Trump impone la fine delle deroghe sull’embargo del petrolio iraniano. Ma non tutti i paesi subiscono passivamente l’atto unilaterale. L’Italia aveva già ridotto le quantità importate, ma ora paga di più il greggio e rimane al margine dei giochi internazionali.
L’amministrazione Trump ha deciso di dare un nuovo segnale all’Iran rimuovendo le deroghe concesse ad alcuni paesi, tra cui l’Italia, relative all’importazione di greggio dall’area persiana dopo le sanzioni Usa imposte da novembre 2018. È quella la data di uscita unilaterale degli Stati Uniti dal Joint Comprehensive Plan of Action (Jcpoa), l’accordo sul nucleare iraniano che era stato raggiunto dai paesi P5+1 (Usa, Russia, Cina, Francia, Regno Unito, Germania) nel luglio 2015 ed era entrato in vigore nel gennaio 2016.
Le deroghe alle sanzioni
Oltre all’Italia, i paesi coinvolti sono Grecia, Taiwan, Cina, India, Turchia, Giappone e Corea del Sud. Le deroghe concesse riguardavano quei paesi che avevano dimostrato, agli occhi di Washington, d’aver compiuto significativi passi avanti nel ridurre e alla fine cessare le importazioni dall’Iran. Questi “permessi”, della durata di sei mesi, sono in scadenza il 2 maggio e l’amministrazione americana ha dichiarato di non volerli rinnovare.
L’esenzione è di per sé poco significativa per l’Italia che ha smesso di importare greggio a partire dall’inizio dell’embargo americano. Le importazioni dall’Iran erano relativamente poco significative, pari secondo i dati della relazione di Unione petrolifera (anno 2017) al 12,7 per cento del totale delle importazioni di petrolio. Questa quota è diminuita leggermente nel corso del 2018 e completamente annullata nel 2019 a seguito della sanzioni americane.
Ma Rouhani continua a esportare
Nonostante i desideri del presidente Trump, il paese del presidente Rouhani continua comunque a esportare 2,2 M/bg (milioni di barili giorno) su circa 3,8 M/bg di produzione complessiva. Si tratta di un valore che lo porta intorno al quinto posto tra i paesi esportatori.
Com’è evidente, non tutti i paesi hanno seguito la strada intrapresa dall’Italia. La Cina, per esempio, si à detta “fermamente contraria a qualsiasi ipotesi di embargo unilaterale”, pur essendo stata inclusa nella lista di chi ha goduto delle esenzioni. E la Russia che, pur essendo contraria alle sanzioni, risulta essere il vero vincitore in considerazione dell’incremento dei prezzi del petrolio.
Rimangono alcune questioni molto rilevanti sul tavolo e tra queste il ruolo della Ue e la voce del nostro governo. Sebbene Italia e Grecia siano i due stati membri coinvolti nella vicenda, Bruxelles non sembra essere particolarmente preoccupata, al netto degli sforzi compiuti dall’Alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri Mogherini tesi a tenere aperto un canale negoziale con l’Iran a dispetto della politica nuova dell’amministrazione Usa.
E il governo italiano che fa?
Su un piano diverso Germania, Francia e Regno Unito (proprio il governo della Brexit!) hanno unito le loro forze per stabilire delle linee di credito specifiche per quelle loro aziende che desiderano continuare a lavorare con l’Iran superando le sanzioni americane. Durante l’incontro dei ministri degli Esteri e della Difesa del gennaio 2019, i ministri interessati di quei tre governi hanno lanciato l’Instex (Instrument in Support of Trade Exchanges) disegnato per le ragioni appena illustrate. E mentre la Russia ha dichiarato che vorrebbe partecipare, l’Italia è al momento rimasta esclusa anche se il sottosegretario Garavaglia ha dichiarato alla Camera “Le autorità italiane stanno valutando le caratteristiche di Instex e se e in quale misura aderirvi”.
Sulla politica del nostro governo poche le novità. In questi giorni un tweet d’oltre oceano ci informa che il presidente Trump e il nostro presidente del Consiglio “si sono parlati” ma stando ai resoconti ufficiali non è stato toccato il tema della cancellazione delle deroghe, né è stata discussa la ragione per cui un paese sovrano come il nostro dovrebbe rispettare un embargo che non è frutto di una discussione a livello Onu ma piuttosto figlio di una scelta del tutto americana.
Nel frattempo la bilancia petrolifera nazionale – che viaggia intorno ai 20 miliardi di euro – andrà prevedibilmente a peggiorare in considerazione dell’incremento del prezzo del petrolio.
Chi guadagna e chi perde
Resta da capire chi ha perso e chi ha guadagnato da questa sortita americana. Hanno guadagnato gli Stati Uniti, la cui produzione è aumentata raggiungendo 12 M/bg. Hanno guadagnato tutti quelli che guadagnano quando il prezzo del petrolio aumenta repentinamente: Arabia Saudita, per esempio, storico nemico dell’Iran, ma anche Russia.
Per l’Europa e anche per la Cina (che importa circa la metà del suo fabbisogno di greggio dall’Iran) invece non v’è guadagno.
Infine perde l’Italia, viste le conseguenze dell’incremento del prezzo del petrolio sulla nostra economia. E perde perché questa partita dimostra ancora una volta la nostra marginalità nel complesso processo in atto.
Figura 1 – Bilancia petrolifera italiana in milioni di euro
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Alberto Clò
Secondo i più recenti dati, riportati dal PIW e dall’Oxford Institute for Energy Studies tra maggio e dicembre 2018 la produzione iraniana si è ridotta di 1,1 mil.bbl/g rispetto ai 3,8 iniziali. Da inizio anno si è ridotta ulteriormente. Nello stesso periodo le esportazioni sono calate di 1,4 mil.bbl/g dai 2,8 iniziali per collocarsi (prima dell’eliminazione delle deroghe) intorno a 1,1-1,2. Secondo Energy Intelligence le esportazioni di Teheran potrebbero ridursi nella seconda metà dell’anno a 0,5 mil.bbl/g in funzione delle decisioni che adotteranno Cina e India.