Le sale dei cinema sembrano aver perso il loro fascino e sempre più spettatori preferiscono le piattaforme online. Mentre il botteghino piange, ad accentuare il problema contribuiscono alcune caratteristiche dell’industria cinematografica italiana.
I risultati delle sale
Il cinema italiano appare indifeso davanti alle sfide di Netflix e delle altre piattaforme di streaming. I dati sui consumatori confermano il calo di popolarità delle sale cinematografiche, mentre alcune caratteristiche dell’industria di casa nostra forniscono indicazioni sulla radice del problema.
Secondo un rapporto Cinetel, nel 2018 sia le vendite che gli incassi al botteghino in Italia hanno raggiunto il minimo dal 2014. Sono 86 milioni i biglietti venduti in totale nell’anno, contro i 92 del 2017 e i 105 del 2016. Anche gli introiti, 555 milioni di euro, diminuiscono del 5 per cento rispetto al 2017 e del 18 per cento rispetto all’anno ancora precedente (figura 1). Sembra essere una tendenza condivisa dagli altri paesi europei. In Germania il calo rispetto al 2017 è stato del 16 per cento, in Francia del 4.
Figura 1
Ciononostante, la Francia resta il paese con più cinefili. I francesi vedono in media tre film all’anno, il doppio rispetto agli italiani, meno della metà dei quali (49,6 per cento) dichiara di essere andato al cinema almeno una volta nel corso del 2017.
A rivelarlo è un’indagine Istat che prova a delineare il profilo dell’utente medio di una sala cinematografica. Gli italiani sono per lo più spettatori occasionali, soltanto il 7,7 per cento va al cinema in modo assiduo, cioè più di una volta al mese.
Sono i giovani i clienti più affezionati: più del 70 per cento dei ragazzi fino ai 14 anni e l’80 dei giovani tra i 14 e i 24 ha acquistato almeno un biglietto nel corso dell’anno. Con l’età, poi, diminuisce la voglia di andare al cinema, come mostra la figura 2.
Figura 2
Nelle grandi città si va al cinema più spesso che nei piccoli centri. E l’abitudine a frequentare le sale cresce al crescere del livello di istruzione (con picchi del 77 per cento tra i laureati) e delle risorse economiche del nucleo famigliare. Tra uomini e donne non c’è invece alcuna differenza.
Il cinema made in Italy
Se guardiamo invece ai numeri dal punto di vista della produzione, delle 528 nuove uscite del 2018, l’industria cinematografica “made in Italy” ne ha prodotte la maggior parte (circa il 39 per cento), seguita da quella statunitense (25,5 per cento) e da quella francese (10,2 per cento); le altre cinematografie ricoprono ruoli marginali. Il numero delle pellicole realizzate rimane piuttosto stabile nel tempo, ma nel 2018 sembra aumentato l’apprezzamento del pubblico: i film italiani hanno attirato il 23 per cento delle preferenze, percentuale in crescita rispetto al 18 per cento del 2017.
Tuttavia, nonostante i maggiori incassi dei film italiani rispetto all’anno precedente, resta tanta la polvere che i grandi blockbuster fanno mangiare ai film di casa nostra. Infatti, con la produzione statunitense che da sola stacca il 60 per cento dei biglietti venduti, sono i film stranieri a trainare i nostri multisala. Per capire perché proviamo a guardare due figure chiave: il produttore e il distributore.
L’industria di Hollywood è dominata da logiche di puro profitto. Gli autori di un film devono trovare un produttore a cui vendere la loro sceneggiatura. Se il produttore intravede un successo ai botteghini, la comprerà assumendosi i rischi d’impresa. Ciò spinge l’autore a lavorare sodo al perfezionamento della sceneggiatura, accompagnato spesso da un team della casa di produzione.
In Italia invece i fondi statali si sostituiscono in parte ai produttori privati. Nelle intenzioni dello stato c’è l’obiettivo di potenziare un’industria di grande interesse generale e, sulla carta, dare spazio al pluralismo e a film di qualità, meno commerciali. Tuttavia, questo può rendere la scelta delle sceneggiature molto meno selettiva, proprio perché lo stato non ha gli stessi obiettivi di profitto di un privato.
I distributori sono invece le aziende che si occupano di portare il film nelle sale e di promuoverlo. Diversamente dalla produzione, in Italia il settore è orientato al mercato e non si basa su fondi statali. Spesso sono le stesse compagnie di produzione estere che si occupano anche della distribuzione. Il risultato è un mercato concentrato (figura 3).
Figura 3
Così benché la percentuale di film italiani sia più alta, la forte concentrazione dà alle case di distribuzione una posizione di forza, che permette loro grandi investimenti in promozione per determinati film, spesso proprio quelli da loro prodotti. Molti film italiani, viceversa, hanno una distribuzione e una promozione decisamente limitata.
La concorrenza del piccolo schermo
La concorrenza delle pellicole straniere non è l’unico problema del cinema italiano. Sempre nella stessa indagine Istat, sono riportati dati che riguardano le preferenze delle persone che decidono di non andare al cinema. Ne emerge con chiarezza una tendenza verso il piccolo schermo, a discapito di quello grande.
Tra i principali motivi di disinteresse per le sale cinematografiche, c’è il favore verso altri canali di distribuzione dei film. Fino a qualche tempo fa la vera differenza tra le produzioni televisive e quelle cinematografiche era la qualità, nettamente superiore nel caso delle pellicole dedicate al grande schermo. Netflix e le altre piattaforme di streaming online, come Amazon Prime, hanno però rivoluzionato del tutto questa concezione, lanciandosi sul mercato della produzione originale di film di alta qualità, distribuiti poi direttamente sulla piattaforma, senza passare per le sale cinematografiche.
Già nel 2015, anno in cui Netflix è entrato sul mercato italiano, il 2,5 per cento delle persone sosteneva di preferire la visione di film in streaming rispetto alla proiezione in sala. Il nuovo modo di guardare i film sembra spopolare in particolare tra i giovani: circa il 20 per cento delle persone tra i 14 e i 24 anni e più del 15 per cento di quelle tra i 25-30 dichiarava di vedere film sul pc più di una volta alla settimana. Vista la crescita delle nuove piattaforme, è ragionevole pensare che le percentuali siano in costante aumento.
Tutto ciò ha spinto il ministro dei Beni culturali Alberto Bonisoli a firmare un decreto attuativo (articolo 2) di una legge del 2016 (di dubbia applicabilità pratica alle piattaforme di streaming) che obbliga i nuovi film italiani a uscire prima nelle sale e solo dopo 105 giorni sulle piattaforme.
È vero che la concorrenza di Netflix e delle altre piattaforme influisce sulla distribuzione cinematografica e sugli incassi al botteghino. Ma le nuove piattaforme hanno dimostrato di essere capaci di attirare l’interesse di una vasta fetta di pubblico e hanno anche il merito di aver avvicinato le fasce più giovani a una grande varietà di prodotti culturali e d’intrattenimento.
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