occorre incrementare il personale
    addetto, ovvero magistrati e cancellieri, aumentandone la specializzazione e dotandoli di strumenti e strutture adeguate (la revisione della geografia giudiziaria era ed è un buon metodo per migliorare la giustizia civile).

  3. Luca Filippo Palamidese

    E’ certamente un problema serio quello dei NPL. Al pari della endemica lentezza dei processi civili italiani, che indubbiamente rallentano la crescita economica e ostacolano gli investimenti stranieri nel nostro Paese. Tuttavia, spiace leggere che le colpe delle lungaggini processuali civili dipendereb come al solito esclusivamente dalle “lobby che hanno affondato il paese”(sic) ovvero avvocati e magistrati. Perché ciò è assolutamente semplicistico. E, francamente, egregio Prof. Hamaui, non Le fa molto onore. Certamente gli operatori del diritto hanno le proprie responsabilità (ad es. cfr. art. 127 Cod. Proc. Civ., a mente del quale tempi e modi dello svolgimento del processo sono dettati dal giudice); tuttavia mi permetto di farLe osservare che le cause delle inefficienze della Giustizia sono molteplici (la lista è lunga, mi limiterò a citare le più importanti): 1) la mancanza di volontà di affrontare una organica riforma della materia (volontà politica). A questa si sono preferiti interventi “spot” e “emergenziali”, che hanno, viceversa, incrementato il numero del c.d. “arretrato”, concepite da persone senza alcuna (o poca) esperienza pratica; 2) disomogeneità della distribuzione delle risorse e del personale tra gli Uff. Giudiziari; 3) difficoltà a far comprendere al ceto giudiziario il concetto di “efficienza”; attenzione, però, le sentenze e i provvedimenti dell’A.G. non sono prodotti che sono fatti in serie, con caratteristiche uniformi,omogenee. Ogni caso è un unicum.

  4. Luca Filippo Palamidese

    Mi scuso col Prof. Hamaui per la “rampogna”. Effettivamente, non doveva essere indirizzata a lui, bensì alla redazione di La Voce che, nella newsletter scrive a proposito della lentezza del processo civile: “Un ostacolo che le lobby degli avvocati e dei magistrati non vogliono rimuovere”.
    Ribadisco che non è così.

  5. Carlo

    In che modo quell’emendamento avrebbe velocizzato i tempi della giustizia, e perché le lobby si sarebbero opposte? In mancanza di chiarimenti al riguardo non ci si può fare un’opinione.

  6. Riccardo Massera

    La “sommarizzazione” del processo civile non potrebbe mai far “dimezzare la durata dei processi”: i processi durano tanto non perché il rito civile offra garanzie eccessive, ma perché le cause sono molte di più di quante se ne possono definire in tempi rapidi, con gli organici attuali. E’ come se 1000 persone volessero mangiare in un ristorante con 100 coperti: per quanto cuochi e camerieri possano diventare più celeri, non potranno mai servire in poco tempo tutti i clienti. A meno di non volere che le cause siano decise con il lancio della monetina, ogni giudice non può scrivere più di un certo numero di provvedimenti; e dato che le cause sono molte di più di quante il sistema ne possa decidere in poco tempo, la soluzione è aumentare in proporzione il numero di giudici e cancellieri. E’ inutile ridurre il numero di memorie che le parti possono depositare, perché questo non riduce il collo di bottiglia che si crea con la fissazione dell’udienza di spedizione a sentenza, una volta che le (troppe) cause sono state istruite. Accusare magistrati e avvocati (pure non immuni da colpe) di essere coloro che hanno affondato il paese è concettualmente errato, e del tutto ingeneroso nei confronti delle migliaia di professionisti (e ce ne sono) che ogni giorno si impegnano per rendere un servizio che coniughi quantità e qualità; ché non ci si può dimenticare di questa per parlare solo di numeri, perché nei processi sono in gioco i diritti degli individui (e non solo delle banche).

  7. Dispiace leggere su LaVoce una aprioristica invettiva contro la (presunta) lobby avvocati-magistrati (peraltro incomprensibilmente accorpati in un’unico gruppo d’interesse).
    Oggi l’avvocato civilista ha interesse a chiudere in tempi brevi, magari con un accordo soddisfacente. Inoltre, il famoso detto (in realtà da sempre fuori luogo) “causa che pende, causa che rende” non ha più senso ora che vi è obbligo di pattuizione preventiva dell’intero compenso e dei tempi di pagamento.
    Spicca poi in particolare la mancanza di dati a sostegno della valutazione dell’Autore: se citati avrebbero verosimilmente dimostrato che il rito sommario è tutt’altro che capace di dimezzare il tempo medio delle cause.
    In realtà, se un credito è (per semplificare, diciamo) sufficientemente provato allora basta un decreto ingiuntivo (che ha tempi rapidi) per incassare (visto che, stante la evidente fondatezza, viene in questi casi reso esecutivo fin dai primi momenti anche se il debitore intenta causa per opporlo).
    Se invece il credito è contestato (per così dire) in maniera più verosimile allora comunque è difficile che il rito sommario resti applicabile: il Giudice spessissimo si accorge che la causa richiede un’istruttoria sostanziosa e converte d’ufficio il rito in ordinario.
    Una mera estensione frettolosa del rito sommario al di fuori di una riforma organica avrebbe solo aumentato la frammentazione del sistema e, quindi, sì favorito davvero chi della soluzione dei casi dubbi fa una professione.

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