La nuova legge elettorale promuove un maggior equilibrio di genere nella formazione delle liste. L’obiettivo del 40 per cento non è stato raggiunto, ma la composizione del Parlamento è più equilibrata. Dati contrastanti nel voto regionale di Lombardia e Lazio.
I numeri delle donne nel nuovo parlamento
Quante donne entreranno nel nuovo parlamento? È una domanda importante in un momento post-elettorale che cade così vicino alla festa delle donne. Gli elenchi con i nuovi eletti non sono ancora definitivi, si ha una sostanziale certezza solo per i vincitori dei collegi uninominali e per i candidati ai primi posti nelle liste plurinominali. Ma si può già cominciare a valutare se la nuova legge elettorale ci restituisce una composizione del Parlamento leggermente più equilibrata.
Alla Camera entrano 210 donne su un totale di 630 deputati, il 33 per cento; al Senato ne entrano 107 su 315 senatori eletti, il 34 per cento. Cinque anni fa, quando la legge elettorale non prevedeva strumenti espliciti di promozione del genere meno rappresentato, alla Camera le donne costituivano il 31 per cento, mentre al Senato erano solo il 29 per cento (dati Eige). Tuttavia, nella passata legge elettorale non vi erano strumenti espliciti di promozione del genere meno rappresentato. Quando manca la conferma dell’elezione ormai solo di pochi parlamentari, è possibile quindi osservare che solo al Senato c’è stato un significativo miglioramento nella rappresentanza femminile. Un risultato che deve far riflettere perché, al contrario della precedente legge elettorale, il Rosatellum prevede espressamente strumenti per promuovere la parità di genere per i candidati in lista. Quindi, se, tra le altre cose, la quota impone la presenza minima di un genere al 40 per cento nelle liste ma le elette sono di meno, significa che qualcosa non ha funzionato.
Tutto ciò è probabilmente una conseguenza del fatto che i partiti sono riusciti sapientemente ad aggirare le regole sulle quote rosa nella definizione delle candidature e perché le preferenze degli elettori per i diversi partiti mediano il passaggio tra la composizione per genere dei candidati e la composizione per genere degli eletti.
Figura 1
Fonte: Elaborazione su dati di Repubblica
I dati infatti migliorano se si considerano solo gli eletti all’uninominale: alla Camera entrano 83 donne su un totale di 232 deputati (36 per cento) eletti col sistema maggioritario; al Senato entrano 45 donne su 116 eletti (39 per cento). È dunque molto probabile che l’effetto congiunto delle pluricandidature femminili e delle liste alternate per genere abbia inciso negativamente sull’equilibrio di genere per gli eletti nel proporzionale.
Come si distribuiscono le elette tra partiti e coalizioni? Nel centro-destra, le donne sono il 30,5 per cento alla Camera e il 31,8 al Senato. Nel Movimento 5 stelle, sono il 41,6 per cento alla Camera e il 38,4 al Senato. Il centro-sinistra mostra percentuali in linea con il centro-destra: è donna il 30,6 per cento deputati e il 33,9 per cento dei senatori.
Figura 2
Fonte: Elaborazione su dati di Repubblica
Su base regionale, i dati sono piuttosto diversi tra i due rami del Parlamento. Al Senato è il Centro a eleggere più donne, mentre alla Camera ne elegge di più il Sud. Il Nord presenta quote molto simili sia alla Camera che al Senato.
Figura 3
Fonte: Elaborazione su dati di Repubblica
Qualche riflessione suggeriscono anche i risultati delle elezioni regionali in Lazio e Lombardia, che eleggono i propri consiglieri sulla base di regole diverse. In Lombardia, la promozione della parità di genere prevede la combinazione di quote di genere nelle liste, dove il genere meno rappresentato non può scendere sotto il 40 per cento, l’alternanza di genere nelle liste dei candidati e la doppia preferenza di genere. Per il Lazio, la legge elettorale approvata a fine 2017 prevede le quote di genere nelle liste al 50 per cento e la doppia preferenza di genere.
In Lazio sono state elette 16 donne su 50 consiglieri, un 32 per cento in linea con i risultati nazionali; in Lombardia 18 su 80, un deludente 22 per cento.
Una questione di democrazia
Perché guardare alla rappresentanza di genere in politica? Perché è l’ambito in cui a livello internazionale si osservano i maggiori divari tra uomini e donne. Secondo i dati del World Economic Forum, solo il 23 per cento del gap tra uomini e donne nell’empowerment politico è stato colmato: la discussione sulla parità nelle opportunità tra uomini e donne passa necessariamente da qui.
Liquidare la bassa presenza femminile nei parlamenti o nei governi con l’affermazione che le donne non sono interessate alla politica significa ignorare che il ruolo dei partiti, dei votanti e delle regole elettorali è cruciale. La ricerca scientifica mostra che quando si impone ai partiti di formare liste più equilibrate rispetto al genere, più donne vengono elette e la qualità dei politici aumenta, soprattutto grazie a un miglioramento di quella degli uomini. Quando si amplia la possibilità di esprimere preferenze, come accade con la doppia preferenza di genere, i votanti ne fanno uso, garantendo un maggiore equilibrio nei luoghi decisionali, a beneficio non delle donne, ma della democrazia nel suo complesso.
Le recenti elezioni confermano solo parzialmente questi esiti. Da un lato, il voto uninominale a Camera e Senato e il voto nel Lazio sembrano andare nella giusta direzione; dall’altro, le elezioni regionali in Lombardia restituiscono risultati poco incoraggianti, anche se in questo caso si sconta una tradizione “maschilista” nel Consiglio regionale lombardo, dove nel 2013 le elette erano addirittura di meno, a legge elettorale invariata.
Come si vede, la strada della parità di genere in politica è ancora lunga.
Lavoce è di tutti: sostienila!
Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!
CARLO FUSARO
Ottima e utile analisi che tra l’altro smentisce alcuni dati che circolavano nei giorni scorsi. Due integrazioni: A) l’esito migliore (delle donne) nella parte uninominale si deve al fatto che le candidate non potevano essere, complessivamente, meno del 40%; di qui un numero di elette vicinissimo a quella cifra; (invece nella parte proporzionale/plurinominale c’era la possibilità delle pluricandidature); B) è vero che la legge precedente non conteneva forti norme per la promozione del genere, ma prevedevano le famose e criticatissime “liste lunghe” bloccate. Per cui nei partiti in cui c’era stata mobilitazione a favore delle candidature di donne queste si sono tradotte, necessariamente, in elette.
Il sistema della legge Rosato-Fiano 165/2018 è di gran lunga il più efficace (molto di più della c.d. doppia preferenza di genere). Per ottenere esiti ancora migliori basterebbe ridurre le pluricandidature (forse tre o due potrebbe essere l’ideale: anche se i dati mostrano che i partiti ne han fatto uso assai limitato. Ma – appunto – più largo con le donne che con gli uomini, proprio per ridurre nella parte proporzionale l’impatto sul vincolo dell’alternanza di genere).
Davide
Non sono d’accordo per niente. Una questione di democrazia? La democrazia non dovrebbe discriminare, in nessuna direzione. Se il parlamento fosse 80% donne perché lo meritano andrebbe bene lo stesso. Si è passati dalle pari opportunità al pari risultato indipendentemente dal merito. Se agli uomini interessa più la politica delle donne, è probabile che siano più rappresentati. Eppure si vuole impedire questo sulla base di dubbi argomenti morali, ancor più dubbi benefici e complotti maschilisti. Legge pessima, frutto di un governo pessimo, che dati alla mano non rappresenta i cittadini ed è stato sonoramente bocciato. Andrebbe cancellata in quanto promuove la mediocrità, si vedano individui come la Fedeli e la Mogherini, che fanno più danno alle donne che bene.