Lavoce.info

Cop 24, clima a bassa pressione

Tra spinte verso obiettivi più ambiziosi e minacce di cancellare ogni accordo, le conclusioni della Cop24 hanno scontentato tutti. I disastri ambientali e gli allarmi degli scienziati non bastano a scardinare gli interessi particolari dei singoli paesi.

Le conclusioni di Katowice

Alla Cop24, la conferenza sul clima che si è chiusa il 15 dicembre a Katowice in Polonia, i delegati di quasi duecento paesi hanno avuto necessità dei tempi supplementari per giungere a una conclusione. La diplomazia dell’orologio, quella che si traduce nel fermare virtualmente il tempo alla mezzanotte del giorno di scadenza del negoziato per poter continuare a trattare, era già stata applicata oltre venti anni fa in occasione della firma del protocollo di Kyoto. Nel 2018, al termine delle ulteriori 24 ore di negoziato, il commento del presidente della Cop, il polacco Michal Kurtyka, è stato: “Abbiamo fatto del nostro meglio per non lasciare indietro nessuno”. Frase che meglio di altre sintetizza lo sforzo fatto per chiudere un accordo che scontenta un po’ tutti.

Scontenta certamente chi, sull’onda del recente rapporto dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (Ipcc) che raccomanda la necessità di contenere l’incremento della temperatura del pianeta a 1,5°C, sperava in un accordo più coraggioso e visionario. Scontenta chi velatamente o esplicitamente ha cercato di sabotare l’intero impianto negoziale. Gli Stati Uniti, per esempio, che pur partecipando all’accordo continuano, per bocca del presidente Trump, a minacciarne l’uscita. Scontenta chi voleva inserire una clausola che aprisse al mercato globale dei certificati di riduzione delle emissioni, a causa della forte opposizione del Brasile. Questo paese ha ritirato la disponibilità a ospitare la conferenza dell’anno venturo, sotto l’impulso del presidente eletto Jair Bolsonaro, che in fatto di cambiamenti climatici sembra già fare buona compagnia al presidente Trump. Poi ci si è messa la Turchia, che non voleva essere classificata tra i paesi sviluppati, ma tra quelli in via di sviluppo.

Le domande senza risposta

Tra i tanti temi all’ordine del giorno, comunque, un ruolo fondamentale aveva la preparazione del cosiddetto “Libro delle regole”. È stato raggiunto un accordo su un sistema di regole unitario che detterà come i paesi devono misurare e registrare le proprie emissioni e i relativi obiettivi in base agli impegni assunti nel 2015 a Parigi di mantenere l’aumento medio della temperatura mondiale ben al di sotto dei 2°C rispetto ai livelli preindustriali, con l’obiettivo di limitarlo a 1,5°C. Queste regole elimineranno la precedente distinzione tra paesi sviluppati e in via di sviluppo.

Leggi anche:  Transizione energetica tra dilemmi e incertezze

Altre domande non hanno trovato risposta e, una fra tutte, è quella sempre presente dei finanziamenti dai paesi più industrializzati agli altri, considerate le responsabilità storiche nell’incremento delle concentrazioni di CO2 in atmosfera.

Ma soprattutto resta un tema: la domanda chiave relativa al fatto se i paesi stiano facendo abbastanza per ridurre le loro emissioni, alla luce del recente rapporto dell’Ipcc, è stata semplicemente depennata dal dibattito per manca di volontà politica.

Commentando la firma il 25 marzo 1957 del trattato istitutivo della Comunità economica europea il Corriere della Sera scriveva: “Quello che è stato realizzato è il risultato di sforzi poco ordinari da parte dei governi, i quali hanno sormontato in maniera eccezionale le obiezioni delle loro amministrazioni nazionali”.

In quel momento storico fu possibile tagliare un importante traguardo attraverso uno slancio pienamente politico, sorretto da un attento sguardo diretto al futuro. Si realizzò il superamento di quella politica dell’immediato che invece oggi riveste un ruolo sempre più cruciale nelle nostre società. Nel 1957, una robusta spinta al superamento di quella politica venne dalle guerre e dalle distruzioni che avevano caratterizzato i trenta anni più bui dell’Europa (1915-1945).

Oggi, gli allarmi sempre più frequenti, i disastri ambientali, il carico di morti che questi eventi hanno comportato – tutti fatti ormai univocamente attribuiti al cambiamento climatico – non sono stati invece sufficienti a modificare il previsto esito della conferenza Onu sul clima di Katowice.

D’altra parte, l’attuale amministrazione americana ha definito il cambiamento climatico una bufala, totale e molto costosa, inventata dai cinesi con il preciso scopo di rendere non competitivi i prodotti statunitensi. E non ha esitato inoltre a parlare del riscaldamento globale come di una “cazzata” (bullshit), sostenendo come il nostro pianeta si stia invece congelando. Donald Trump ha poi richiamato il suo “natural instinct for science” (naturale istinto scientifico) per confutare le conclusioni del più recente rapporto Ipcc.

Leggi anche:  Tra consumatori europei e auto elettrica un amore mai sbocciato*

Anche a casa nostra, il consigliere parlamentare Cristiano Ceresani, capo di gabinetto del ministero per la Famiglia, sostiene che il cambiamento climatico sia dovuto al comportamento umano, soggetto alle tentazioni di Satana.

Se questo è il tempo in cui viviamo quale risultato potevamo attenderci? Il prossimo appuntamento è a Santiago del Cile per la Cop 25.

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Accordo in avvio per una Cop28 interlocutoria

Precedente

Dalle pensioni d’oro un contributo piccolo piccolo

Successivo

In busta paga non conta solo il talento

  1. Savino

    Ci vogliono donne e uomini di governo capaci di prendere delle decisioni. Non può essere certo il popolo, che già subisce le ristrettezze economiche, a farlo. La politica energetica e quella industriale dei Paesi devono avere parole definitive sulle fonti di approvvigionamento. In Italia, ad esempio, sono troppi gli esiti contraddittori della politica mostrati dalle vicende Ilva, Tap, Tav, trivellazioni e altre. I politici sono tenuti a dire chiaramente se l’unico loro obiettivo è la salvaguardia di posti di lavoro a prescindere dalla fonte, rinnovabile o tradizionale. Trump, ad esempio, mi è apparso esplicito in questo senso, tornando a portare avanti il carbone.

  2. Dario

    Come si può pretendere che i popoli facciano dei notevoli sacrifici quando si ignora volutamente il vero problema dell’assurdo incremento della popolazione mondiale. Si ignora (credo volutamente) che ogni secondo la popolazione della terra aumenta di 2,5 abitanti (216.000 abitanti al giorno!) , per cui ogni sacrificio che possiamo fare risulta immediatamente annullato, i nuovi abitanti vorranno anch’essi mangiare, muoversi divertirsi, in parole povere consumare e produrre altra CO2, inoltre poichè i nuovi abitanti sono quasi tutti in paesi arretrati, saranno spinti a consumare energie facili da produrre (carbone, petrolio ecc). Tutto quello che possiamo fare per ridurre la produzione di CO2 sarà vano se non si blocca l’aumento della popolazione mondiale con qualsiasi mezzo e presto!

  3. Davide

    Per fortuna che alcuni politici pongono un freno alle assurdità antiscientifiche dell’AGW.
    La realtà è che i fatti stanno smentendo le previsioni IPCC.
    I dati satellitari (meno “adjusted” ed influenzati da fenomeni locali di quelli terrestri) mostrano, come rilevato anche da Rubbia qualche anno fa, una sostanziale stabilità delle temperature in questo secolo. Anche il picco del 2015/16, dovuto a El nino, sta rientrando verso le medie del secolo.
    Giova ricordare che le emissioni reali di CO2 sono ai livelli più alti ipotizzati dai lavori IPCC (sono intorno ad A1FI e RCP 8.5).
    Eppure la dinamica della temperatura è sotto non solo ai 0.3 gradi/decade previsti nel 1990 (intervallo 0.2/0.5) sotto “business as usual”, ma anche a quanto previsto nel 2001 dal terzo rapporto IPCC sotto A1FI. Ad oggi, secondo quest’ultimo, dovremmo avere un aumento di temperatura di circa 0.55 gradi rispetto al 2000, in un intervallo tra 0.4 e 0.7. Invece i dati satellitari mostrano +0.2/0.3 in questo secolo.
    Da notare che, anche i dati “adjusted” sulla temperatura, mostrano un trend di circa 0.17/0.18 gradi per decade. In ogni caso inferiore all’estremo inferiore dell’intervallo delle stime IPCC del ’90 e del 2001 conformi alle (alte) emissioni di co2 registratesi nella realtà.
    Cos’altro serve per ritenere “confutate” le previsioni IPCC, e quindi i modelli a monte?
    Fermo restando che, neanche se le temperatura crescesse a ritmi maggiori, i modelli sarebbero confermati.
    Almeno non sarebbero smentiti.

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén