Economia e lavoro sono la preoccupazione principale per tre italiani su quattro. Ma neanche nel 2019 la disoccupazione diminuirà in modo significativo. E c’è da sperare che non siano introdotte nuove modifiche alla regolazione del mercato del lavoro.
L’anno del reddito di cittadinanza
Dopo un 2018 di dibattiti aspri, tra Waterloo del precariato e abolizione della povertà, e risultati scarsi se comparati a quelli della maggior parte degli altri paesi europei, il 2019 non si annuncia come l’anno della svolta. Economia e lavoro rimangono la preoccupazione principale per tre italiani su quattro, ma con il rallentamento della crescita globale, una netta revisione al ribasso di quella italiana e all’orizzonte pochi investimenti in grado di creare lavoro, nel migliore dei casi la disoccupazione continuerà a scendere solo marginalmente. Inoltre, con produttività stagnante e prospettive future incerte, anche la qualità del lavoro in termini di salari e contratti rimarrà al di sotto di quella di altri paesi sviluppati.
Dal punto di vista normativo e degli strumenti del mercato del lavoro, il 2019 dovrebbe essere l’anno del reddito di cittadinanza, di cui è circolata la prima bozza di decreto in questi giorni. Si tratta di uno strumento che riprende, stanziando molte più risorse, diversi elementi positivi dell’attuale reddito di inclusione, in particolare il riconoscimento della multidimensionalità della povertà, il coinvolgimento dei comuni e degli operatori privati, ma che ha anche numerose criticità. Innanzitutto, in un paese come l’Italia, il rischio di sussidiare il lavoro nero e gli evasori – e la risposta del decreto al problema sembra essere ancora una volta principalmente penale (carcere duro). Paiono ancora sottostimate le difficoltà di gestione amministrativa del nuovo strumento e di coordinamento tra comuni, Anpal, centri per l’impiego e Inps. In particolare, è illusorio pensare che da qui ad aprile, quando dovrebbe entrare in vigore il nuovo sussidio, i centri dell’impiego, che per ammissione stessa dell’Anpal hanno difficoltà a svolgere le loro funzioni base, siano in grado di attrezzarsi per i nuovi compiti.
Cambi al vertice di istituzioni e associazioni
Il 2019 sarà anche un anno di ricambio al vertice di importanti istituzioni e associazioni. La scelta della Cgil tra Vincenzo Colla e Maurizio Landini non è una mera questione interna del sindacato di Corso Italia, ma avrà una influenza significativa sulle relazioni industriali e sul dibattito sul mercato del lavoro più in generale. I sindacati non avranno più il peso di decenni fa, però rimangono un corpo fondamentale di organizzazione ed espressione dei lavoratori e di interlocuzione per imprenditori e governo. Anche l’Agenzia nazionale delle politiche attive del lavoro (Anpal), che avrà un ruolo chiave nella gestione del reddito di cittadinanza, vedrà un cambio al vertice. Non sono ancora chiari i tempi, ma prima di Natale il governo ha deciso che Domenico Parisi prenderà il posto di Maurizio Del Conte. Al nuovo presidente, che arriva dal Mississippi, toccherà continuare a provare a dare centralità, istituzionale e politica, a un’Anpal azzoppata dal fallimento del referendum costituzionale del 2016 e spesso boicottata da regioni gelose delle proprie prerogative in cui, però, si continuano a riporre speranze per migliorare le politiche di incontro tra domanda (scarsa) e offerta (demotivata e spesso poco qualificata) di lavoro. Infine, nel febbraio 2019 giungerà a scadenza il mandato di Tito Boeri all’Inps. Il nuovo presidente, che avrà forse margini di manovra meno ampi con il ritorno di un organo di governo collegiale dell’Istituto, prenderà in mano una macchina imponente e sempre più centrale tra raccolta dei contributi, erogazione dei sussidi, supporto alle decisioni politiche e informazione ai singoli individui. La busta arancione, la modernizzazione delle piattaforme a disposizione di lavoratori, imprese e pensionati e l’apertura delle ricchissime basi di dati ai ricercatori sono esperienze da continuare e rafforzare.
Una moratoria per le riforme
Si spera, invece, che il 2019 non sia un altro anno di (mezze) riforme del lavoro. Nell’ultimo ventennio e con una netta accelerazione dal 2008 a oggi, abbiamo assistito a un’azione ogni due anni, sempre con l’illusione che bastasse un decreto a creare lavoro. Una frenesia legislativa (a cui si è aggiunto a volte l’intervento dei giudici), non preceduta da alcuna valutazione degli strumenti esistenti, che a prescindere dalla bontà delle norme proposte, ha spesso generato confusione senza miglioramenti tangibili e duraturi del nostro mercato del lavoro. La tregua normativa che auspichiamo per il 2019 dovrebbe essere sfruttata per una valutazione di quanto fatto finora e una riflessione globale promossa dal governo, ma il più possibile condivisa sul futuro delle nostre istituzioni del mercato del lavoro. Una sorta di Taylor review all’italiana che metta insieme imprese, associazioni, lavoratori (di “vecchio” e “nuovo” tipo), economisti, sociologi e giuristi per pensare al complesso delle politiche del lavoro e sociali del futuro al di là dell’ennesimo provvedimento al margine e delle proposte improvvisate in risposta al tema del giorno.
Pia illusione? Probabile, ma anche questo sarebbe un segnale di cambiamento.
* Le opinioni espresse non coinvolgono l’istituzione di appartenenza.
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Savino
Col reddito di cittadinanza, i lavoratori attivi avranno lo stesso destino dei panda. Aumenteranno, invece, gli schiavi della politica.
Marcomassimo
Se non si torna a perseguire la piena occupazione in senso keynesiano, non se ne uscirà MAI; la crisi ed il debito dureranno almeno per un altro secolo; il sistema economico-sociale attuale è semplicemente demenziale e fallimentare; si deve soltanto prenderne atto