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L’Europa dei cittadini, antidoto al sovranismo*

I partiti che hanno vinto le ultime elezioni hanno una soluzione semplice per il problema della sovranità: rinnegare le politiche europee. Ma è una soluzione illusoria. Una maggiore democraticità si ritrova solo ampliando il dibattito politico in Europa.

La questione della sovranità nazionale

Si è parlato molto dei risultati delle recenti elezioni in Italia e delle loro possibili spiegazioni. Mentre l’attenzione si è prevalentemente concentrata sulle conseguenze economiche della crisi e gli errori veri o presunti del governo precedente, c’è un tema più generale che forse è ancora più rilevante. È quello della sovranità popolare, cioè della capacità dei cittadini di orientare con il voto i destini del proprio paese. È un tema che caratterizza tutte le democrazie occidentali, per le conseguenze indotte dalla forte e recente integrazione dei mercati. Ma è un problema particolarmente rilevante per i paesi europei e soprattutto per quelli che hanno adottato la moneta comune.
Questi paesi infatti, come contropartita ai benefici del mercato unico, hanno rinunciato alla capacità di prendere decisioni autonome nel campo della politica commerciale e della regolamentazione dei mercati. Ma adottando l’euro, hanno anche abdicato alla gestione autonoma della politica monetaria e di quella di bilancio, dato che l’appartenenza alla moneta comune impone di necessità anche vincoli fiscali. All’interno di questa cornice, gli spazi di manovra dei governi nazionali sono necessariamente ridotti. È vero per tutti i paesi euro, inclusa la potente Germania, ma è naturalmente tanto più vero per un paese come l’Italia, caratterizzato da alto debito e bassa crescita, e che perciò più dipende dalla benevolenza dei mercati e delle istituzioni europee. Ciò non può non creare frustrazione tra i cittadini. Non c’è nulla di più devastante per la percezione del ruolo del sistema democratico di frasi come “vorremmo ma non lo possiamo fare, perché ce lo impedisce l’Europa” oppure di “lo dobbiamo fare per forza, perché ce lo impone l’Europa”. Eppure, queste espressioni sono state usate più e più volte dai nostri politici per giustificare politiche poco popolari, dimenticandosi di aggiungere che quelle politiche europee, in realtà, erano state decise con il contributo spesso determinante dei nostri funzionari e dei nostri politici.

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L’illusione di soluzioni semplici

I partiti che hanno vinto le ultime elezioni in Italia offrono una semplice soluzione al problema. Rinnegare le politiche europee e andare avanti per la propria strada. È una soluzione illusoria.
Farlo rimanendo all’interno delle istituzioni attuali avrebbe solo la conseguenza di relegare il paese ai margini del dibattito politico europeo. Ci penserebbero presto i mercati finanziari a riportarci in riga, una volta compreso che la marginalizzazione comporta anche una riduzione dell’ombrello protettivo steso sulle nostre finanze pubbliche dai vari meccanismi europei introdotti dopo la crisi, come l’Esm (European Stability Mechanism, Meccanismo europeo di stabilità) e la Omt (Outright monetary transactions).
Farlo uscendo dall’euro e dall’Unione europea, al di là degli enormi costi di transizione che ciò comporterebbe, lascerebbe il paese più solo, più povero e meno capace di influire sulle dinamiche globali.
Anche i vantaggi in termini di maggior autonomia sarebbero per molti aspetti illusori. Il debito dovrebbe essere comunque finanziato e, come ci insegna la storia, la possibilità di svolgere una politica monetaria autonoma, all’interno di un’area di scambi di cui comunque per ragioni geografiche dovremmo continuare a far parte, resterebbe limitata.
Tuttavia, il problema esiste. E come si è visto dalle elezioni che si sono tenute di recente nei vari paesi europei, non riguarda solo l’Italia e non riguarda nemmeno solo i paesi più colpiti dalla crisi. Il fatto è che con l’Unione europea e ancor più con quella monetaria, una parte molto rilevante delle decisioni sulle politiche (le policies) è stato trasferito a Bruxelles, mentre il dibattito politico (la politics) è rimasto esclusivamente nazionale. I governi nazionali sono ovviamente coinvolti nelle decisioni europee, ma in modo poco trasparente e poco comprensibile per i cittadini. Se questo è il problema, allora la soluzione può essere cercata solo riportando il dibattito politico a livello europeo, creando cioè un’unione politica in cui le decisioni sulle politiche vengano prese a seguito di un processo democratico che coinvolga direttamente i cittadini europei.
Le soluzioni istituzionali possono essere diverse, e c’è già un ampio spettro di proposte di giuristi e politologi, ma la direzione non può essere che quella. Si tratta ovviamente di una strada difficile e complessa, a maggior ragione in un momento in cui emergono spinte nazionalistiche e populiste, perché richiede ai paesi di rinunciare ad ancora più sovranità nazionale. Ma a ben vedere è anche l’unica soluzione possibile per contrastare definitivamente queste spinte. Il dibattito sulla riforme dell’Eurozona ne è un esempio: ci si barcamena spesso su soluzioni parziali o che coinvolgono complessi meccanismi di ingegneria finanziaria, ma diventa sempre più evidente che una unione monetaria non sostenuta da una unione politica è inerentemente instabile. Non siamo fortunatamente all’anno zero. Il dibattito è aperto e, per esempio, le proposte del presidente francese sulla introduzione di una capacità fiscale e di un bilancio per l’area euro, un ministro del tesoro responsabile di questo bilancio e di un euro-parlamento che lo controlli, vanno nella direzione giusta. Su questi temi il futuro governo italiano dovrebbe impegnarsi. Tenendo conto anche del fatto che la discussione in Europa va comunque avanti, con noi o senza di noi. Se non saremo seduti al tavolo, faremo probabilmente parte del menù.

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* Massimo Bordignon è membro dell’European Fiscal Board. Le opinioni espresse nell’articolo sono personali e non impegnano in alcun modo l’istituzione di appartenenza.

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15 commenti

  1. Mario Angli

    Non una parola su come si vorrebbe ottenere tutto ciò con il consenso degli elettori. Suona come una minaccia.

  2. Savino

    Va posto l’accento, ancor di più, sul disfattismo euroscettico e sempliciotto dell’opinione pubblica.
    Mettere una scheda nell’urna non è uguale ad un like sui social network.
    La conseguenza di scelte democratiche non è la perdita di un’amicizia virtuale, ma la configurazione del nostro futuro.
    Il cittadino ha il dovere di conoscere le dinamiche di come gira il mondo prima di esercitare il diritto al voto. E le sue aspettative non possono essere più alte delle capacità istituzionali e di budget dello Stato, tali da non dar luogo ad illusioni speculative e promesse di alcun genere.
    Brexit, Trump ed il provincialismo territoriale del voto nostrano sono essenzialmente segnali di ignoranza e di chiusura mentale rispetto ai mutamenti del mondo che cambia.
    Solo le generazioni Erasmus e gli insegnamenti di Papa Francesco possono salvarci, grazie ad una visione cosmopolita e metropolitana del mondo, che sconfigga il campanilismo esasperato e sterile.

  3. Non mi risulta che il programma M5S vada nella direzione di “Rinnegare le politiche europee e andare avanti per la propria strada.”. Mi pare invece che il M5S voglia scardinare l’attuale sistema. E ciò è meno difficile di quello che potrebbe sembrare, se solo ci si convincesse che la finanza è uno strumento e non si accettasse passivamente il suo strapotere.

    • Amegighi

      “Scardinare il sistema” è facile. “Sostituirlo o modificarlo” per migliorarlo è un altro paio di maniche. Esistono decine di esempi di ottimo funzionamento del sistema che si vuole scardinare che non sono espressione dello strapotere della finanza. Se ci si convincesse una buona volta che siamo in quello che è attualmente il maggior mercato unico mondiale come numero di cittadini, ma soprattutto livello di vita, sistema sociale e anche tecnologia. Si, proprio tecnologia e ricerca. Se consideriamo i brevetti e i lavori pubblicati dai paesi dell’UE assieme, superiamo sia USA che Cina. E stiamo andando in questa direzione unica con l’istituzione dei sistema unificato di finanziamento della ricerca (ERC) con lo scopo di ridurre i doppioni della ricerca, unificare i gruppi di ricerca europei, aprire la ricerca a vari settori. Il futuro si gioca anche su questo, forse soprattutto. Oppure diventeremo fra un po’ gli extraeuropei che producono a basso costo per gli altri. Alla faccia (anzi come conseguenza) dello strapotere della finanza di qualche altra regione del mondo…..

      • bob

        L’Europa deve capire che la Sua esistenza e la Sua sopravvivenza passano per 3 punti: ricerca avanzata, produzione di alte tecnologie e preservazione dello stato sociale. Un mercato di 500 milioni di persone ha peso nell’economia globale che consente di imporre delle regole a chi vuole “conquistarlo”. L’Europa ha ragione di esistere solo se diventa la “Svizzera” del mondo. Ma per fare questo ci vogliono politici visionari e lungimiranti “professori e non bidelli”. Io non ne vedo… Aldilà dei nostri “piccoli” politici, la sola vicenda del nano, in tutti i sensi, Sarkozy, è sconvolgente.

  4. Piero

    Condivido opinione di Stefano Feltri quando disse subito dopo il voto: intanto Merkel e Macron han già tagliato fuori dai negoziati anche Gentiloni e Padoan (anche se alla gente vien nascosto).. cosî come vien nascosto che progetti di riforma del new FmEuropeo son tutti apertamente mirati contro Italia. Aggiungo io: quindi se non abbiam un governo l’asse FraGerm (e satelliti del nord) non han nessuno da tagliar fuori. Risparmiamo i biglietti aerei e l’hotel x i nostri ministri chiamati de facto solo a prendere o lasciare.

  5. Enzo

    Certo un parlamento europeo con gli stessi poteri di quelli dei paesi democratici , un governo europeo nato da questo parlamento e non da conclavi sarebbero passi utili e decisivi. Tuttavia è forse tardi ottenere su questo progetto il sostegno entusiasta degli europei dopo questi anni di Ignavia . E’anche vero che questo modo di far funzionare l’istituzione europea e’ stato surrettizio a governi nazionali e partiti tradizionali che hanno utilizzato la UE per aggirare il co trollo dei parlamenti e le opinioni pubbliche nazionali. Poi ci sono i mercati e’ vero a cui dar conto.ma sarebbe anche ora che qualcuno chiedesse conto a chi trasferisce e tutta la liquidità creata per creare tulipani di carta che hanno basi ancor meno solide dei debiti pubblici esistenti

  6. MAURIZIO RIVOLA

    L’articolo è molto interessante perchè da esso traspare chiaramente l’atteggiamento dell’intellighenzia schierata a favore di un progetto unionistico che, come è stato configurato è sempre piu’ rigettato dalle masse popolari (non vorrei si arrivasse a mettere in discussione il suffragio universale perche’ non si puo’ sommare il voto degli “analfabeti” con quello delle menti illuminate che peraltro ci hanno portato a questo disastro). Quando il voto antisistema supera la maggioranza assoluta del corpo elettorale non ci si puo’ limitare a considerare in modo arrogante tale risultato come risultante di un voto populista: quella è la voce del popolo che in maggioranze sempre piu’ consistenti rifiuta, visti gli esiti ad esempio in termini di disoccupazione giovanile, di non armonizzazione fiscale quelle politiche che privilegiano pochi vincitori e immiseriscono la maggioranza togliendo soprattutto ai giovani (in gran parte disoccupati o sottoccupati) , che sono il presente e il futuro , il diritto di progettare in modo consapevole e dignitoso il loro futuro.

    • Savino

      Gli italiani hanno già da tempo individuato la soluzione alla crisi nella scorciatoia dell’assistenzialismo, caricando tutto sulle spalle delle generazioni future.Tutti pronti a stappare facendo il gesto dell’ombrello allo Stato e ai cervelli in fuga dopo il primo Consiglio dei Ministri della diarchia Di Maio-Salvini che istituisce il reddito di cittadinanza e reintroduce la baby pensioni.

  7. Henri Schmit

    Non c’è nulla di particolarmente antidemocratico nell’UE tanto che le decisioni sono prese da organi democraticamente legittimati direttamente o indirettamente e che è possibile impedire abusi di potere. Non c’è mancanza di trasparenza tanto che è possibile seguire le procedure e controllare la conformità delle decisioni, a condizione che anche i governi nazionali agiscano in modo trasparente e comprensibile nei confronti dei propri cittadini. Nulla oggi vieta “un dibattito politico europeo”, nulla vieta delle “politics” relativamente alle “policies” europee; numerose tali “politics” – giuste e sbagliate, vincenti e perdenti – esistono già. Non è indispensabile “un’unione politica” intesa come “processo democratico” a disposizione dei “cittadini europei” in aggiunta alle istituzioni esistenti che in ultima analisi dipendono dai governi nazionali. È colpa dei politici e dei commentatori nazionali di non coprire adeguatamente le “policies” europee. Il suggerimento dell’autore corrisponde ad una fuga in avanti, spesso alibi dei governanti incapaci, fallimentari o in difficoltà di consenso. Penso al contrario che bisogna rendere i singoli stati più democratici, i loro governi più efficienti, più coerenti con gli impegni presi, le loro politiche più convergenti, una responsabilità che spetta ad ognuno di fronte ai propri cittadini, prima di soppiantare le democrazie nazionali con l’illusione di una “democrazia europea” facilmente più dispotica e apparente che effettiva.

  8. Carmelo Marazia

    Centratissimo il tema: la crisi è crisi delle democrazie nazionali. Ma vaglielo a spiegare. Ormai siamo il Paese più importante del gruppo di Visegrad. Da Sud ad Est.

  9. francesco Zucconi

    Credo che la Germania non abbia la possibilità di promuovere una vera integrazione politica, alla fin fine si troverebbe a dover investire in scuole italiane, ospedali italiani e stipendi italiani i guadagni che ottiene vendendo Mercedes in Italia…Perché farlo quando nel modo attuale ci può tener nell’angolino guadagnandoci pure bei soldini? Non è mica la Germania di Goethe quella che abbiamo sopra la testa! L’integrazione politica è una via che si è chiusa, almeno per ora, e per l’Italia è letale continuare a credere in tali speranze. Certi economisti parlano di Repubbliche e Principati mai visti essere in vero…

  10. ELIO

    L’integrazione europea è l’unica speranza per il nostro continente di contare qualcosa nel contesto internazionale. Ricordo le parole del Manifesto di Ventotene “La linea di divisione tra partiti progressisti e partiti reazionari cade perciò ormai non lungo della maggiore o minore democrazia, del maggiore o minore socialismo da istituire, ma lungo la sostanziale nuovissima linea che separa quelli che concepiscono come fine essenziale della lotta la conquista del potere politico nazionale e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale….”

  11. Henri Schmit

    Il Rapporto 11/2017 del think tank indipendente Centre for European Reform (http://www.cer.eu/sites/default/files/report_relaunching_eu_nov17.pdf) individua prima alcune aree che necessitano un approfondimento delle politiche comuni, fra cui l’immigrazione e la lotta all’evasione fiscale delle multinazionali, e ragiona poi sulle riforme strutturali dell’UE: confronta uno sviluppo multi-speed (diverse velocità per obiettivi comuni) e multi-track (obiettivi diversi; massima flessibilità chiesta da Cameron nel 2016 e appoggiata da … l’Italia!). Conferma l’idea di un’integrazione uniforme dell’area € con maggiori costrizioni (ministro € delle finanze) e maggiori protezioni (fondo europeo d’investimento; Lagarde), ma saldamente governata dai paesi membri, cioè dai loro governi, benché ai deputati PE dei paesi € debbano (secondo Macron) essere riconosciute competenze separate da quelle dell’intero PE. Il Consiglio Europeo (cioè i governi) acquisterebbe il potere di revocare (il Presidente de) la Commissione, ora una prerogativa del PE. In conclusione: per il momento non c’è alcuna condivisione d’interesse per una grande democrazia europea federale che soppianterebbe quelle nazionali, al contrario: “Whatever the narratives that Macron and other leaders may be able to construct, the EU should focus on outcomes, not processes. Voters want to see that the EU can produce results in areas that they care about.” Condivido. C’è un’ampia maggioranza per questo approccio. E l’Italia?

  12. Nicola Dotti

    Credo che aggiornare il linguaggio quando si parla di UE aiuterebbe. Non e’ vero che l’Italia abbia “abdicato” alla sua sovranita’, l’ha “trasferita” a un consesso dove ci sono 28 primi ministri, fra cui quello italiano, che decidono (con voti pesati per la dimensione del paese e controbilanciati dal Parlamento europeo). Bruxelles e’ piena di italiani che co-partecipano alle decisioni prese, da Tajani a Mogherini. Come i piemontesi accettano di co-decidere con umbri e pugliesi, cosi’ gli italiani co-decidono con tedeschi e slovacchi.

    Il motivo del discontento viene da decisioni giudicate da tanti come “sbagliate” e, soprattutto, dal fatto che i partiti che non sono al governo nel loro paese non hanno voce nelle decisioni prese dal Consiglio dei Ministri UE. E’ una democrazia sicuramente imperfetta, ma l’UE ha spazi di democrazia possibile che pero’ andrebbero raccontati, soprattutto nei contributi di qualita’ piu’ alta come questo.

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