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Se il nuovo Senato è per soli uomini

I risultati delle elezioni comunali del 2013 dimostrano che gli elettori usano il voto di preferenza. E se la preferenza è legata al genere, eleggono le candidate donne. Le scelte sulla composizione del nuovo Senato rappresentano una opportunità per il riequilibrio della rappresentanza di genere.

Elezioni con quote e preferenze

L’approvazione al Senato della riforma costituzionale è un passo verso la fine del bicameralismo perfetto che ha finora caratterizzato l’Italia e verso il cambiamento del volto del Senato, i cui 95 componenti proverranno principalmente dalle file dei consigli regionali.
Come verranno scelti i nuovi senatori? Saranno i cittadini a poter scegliere, ma come? Certo è che il dibattito su questo punto nei prossimi mesi sarà animato.
La discussione sui modi con cui gli elettori saranno chiamati a esprimere le loro preferenze può offrire l’occasione per riprendere il confronto sul tema della promozione della parità di genere nelle istituzioni politiche, che sembra scomparso dal dibattito.
Dal 2012 in Italia è in vigore una legge che si applica alle elezioni comunali: oltre all’introduzione di quote di rappresentanza di genere nelle liste elettorali, prevede, per i comuni con più di 5mila abitanti, la possibilità per gli elettori di esprimere una doppia preferenza, purché per candidati di genere diverso. Quali sono stati i suoi effetti? È migliorato l’equilibrio di genere nei consigli comunali?
In un nostro recente lavoro proviamo a dare una risposta a queste domande.
Le prime elezioni comunali soggette alla riforma sono state tenute nel 2013. Sfruttando la discontinuità prevista dalla legge elettorale in corrispondenza dei 5mila abitanti, mostriamo come questo pacchetto di politiche abbia avuto un forte impatto sulla presenza delle donne nei consigli comunali: nei comuni sopra i 5mila abitanti ha garantito un numero di donne di 22 punti percentuali superiore a quello dei comuni con meno di 5mila abitanti (si veda la figura).
Il risultato dipende tuttavia dalla possibilità accordata agli elettori di esprimere una (doppia) preferenza o dalle decisioni dei partiti, che, vincolati dalla legge sulle quote, hanno scelto di includere molte più donne tra i candidati? Per identificare quale sia il meccanismo in atto, abbiamo raccolto dati nuovi sui candidati e sui voti di preferenza ricevuti. I dati mostrano che l’aumento del numero di consigliere è principalmente determinato dai numerosi voti di preferenza ricevuti dalle donne, mentre l’impatto della riforma sul numero di candidate è poco visibile.
Non è possibile individuare con precisione la ragione dell’efficacia limitata delle quote – forse l’obiettivo del 30 per cento è poco ambizioso; oppure anche i comuni non tenuti per legge ad avere almeno un terzo di donne nelle liste elettorali hanno deciso di rispettare l’indicazione. Sappiamo però con certezza che dare agli elettori la possibilità di esprimere due preferenze ha garantito un aumento del numero di preferenze per le candidate donna, che ha consentito loro di essere elette.

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Dai comuni alle regioni

Questi risultati mostrano che la doppia preferenza, pur essendo una misura neutrale rispetto al genere, aiuta a ridurre gli ostacoli che le donne affrontano nell’accesso alle cariche politiche. Poiché le disparità di genere nella politica non riguardano, a livello locale, solo i consigli comunali e poiché la composizione dei consigli regionali influenzerà in modo diretto almeno parte della formazione del Senato, sarebbe auspicabile che anche le regioni si muovessero verso l’introduzione della doppia preferenza di genere, scelta che è stata compiuta solo da alcune.
La partita delle preferenze che si giocherà sul nuovo Senato potrebbe essere una nuova opportunità per il riequilibrio della rappresentanza di genere in politica. L’esperienza delle elezioni comunali ci insegna che, se gli elettori ne hanno la possibilità, usano il voto di preferenza, e se il voto di preferenza è legato al genere, prendono in considerazione le candidate donne e le eleggono.
Sono risultati significativi e incoraggianti: perché non vedere la legge sui comuni come una “sperimentazione” per il nuovo Senato?

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Questo articolo è disponibile anche su la 27esima ora.

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Il Punto

  1. Henri Schmit

    La questione della parità di genere è un problema serio che merita riflessioni e permette varie soluzioni, fra cui la più radicale ma non assurda sarebbe di prevedere in tutti le assemblee pubbliche elettive una metà di donne, quindi due sotto-assemblee; con maggioranza doppia (bicameralismo perfetto!) o unica. L’articolo conferma che una soluzione”liberale” (lasciare la scelta agli elettori) come quella della facoltà di doppia preferenza purché sia per generi diversi sia più efficiente (oltre ad essere più “giusta”) di una soluzione partitocratica tramite quote imposte dai “padroni delle liste”. Ma non è questo il problema della riforma del senato. Con il Senato “delle istituzioni territoriali” (basato su una logica elettorale partitica) e l’allargamento delle competenze della Corte costituzionale (con i verdetti preventivi) vince il potere dei palazzi (partiti politici e organi pubblici da loro lottizzati, colonizzati), perde la democrazia, perde il potere sanzionatorio degli elettori, uomini e donne insieme. L’articolo insiste giustamente sulle virtù delle preferenze. E se la vera chance delle donne fosse semplicemente la libertà di iniziativa dei candidati (e delle candidate) e la libertà scelta (con una sola preferenza) degli elettori (e delle elettrici)? Qualsiasi altra proposta ignora le vere criticità della riforma appena approvata e rischia di rinforzare la logica colonizzatrice delle funzioni pubbliche a favore dei partiti. A meno di fondare il partito delle donne.

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