Le misure fiscali indicate nella legge di bilancio avranno effetti di cassa negativi su imprese e banche. Per il 2019 si tratta di più di 6 miliardi. Difficile dunque che aiutino a raggiungere gli ambiziosi obiettivi di crescita prospettati dal governo.
Le misure fiscali per le imprese
Il disegno di legge di bilancio presentato dal governo alle Camere e la Relazione tecnica di accompagnamento confermano i giudizi anticipati sul nuovo fisco per le imprese: non solo è poco orientato alla crescita, ma si tradurrà in un significativo aggravio di imposte, soprattutto nel 2019.
La tabella 1 illustra gli effetti in termini di cassa dei provvedimenti fiscali che riguardano le imprese. Sono esclusi gli interventi sul lato della spesa, già trattati in un altro articolo.
Tabella 1 – La manovra fiscale complessiva sulle imprese (in termini di cassa). Milioni di euro
Nella tabella 1 sono elencati tredici interventi. Dato che la Relazione tecnica non riporta stime dei benefici distinti per categorie, abbiamo preferito considerare a parte gli ultimi due provvedimenti mirati a ridurre la tassazione non solo alle micro-imprese, ma anche ad altri titolari di partita Iva (professionisti e artigiani). In ogni caso, i circa due miliardi di risparmio fiscale, a decorrere dal 2020, andranno ad attività economiche piccole, incentivandole a rimanere tali proprio per continuare a beneficiare degli sgravi: insomma, tutto all’insegna del “piccolo è bello”, con una strizzata d’occhio all’elettorato.
La tabella si concentra sul triennio relativo alla legge di bilancio 2019. Tuttavia, dalla Relazione tecnica emerge che, a decorrere dal 2022, molti provvedimenti potranno avere effetti, anche significativi, di segno inverso. Per molti di essi, infatti, vi è un incremento degli introiti (leggi aggravio fiscale) nel futuro immediato e un decremento negli anni successivi. È il caso della rimodulazione della deducibilità delle quote di ammortamento del valore dell’avviamento e di altri beni immateriali, che comporterà un maggior gettito, soprattutto a carico di intermediari bancari e finanziari, nel primo triennio (più di un miliardo nel 2019) e una successiva riduzione, a decorrere dal 2022, che tenderà a controbilanciare l’effetto del primo triennio. Ed è il caso anche della proroga della rivalutazione delle partecipazioni non negoziate e dei terreni (dal 2022 vi sarà un segno meno); della deducibilità delle perdite su crediti in sede di prima applicazione dell’Ifrs9, che comporterà un significativo recupero di gettito nel 2019 (più di un miliardo), riassorbito con uno minore nei successivi nove anni; della rimodulazione della Dta, cioè il differimento al periodo d’imposta in corso al 31 dicembre 2026 della deduzione (ai fini Ires e Irap), originariamente prevista per il 2018, delle svalutazioni e perdite su crediti per gli enti creditizi e finanziari (che causerà un gettito di 950 milioni nel 2019 e una corrispondente perdita nel 2027). Anche il progressivo aumento dell’acconto dell’imposta sulle assicurazioni tenderà ad avere effetti di cassa significativi solo nel 2019.
Lo sfasamento temporale, tra aggravi immediati e sgravi successivi, denota una classica tecnica volta a dare copertura alla spesa subito, lasciando eventuali scoperture fuori dal “raggio di azione” del bilancio 2019-2021, cioè “a babbo morto”. Gli oneri fiscali, nell’immediato, saranno per lo più a carico degli intermediari bancari e finanziari, aggiungendo ulteriori criticità a un settore ancora fragile, ma fondamentale per la crescita.
Incentivi e interventi strutturali
Una seconda categoria di interventi riguarda gli incentivi fiscali. Come mostra la tabella 1, sarà prorogato l’iper-ammortamento, mentre non viene riproposto il super-ammortamento contenuto nella legge di bilancio 2018. Tuttavia, l’iper-ammortamento viene ridimensionato e garantirà effetti positivi minori del passato. Questi ultimi, inoltre, saranno parzialmente compensati dalla riduzione del credito in ricerca & sviluppo. Dunque, nel complesso, il piano di incentivi fiscali di carattere automatico, mirati all’innovazione e alla crescita, è deludente rispetto al recente passato.
Veniamo infine ai tre interventi di carattere strutturale: l’abolizione di Iri (imposta reddito imprenditoriale) e Ace (aiuto allo sviluppo economico) e l’introduzione della tassazione agevolata degli utili reinvestiti. Come si può vedere nella tabella 1, per le imprese la manovra si traduce in un aggravio di 2,2 miliardi nel 2019, di 1,6 nel 2020 e di quasi 1 miliardo nel 2021. In più, mentre gli aggravi sono certi, i benefici saranno incerti: tutto dipenderà dal fatto che le imprese decidano di non redistribuire gli utili per investire o assumere nuova forza lavoro. Inoltre, come rilevato anche dall’Ufficio parlamentare di bilancio nell’audizione del 12 novembre, le imprese in perdita non potranno beneficiare di tale strumento, neppure in caso di investimenti con nuovi apporti di capitale.
In conclusione, queste misure fiscali suscitano perplessità e preoccupazione non solo per la loro natura, ma anche per i negativi effetti di cassa sulle imprese e sulle banche, soprattutto nel prossimo anno. Per il 2019 si tratta di più di 6 miliardi, tra riforme strutturali e anticipi/rimodulazioni di vario genere. È dunque difficile pensare che, in uno scenario congiunturale già negativo, possano contribuire a raggiungere gli ambiziosi obiettivi di crescita prospettati dal governo.
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Michele
Dal 2007 ai giorni nostri la tassazione delle imprese (irpeg/ires) è passata dal 33% al 24%. Nello stesso periodo gli investimenti sono calati di più del 20%, per 90% il calo è dovuto al crollo degli investimenti privati (-70 mld all’anno). Tutto ciò malgrado decine di miliardi di incentivi dati alle imprese con jobact (20 mld), super e iper ammortamento, industria 4.0 etc etc
Paolo Panteghini
Lei dimentica che, a partire dal 2008, abbiamo subìto la più pesante recessione dal 1930: questo spiega il crollo degli investimenti. Venendo alla tassazione, pensa che eliminando gli incentivi e tassando maggiormente le imprese, queste torneranno a investire?