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Centri per l’impiego: il costo del rinnovamento

Per funzionare, il reddito di cittadinanza ha bisogno di centri per l’impiego efficienti, in grado di proporre seri percorsi di inserimento al lavoro. Le risorse necessarie potrebbero essere inferiori al previsto, purché siano costanti nel tempo.

Professionisti nei Cpi

Un elemento fondamentale per l’introduzione del reddito di cittadinanza in Italia sono i centri per l’impiego (Cpi), che dovranno prendere in carico il disoccupato e proporgli un percorso di ricollocazione o inserimento al lavoro.

In base alla proposta del Movimento 5 stelle, l’investimento in queste strutture sarebbe di almeno 2 miliardi di euro. Tuttavia, c’è da chiedersi se siano sufficienti a erogare servizi in grado di realizzare la “condizionalità” tra reddito di cittadinanza e partecipazione attiva al mercato del lavoro come sostengono i promotori dello strumento.

L’analisi e il confronto con una serie di enti accreditati ai servizi per l’impiego permettono di configurare, in maniera approssimativa, un modello “idealtipico” di risorse necessarie per garantire all’interno dei centri per l’impiego quelle competenze volte a erogare servizi per l’impiego, di base e specialistici.

Innanzitutto, sarà necessario coinvolgere nell’attività di tutti i centri per l’impiego esperti in politiche attive del lavoro, in primo luogo laureati in materie esplicitamente coerenti con i loro compiti (oggi diverse università offrono master specializzati proprio per addetti ai servizi pubblici per l’impiego). Lo scopo è definire un percorso specialistico individuale (successivo al bilancio di competenza) basato su una qualità nettamente migliore (scouting aziendale di gruppo con attività iniziale di affiancamento) di quella odierna (nella maggior parte dei casi si tratta di un percorso standard, erogato in poche ore assieme alla dichiarazione di disponibilità al lavoro).

In secondo luogo, sono necessari psicologi del lavoro per realizzare attività di bilancio di competenza individuali e di gruppo e attività motivazionali al reinserimento al lavoro con una consolidata conoscenza del mercato del lavoro. Per entrambe le figure è d’obbligo un costante confronto con gli osservatori del mercato del lavoro territoriali, attraverso seminari interni o riunioni dell’intero staff.

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Un’altra figura fondamentale è l’esperto in auto-impiego/auto-imprenditorialità, preferibilmente un professionista abilitato alla consulenza del lavoro (perché le domande di carattere fiscale e la sostenibilità finanziaria del business plan sono le principali richieste degli utenti).

Ma forse il ruolo più rilevante e importante è quello dell’agente commerciale: se si vogliono intercettare le richieste delle aziende servono professionisti capaci di interagire con loro. Ne basta uno per territorio, ma è fondamentale che collabori con gli amministratori locali (grazie ai sindaci si arriva prima all’azienda). I soli dipendenti dei Cpi, anche i più volenterosi, rischiano di non riuscire nel compito nel lungo periodo, perché si tratta di un’attività complessa, che richiede una elevata flessibilità oraria e mobilità nel territorio.
Per agevolare il lavoro di questi professionisti sono necessari due strumenti: le fiere del lavoro, ovvero momenti di incontro tra domanda e offerta di lavoro, da organizzare periodicamente nei territori. Anche se realizzata in convenzione con gli enti locali, è un’attività che ha un costo di gestione e organizzazione non indifferente. Il secondo strumento è l’attività di marketing e comunicazione sui social network per far conoscere i servizi realizzati dai Cpi, le offerte di lavoro e per intercettare i curriculum: qui il costo consiste nell’acquisto degli AdWords, pubblicazione degli annunci o promozione delle fiere del lavoro sui social network. Tutte le risorse e attività saranno controllate da un gestionale (prodotto da Anpal) che ne verificherà il corretto funzionamento (si tratta di un modello più complesso di quello oggi presente per le Did-Online).

I costi

Quanto costerebbe la “macchina” così predisposta? Supponendo un costo lordo medio analogo a quanto previsto da diversi attori (Cpi, Apl, enti non-profit), si può fornire una stima intorno ai 300 milioni di euro (si supponga anche di potenziare i Cpi con altre 44 unità operative distribuite a seconda del rapporto addetti/disponibili al lavoro).

Fonte: Nostre elaborazioni.

Rimane fuori dal conteggio la figura del direttore dei centri per l’impiego. Sarebbe tuttavia opportuno che i nuovi dirigenti avessero un percorso accademico coerente con i servizi al lavoro e le politiche attive del lavoro, privilegiando magari professionisti provenienti dal mondo delle agenzie private (quindi con una visione più centrata al servizio clienti e il lato commerciale) invece di funzionari con competenze di carattere puramente amministrativo della pubblica amministrazione.

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Inoltre, è bene sottolineare che il costo del personale va coperto con risorse nazionali, non provenienti dai fondi comunitari. In altri termini, stiamo parlando di risorse costanti e non una-tantum, che si aggiungono ai circa 600 milioni di euro annui già destinati ai Cpi. Quanto al personale, va assunto tramite concorso pubblico nazionale adottando i criteri dell’Agenzia del lavoro di Trento: prova per titoli, scritta, pratica e orale, con un componente della commissione esterno alla struttura.

In definitiva, con meno della metà dei 2 miliardi previsti dal Movimento 5 stelle si possono rilanciare i Cpi, a patto che le fonti di finanziamento siano garantite nel tempo. Si tratta di una “stima di massima” al ribasso, che non esclude la possibilità di utilizzare l’altro miliardo o altre risorse ancora per ampliamento dei locali, materiale di lavoro per i nuovi assunti, investimenti infrastrutturali, laboratori di simulazione per i disoccupati, materiale informativo o ulteriori costi di funzionamento. Ovviamente, il rilancio dei servizi pubblici per l’impiego non garantisce la certezza di un’offerta congrua di lavoro a ogni beneficiario del reddito di cittadinanza.

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  1. Savino

    Il familismo amorale e l’assoggettamento supino clientelare degli italiani ha, in un colpo solo, scavalcato le criticità citate ed altre non citate. Per gli italiani, infatti, il lavoro si trova con conoscenze e raccomandazioni.
    Bypassati completamente la fase dei master, i CPI, gli psicologi del lavoro.
    Checco Zalone docet.
    Allora perchè meravigliarsi di una società arretrata e provinciale, che vuole risolvere la decennale crisi globale con l’assistenzialismo della Balena Bianca?

  2. enzo

    Quali sono gli obiettivi prioritari ai quali dovrebbe rispondere una riforma del sistema pubblico al servizio del mercato del lavoro? Conosciamo i problemi, esiste una domanda di lavoro che trova difficoltà ad essere soddisfatta a causa di barriere di tipo informativo, formativo, geografico. Credo che un sito istituzionale ben fatto contenente un data base con i curricula di disoccupati, in cerca di prima occupazione e lavoratori, facilmente aggiornabile da parte degli stessi fruitori, valido su scala nazionale e con alcuni indicatori specifici : ambito territoriale accettabile, disponibilità alla formazione ecc. sarebbe auspicabile.Il sistema dovrebbe anche essere collegato al sistema formativo, per favorire la riqualificazione verso i settori professionali con domanda di lavoro ( anche se possibile con corsi di alcuni mesi) e con servizi atti a favorire la mobilità , come ad esempio agevolazioni sia nel servizio che nei costi della ricerca di alloggi.

  3. Antonio

    Il costo annuo stimato per le figure professionali dei Cpi mi sembra molto poco credibile.

  4. Franco

    Valuto che il dott. Giubileo abbia molto semplificato la situazione istituzionale attuale dei CPI.
    Sono necessari CPI efficienti al di là del Reddito di cittadinanza.
    Condivido la centralità dell’aspetto commerciale nelle politiche attive del lavoro. I CPI hanno due clienti: le aziende che vanno ricercate per classificare la loro domanda di lavoro; le persone che vanno convinte che i servizi del CPI collocheranno la loro offerta di lavoro.
    Penso che il CPI pubblico non è costitutivamente idoneo a svolgere attività commerciali. Non sono le abilità commerciali il centro dell’attenzione dei concorsi pubblici per esami. Né ho informazioni che la reputazione di quei centri in termini di politiche attive sia maggiore di quella di analoghi operatori privati.
    Considero che esistono 20 sistemi regionali di servizi per il lavoro, né mi pare che l’ANPAL vada oltre un tenue coordinamento.
    Non sono pessimista. Prima o poi avremo consapevolezza che, finito il tempo del collocamento obbligatorio, i CPI pubblici e privati dovranno assumere un ruolo nella intermediazione del lavoro. Farlo attraverso il passaggio dal Reddito di cittadinanza è probabilmente il modo più oneroso, ma se non ci si riesce in altro modo, ben venga

  5. Mauro Boati

    Una suggestione che stimola due riflessioni.1) Come mai si pensa al rafforzamento dei CPI (sacrosanto) sempre slegato dall’organizzazione della rete di operatori pubblici e privati introdotta dal Jobs Act? Oggi la “rete” è un elenco su di un foglio ma non esistono interazioni, divisione di compiti, flussi governati di informazioni. Utilizzare le forze già disponibili mi pare più veloce che riorganizzare completamente i CPI; cosa comunque da fare. 2) Investimento economico a parte, quanto tempo si può prevedere per la messa a regime della riorganizzazione suggestiva presentata. Le ultime riorganizzazioni dei CPI hanno dato (o non dato) esito dopo una decina d’anni. Cominciamo a far funzionare quel che c’è … e in parallelo …..

  6. Paolo

    Trovo che sia molto più appropriata, senza tante complessità, la strategia suggerita da Poletti: giocare a calcetto. Metafora per “relazionarsi”..

  7. Marco

    Nella tabella si propone un idealtipo di CPI con 7 operatori di cui solo 6 dedicati all’utenza. Moltiplicato per 600 CPI, si vorrebbe far credere che con 3600 operatori si riuscirebbe a far fronte ai 2835000 (istat febbraio 2018) disoccupati presenti in Italia? Cioè ogni operatore dovrebbe gestire 787 utenti? Cioè con 30 ore a settimana di lavoro in quanto tempo lì vede tutti almeno 1 volta per 1 ora?

  8. Giubileo entra nel merito del dibattito che la politica ha imposto ai tecnici. Finalmente ci si pone il problema del rinnovamento dei CpI abbandonati a se stessi dopo lo smantellamento delle province. Giubileo formula alcune ipotesi di modelli possibili e di impatto sull’organico dei futuri CpI coinvolti nella gestione del paventato reddito di cittadinanza. Bene, perché sblocca un dibattito impaludato sul ruolo del pubblico e del privato. Aggiungo alcuni temi. Uno dei punti di debolezza storici dei CpI è il rapporto con il sistema azienda. Se ne parla anche nei commenti al post. Però c’è un ambito pubblico che ha una storica relazione con questo sistema, sono gli assessorati regionali allo sviluppo. E’ necessario che le stanze di chi si occupa di lavoro dialoghino con le stanze di chi si occupa di sviluppo. E questo Boati è possibile da domani se c’è la volontà politica di farlo. Secondo tema: esiste una sperimentazione che ha preceduto il reddito di cittadinanza ed è il cosiddetto SIA – sostegno all’inclusione attiva. Uno dei limiti più significativi ha riguardato l’integrazione, da sempre difficile, tra politiche sociali e del lavoro. Vogliamo valutare cos’è successo imparando dagli errori. O corriamo il rischi di riproporli nella gestione del REI – reddito d’inclusione e poi in futuro nel reddito di cittadinanza? Valutare l’efficacia dei servizi aiuterebbe tutti a crescere, ad iniziare dai CpI

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