Gli aiuti allo sviluppo non frenano le migrazioni. Una politica che voglia gestire i flussi e fermare davvero il traffico di vite umane dovrebbe garantire quote certe per entrare a lavorare in Europa e corridoi umanitari per i richiedenti asilo.
Perché si emigra?
Il tema dell’immigrazione occupa ormai in modo preponderante il dibattito politico e la società appare drammaticamente spaccata fra i “buonisti” favorevoli agli immigrati e coloro che vogliono respingerli. Il nodo della questione ruota sempre intorno all’accoglienza, mentre troppo poco si discute sulle ragioni dei flussi migratori. Capirne i motivi, tuttavia, è fondamentale per una gestione sostenibile del fenomeno.
Sebbene le cause e le conseguenze delle migrazioni abbiano a che fare con fenomeni globali complessi e conflitti locali prolungati, negli ultimi anni la politica ha rinunciato a un’analisi approfondita e ha concentrato gli sforzi sulla possibilità di fermare l’immigrazione. Sono stati stipulati accordi con i paesi di provenienza per combattere il traffico di migranti e poiché ciò ha ridotto, ma non fermato il flusso, si è passati a impedire fisicamente l’approdo sul territorio nazionale (negli Stati Uniti invece hanno pensato di costruire muri o violare i diritti umani dei bambini). Nello stesso tempo, per non sembrare disumani, si procede a stanziare fondi (o a proclamare di farlo) a favore dei paesi di origine dei migranti sotto forma di “aiuto allo sviluppo”.
L’idea di fondo è che i migranti vengono da paesi economicamente poveri o poco sviluppati (per esempio l’Africa) e favorirne lo sviluppo dovrebbe tradursi in un minore flusso di immigrati qui da noi. Ma è davvero così?
Gli economisti hanno studiato a lungo i meccanismi degli aiuti allo sviluppo e le conclusioni sono che rispondono più a logiche politiche che economiche, e non è neppure chiaro se abbiano effetti positivi tangibili nelle economie dei paesi riceventi (anche in termini di riduzione dei conflitti o di aumento del livello di democrazia).
Assumendo tuttavia che gli aiuti favoriscano lo sviluppo economico del paese ricevente, è vero che la crescita sia un deterrente per l’emigrazione? La risposta è no.
Gli effetti dello sviluppo
In diversi suoi lavori, Michael Clemens, uno dei massimi esperti della relazione fra migrazioni e sviluppo, ha mostrato che gli incentivi a emigrare non diminuiscono con lo sviluppo economico, ma al contrario aumentano. Non solo perché l’incremento del reddito consente di sostenere il costo di un investimento così grande come l’emigrazione internazionale, ma perché cambiano anche altri fattori, come il livello di istruzione, l’accesso alle informazioni e persino le scelte di matrimonio e di fertilità – tutte cose che aumentano gli incentivi a emigrare.
Coerentemente con questa analisi, possiamo dire che la ragione profonda per cui riceviamo sempre più migranti dal sud del mondo è che quei paesi stanno crescendo economicamente.
Confrontando gli stati del mondo con diversi livelli di Pil pro capite, il grafico 1 mostra che all’aumentare del reddito pro capite l’emigrazione prima sale e poi, a livelli di reddito alti, diminuisce, disegnando una relazione a “cunetta”. Ciò è sempre vero, per diversi decenni.
Figura 1– Relazione fra Pil pro capite e stock di migranti (dati dalla Banca Mondiale)
In altri termini, l’emigrazione internazionale si concentra nei paesi a medio reddito (quelli economicamente più dinamici). mentre è più bassa in quelli molto poveri oppure molto ricchi. Il livello di Pil pro capite “soglia” oltre il quale l’emigrazione diminuisce è attorno ai 6 mila dollari internazionali (oggi di Sudan, Nigeria o Repubblica Congo). Quasi tutti i paesi del Nord Africa sono oltre questa soglia, ma quasi tutti quelli dell’Africa sub-sahariana (escludendo l’area del Sudafrica) si trovano sotto.
I principali paesi da cui provengono gli immigrati irregolari che sbarcano in Italia hanno un Pil pro capite che va dai 1500 dollari di Eritrea o Gambia ai circa 6 mila della Nigeria. Tuttavia, in questi paesi una media aggregata nasconde un alto grado di eterogeneità a causa della grande disuguaglianza. Usando dati individuali raccolti attraverso un’indagine globale sulle “intenzioni” migratorie di un campione rappresentativo di persone in tanti paesi in via di sviluppo per più anni (il World Gallup Poll), la figura 2 mostra la stessa relazione a U rovesciata fra livello di reddito individuale e intenzioni migratorie. Il grafico mostra che in qualsiasi paese e per qualsiasi livello di Pil, sono generalmente le persone più ricche – e non le più povere – che vogliono emigrare. In particolare, nei paesi a basso-medio reddito (ovvero quelli con un Pil pro capite inferiore a 6 mila dollari), un aumento del reddito personale fa crescere le intenzioni migratorie, che diminuiscono solo per livelli di reddito relativamente molto alti (oltre 50 mila dollari internazionali, ma la grande maggioranza della popolazione in questi paesi ha un reddito inferiore). In altre parole, diventare marginalmente più ricchi in paesi poveri aumenta (e non riduce) l’emigrazione.
Figura 2– Relazione fra reddito pro capite e intenzioni migratorie (dati da Gallup Poll)
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Ciro
Ho una domanda: ma perchè solo i paesi EU devono accogliere i migranti africani?
Ma quale obbligo sussiste per i paesi europei di accogliere tutti questi profughi? Il diritto internazionale? C’è forse qualche vincolo di diritto internazionale?
Ma se questo è il caso, allora perchè paesi come la Cina, il Giappone, la Corea, l’Arabia Saudita, il Quatar (e molti altri) non accettano i cosiddetti “richiedenti asilo”? In questo modo non violano forse il diritto internazionale?
Quindi, spiegatemi, per favore, l’Europa rispetta il diritto internazionale e gli altri paesi no?
Qualcuno mi può spiegare in merito?
Grazie
luigi
La contraddizione è che la richiesta d’asilo viene fatta solo quando si mette piede nel Paese. Quindi, prima bisogna salire su un barcone e raggiungere l’Europa, e poi si può fare domanda. Ovviamente dall’Africa si va in Europa, non in Giappone. In realtà anche i paesi asiatici hanno molti richiedenti asilo (dal Myanmar, dallo Sri Lanka, ecc.)
mariorossi
L’Italia ha sottoscritto alla convenzione di givevra sui rifugiati, impegnadosi ad accettare le richieste d’asilo. Questa e’ legge nazionale e un impegno che l’Italia ha preso volotariamente. La legge Italiana quindi stabilisce che uno straniero che si presenta sul territorio nazionale Italiano ha diritto a richiedere asilo e che lo stato Italialo ha l’obbligo di valutare la richiesta.
Sia la legge Italiano che il diritto internazionale, stabiliscono che il diritto di asilo si puo’ solo esercitare solo a condizione di provenire da un paese a rischio. Il dovere di accogliere rifugiati e’ quindi fortemente dipendente dalla posizione geografica del paese stesso. Stabilire che un migrante in acque internazionali proviene da un paese sicuro e’ molto complesso, per cui il rispingimento automatico diventa difficile.
Con l’accordo di Dublino, l’Italia si e’ impegnata a riprendersi il richiedente asilo se questo lascia il territorio Nazionale. Ma l’obbligo di valutare la richiesta non e’ stato creato da questo accordo, risale a molto prima.
Ci sono attualmente 65 milioni di rifugiati al mondo secondo l’onu. La stragrande maggioranza non sono in Europa. Negli ultimi 5 anni il numero totale di richieste di asilo In Italia e’ 418K, contro 1.687M in Germania e 351k in Francia secondo l’Eurostat. Circa il 40% vengono accolte per vario motivo.
Savino
La politica sull’immigrazione l’ha già fatta Minnniti, conciliando fermezza e accoglienza e abbozzando l’integrazione. Essa andava solo confermata.
L’abbaiare di Salvini ha avuto un solo significato: “togliti tu, che mi ci devo infilare io”.
Non siamo nati ieri per capire questo.
Salvini getti la spugna se non è capace a fare almeno quanto Minniti.
Umbe
Quanto poco basterebbe per affrontare fenomeni anche molto complessi.
Curioso invece il fatto che più sono cialtroni più vengono considerati abili a risolvere.
Mario Angli
Conclusioni paradossali: per ”fermare l’immigrazione” bisogna incentivarla con quote. Pare chiaro che l’obiettivo non è affatto fermarla.
luigi
Teoria interessante. Ma vale anche nel lungo periodo?
Fabrizio Fabi
Articolo importante, da meditare. Gli “aiuti allo sviluppo” devono mirare a sostenere il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali; non foss’altro che per costruire una premessa minima per poter fare accordi di regolazione delle migrazioni con governi locali ragionevoli. Per i paesi in cui ciò non sia possibile, meglio niente aiuti allo sviluppo: non resta che “aiutarli a casa nostra” (almeno non saremo complici di dittatori & c.). Ahimé, gli pseudo aiuto allo sviluppo proseguiranno, perché utili a coprire politiche di sfruttamento delle risorse, in combutta con potentati locali.
Henri Schmit
Interessante ma non sorprendente la tesi di M. Clemens. Si potrebbe utilmente aggiungere un’analisi delle caratteristiche personali di chi emigra. Le crisi in Africa degli anni 60 e 90 erano molto peggiori dell’ situazione attuale, ma allora non c’era internet. Quali le conclusioni? Rinunciare ad aiutarli a casa loro? Follia! Dichiarare la libertà universale a trasferire la propria residenza in UE? Altra follia! Il fenomeno è complesso e necessita misure articolate. Con Minniti l’Italia era sulla strada giusta. Ora rischia l’isolamento, i reflusso della migrazione secondaria, il discredito dei ricollocamenti, la sconfitta nella rivalità con chi seriamente e da decenni prova a stabilizzare e sviluppare i paesi africani. La politica fallimentare della voce alzata per l’immigrazione è solo una distrazione dal vero problema che si chiama fallimento e inettitudine nelle politiche fiscali, economiche e internazionali, coerenti, costanti e efficienti nell’interesse del paese.
guido segre
Suggerisco di analizzare anche la correlazione fra grado di corruzione X GDP/capita e tasso di emigrazione. Il mio sospetto è che un elevato livello di corruzione spinga verso l’emigrazione. Nel caso questa correlazione fosse verificata, è opportuno porsi la domanda di che fare per l’Europa. Forse un primo provvedimento utile sarebbe il blocco, il più esteso possibile, dei conti bancari dei satrapi africani, oltre ad una politica severa (multe) verso le aziende che corrompono in Africa, di qualunque nazionalità esse siano.
Pietro
non ho trovato in rete il sondaggio World Gallup Poll -è possibile avere riferimenti per risalire alla ricerca?
grazie
Lucio Guerrato
Avendo lavorato per 40 anni nella cooperazione allo sviluppo posso dire che il ragionamento è empiricamente corretto, ma il PIL in Africa è un’ipotesi più che un dato certo. Poi la ripartizione del PILtra la popolazione è praticamente introvabile. Chi viaggia in questi paesi si accorge del livello di precarietà e miseria in cui vive la maggior parte della popolazione nelle grandi città ed in campagna dove grazie al clima c’è di che vivere ma in cui, lontani da tutto, non c’è alcun avvenirei. La maggior parte dei paesi Africani sub-saheliani non giungeranno mai ad un livello di sviluppo che induca a rendere preferibile ad una larga massa della popolazione vivere nel proprio paese piuttosto che emigrare. Abbiamo versato migliaia di miliardi in Africa utilizzando tutte le possibili forme di aiuto ed i risultati appena percepibili sono fagocitati da una piccola parte della popolazione e in ogni caso sommersi da uno sviluppo demografico fuori controllo. Il linguaggio dei politici, sviluppiamo l’Africa, è basato sull’ignoranza dei fatti e crea illusione (senza contare poi che nessuno valuta i veri costi dei cosidetti “piani Marshall”). So che il discorso è spiacevole in quanto tutti abbiamo bisogno di una soluzione, ma purtroppo questa situazione avrà forse una soluzione a lunghissimo termine (quando diceva Keynes saremo tutti morti).
Riccardo
Articolo discutibile, secondo la logica dell’articolista se non ci fosse stato il piano marshall saremmo rimasti tutti in europa a fare la fame?
Invece il piano ha permesso a noi europei di vivere A CASA NOSTRA.