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Quando la pensione è un affare

Nel lungo periodo di transizione al solo contributivo, il nostro sistema previdenziale ha continuato a essere un buon affare per tutti coloro che ricevono una pensione. Lo è soprattutto per chi ha lasciato presto il lavoro. Lo dicono i dati di una ricerca.

Dai sistemi pensionistici tre tipi di redistribuzione

I sistemi pensionistici pubblici realizzano differenti tipi di redistribuzione.

La più nota è quella che deriva dal trasferimento di una parte del prodotto dell’economia dai lavoratori a chi è fuori dal mercato del lavoro perché ha raggiunto l’età di pensionamento. Lo stato interviene poi con trasferimenti, finanziati attraverso la fiscalità generale, a favore della parte più povera della popolazione anziana. Vi è però un terzo tipo di redistribuzione ed è quella che si realizza lungo il ciclo di vita di un individuo. Per misurarla, occorre confrontare la somma complessiva di quanto una persona versa al sistema pensionistico quando è attiva, sotto forma di contribuzione obbligatoria, con la somma complessiva di quanto riceve indietro durante gli anni di pensionamento.

In ognuna di queste redistribuzioni qualcuno riceve e qualcuno paga. Nel primo caso ricevono i pensionati e pagano i lavoratori. Nel secondo ricevono i soggetti anziani e poveri e pagano i contribuenti. Nel terzo caso la dimensione intertemporale rende le cose più complicate. Benefici e costi infatti possono situarsi in periodi anche molto lontani tra loro. Sicuramente, comunque, un sistema pensionistico non può trasferire per sempre e a tutti i suoi partecipanti risorse maggiori di quelle che quei medesimi individui versano nel corso della loro vita. In questo, la redistribuzione intertemporale dei sistemi pensionistici determina effetti simili a quelli che seguono all’emissione di debito pubblico da parte dello stato.

I risultati di una ricerca

Il sistema pensionistico italiano si è caratterizzato finora per l’estrema generosità del terzo tipo di trasferimento. Nel corso di un progetto di ricerca svolto su dati amministrativi dell’Inps nell’ambito del programma Visitinps, è stato possibile misurarne la dimensione nel periodo che va dal 1995 al 2017.

La scelta del periodo non è stata casuale: dopo il 1995 infatti è stato introdotto in Italia il sistema contributivo.

A differenza di quello retributivo, il contributivo è tendenzialmente neutrale rispetto al terzo tipo di redistribuzione poiché, in media, restituisce al pensionato quanto questi ha versato nel corso della sua vita lavorativa. Uno degli aspetti peculiari della riforma del 1995 è stato quello di applicare integralmente la nuova regola ai soli lavoratori entrati nel mercato del lavoro dopo la sua approvazione e di prevedere una transizione estremamente lenta per coloro che già lavoravano. Per questo, almeno fino al 2011, la quasi totalità di coloro che ha avuto accesso al pensionamento ha goduto integralmente della vecchia regola retributiva.

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La tabella 1 riassume i risultati principali dell’indagine empirica, riportando il valore del rapporto tra ammontare complessivo delle pensioni attese e ammontare complessivo dei contributi pagati per differenti sottoinsiemi dell’universo dei pensionati del Fondo pensioni lavoratori dipendenti, il principale schema pensionistico italiano, sebbene non sia il più generoso. In caso di valori del rapporto superiori a 1 possiamo essere sicuri che il sistema pensionistico realizzi un trasferimento netto di risorse lungo il ciclo di vita. Per esempio, il numero 1,99 per il 1995 indica che chi si è pensionato in quell’anno riceve, in valore attuale, 1,99 euro di pensioni per ogni euro di contributo pensionistico versato.

La prima osservazione è relativa al fatto che tutti i valori sono superiori a 1, un risultato non scontato che dà una prima misura della generosità del sistema retributivo. La scomposizione della popolazione per sottoinsiemi aiuta poi a capire quali categorie sono risultate maggiormente favorite. Sicuramente, il vantaggio è diminuito nel tempo, mano a mano che il peso della componente retributiva nel computo delle pensioni si è ridotto. È poi tanto più alto quanto minore è l’età di pensionamento e quanto più basso è il livello di reddito (quando viene misurato come media di tutti i redditi da lavoro percepiti nel corso della vita). È infine maggiore per le donne rispetto agli uomini e per i percettori di pensioni di anzianità rispetto ai pensionati di vecchiaia.

Tabella 1

Anno di prima liquidazione

della pensione

Anni di anzianità

al pensionamento

1995 1,99 Fino a 20 1,71
2000 1,78 da 20 a 25 1,56
2005 1,53 da 26 a 35 1,62
2010 1,47 Più di 35 1,62
2015 1,28 Categoria di pensione
2017 1,21 Vecchiaia 1,51
Età di pensionamento Anzianità 1,64
55 2,03 Decile di reddito permanente
60 1,59 1 1,9
63 1,32 5 1,64
65 1,29 10 1,3
67 1,14 Centile di reddito permanente
Genere del pensionato 98 1,27
Femminile 1,72 99 1,22
Maschile 1,56 100 1,09

 

Tre punti da sottolineare

Tre sono i messaggi importanti da sottolineare. In primo luogo, i dati mostrano che, durante il lungo periodo che ci sta portando lentamente al sistema contributivo e che terminerà all’incirca nel 2035, il sistema pensionistico italiano ha continuato a essere un buon affare per tutti i percettori di pensioni. Se assimiliamo i contributi pensionistici al risparmio (privato) è molto difficile immaginare piani di investimento di lungo termine capaci di garantire rendimenti anche lontanamente comparabili con quelli impliciti nei numeri presentati nella tabella. Pensioni e contributi sono infatti valorizzati al medesimo periodo.

Il guadagno risulta poi particolarmente elevato per coloro che sono andati in pensione presto: il numero 2,03 dei pensionati 55enni significa che il sistema pensionistico ha letteralmente raddoppiato il valore dei contributi versati per questa fortunata tipologia di soggetti. È una conferma empirica del fatto che, all’interno del sistema di calcolo retributivo, l’anticipo nel pensionamento è sempre estremamente conveniente per chi ne può beneficiare, se misurato in un’ottica intertemporale.

Non sono infine i percettori di redditi elevati ad avvantaggiarsi di più di questo tipo di trasferimento, a causa del fatto che il rendimento dei contributi versati risulta decrescente al crescere del reddito all’interno della formula retributiva.

I numeri della tabella potrebbero risultare di aiuto nel caso in cui si volesse valutare l’opportunità di mantenere anche per il futuro quote di pensione retributiva per i soggetti che desiderino anticipare l’età di pensionamento. Un bel regalo per loro e un ulteriore costo per le generazioni future.

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12 commenti

  1. Savino

    Fare affari alle spalle dei propri figli e nipoti. Solo questo sono capaci a fare gli italiani adulti. Zero qualifiche, zero titoli di studio, zero mestieri, zero crescita. Complimenti.

  2. alessandra dal colle

    Non avevo mai visto questa “terribile verità” esposta così chiaramente e esaustivamente insieme.
    In realtà con le mie tasse e imposte sto pagando la pensione di genitori e suoceri nonostante tutti siano stati lavoratori a tempo pieno e non riuscirò a risparmiare molto per mia figlia che invece ne avrebbe forse più bisogno.
    Triste ma vero
    Davvero grazie
    Un lavoratore a “pieno contributivo”

  3. EMILIO

    PER POTER RIDURRE LA SPESA PENSIONISTICA GLOBALE CON EQUITA’ TRA TUTTI (MASCHI, FEMMINE, GIOVANI, ANZIANI ECC.) BISOGNA TROVARE IL METODO PER RENDERLA COMPARABILE NON GLOBALMENTE MA PER IL SINGOLO CITTADINO ALLE SUE CONTRIBUZIONI.
    A MIO MODESTO AVVISO NON SI PUO’ OTTENERE EQUITA’ SE NON SI RIVEDONO I COSIDDETTI DIRITTI QUESITI OVVERO LE PENSIONI DI CHI COME EVIDENZIA QUESTA ANALISI HA GIA’ ABBONDANTEMENTE RICEVUTO MOLTO DI PIU’ RISPETTO A QUANTO HA CONTRIBUITO SOPRATTUTTO RISPETTO AD ALTRI. LA VERA MODIFICA COSTITUZIONALE DOVREBBE ESSERE QUESTA!! INOLTRE ANDREBBERO RIVEDUTE ALCUNE “OPPORTUNITA'” GARANTITE DA REGOLE NON SEMPRE EQUE COME LA PENSIONE DI REVERSIBILITA’ E TANTI ALTRI (AD ES. I PENSIONAMENTI ANTICIPATI POSTI A CARICO DELL’INPS E QUINDI DI CHI DEVE ANCORA LAVORARE). FUORI DA QUESTO CONTESTO TUTTE LE MANOVRE SARANNO SEMPRE UN MODO PER SCARICARE SU CHI ANCORA LAVORA QUANTO E’ STATO – SPESSO INOPINATAMENTE – GARANTITO A CHI NON LAVORA PIU’ E IN QUALCHE CASO NON HA MAI LAVORATO O MOLTO POCO.

    • GiorgioIV

      Perché non legge l’articolo su “Economia”, riportato da Corriere.it di oggi 12 febbraio, in cui si evince che circa il 50% delle pensioni in essere non hanno coperture previdenziali versate e quindi sono a carico dell’altra metà dei pensionati (e non versano oltretutto Irpef perché pensioni di tipo assistenziale)? Questi ultimi, pur avendo versato regolarmente i propri contributi pensionistici (il 33% dello stipendio lordo) ora vengono fatti passare per privilegiati: basti pensare a come l’Istat abbia comunicato recentemente il dato per cui la spesa per i redditi pensionistici (sic!) sarebbe aumentata negli ultimi 20 anni del 70% contro il 35% di aumento per i redditi da lavoro, ingenerando nei poco informati la comvinzione che quello sarebbe stato il livello di aumento delle pensioni nel periodo considerato. Salvo poi precisare che quel dato si riferisce in realtà al complesso della spesa pensionistica, comprensiva, ad es., di quel 50% di pensioni totalmente non coperte da contributi previdenziali versati. Stiamo molto attenti quinid a fare generalizzazioni indebite, etc.

      • EMILIO

        Caro Giorgio IV, quando scrivi “.. e quindi sono a carico dell’altra metà dei pensionati.. ” commetti un piccolo errore: sono a carico degli attuali lavoratori!!! (chi sta già in pensione NON si fa carico proprio di nulla e comunque anche se chi sta in pensione ha versato i contributi NON significa che la sua pensione se la sia pagata … basta pensare alle pensioni date con 16 anni di lavoro…

        • GiorgioIV

          Egr.Emilio, quando scrivo “sono a carico dell’altra metà dei pensionati…” intendo dire che chi sta già in pensione (quella coperta ovviamente da numero adeguato di anni di contribuzione) certo non paga più i contributi (che peraltro ha pagato in proporzione alla propria retribuzione…forse doveva pagare di più , invece che il 33%, magari il 50%?) ma paga evidentemente anche le conseguenze del fatto che la prima metà non ha pagato nulla o poco.
          Infatti vede ridotto significativamente, anno dopo anno, il valore reale della propria pensione, privata di adeguate perequazioni annuali con la giustificazione che già l’INPS spende il 16% del PIL per il complesso delle prestazioni (anche assistenziali o per prestazioni previdenziali non coperte) che eroga.
          Quindi si carica sugli attuali pensionati, tanto più quanto più hanno contribuito con reali contributi, il peso della prima metà, sia riducendo di fatto le prestazioni sia presentandoli come privilegiati in toto e quindi da colpire (basti pensare al bonus fiscale da cui sono stati esclusi).
          Inoltre chi si riferisce a chi ha pagato solo per 16 anni e riceve una pensione? Guarda caso costoro fanno parte della prima metà…

  4. Pietro Brogi

    Il sistema politico italiano, di tutte le tipologie che ha governato e sta governando non ha mai affrontato con equità il sistema pensioni: basta dire che l’adeguamento delle pensioni viene tagliato allo stesso modo sia alle pensioni retributive sia a quelle anche totalmente contributive, per queste ultime quindi il coefficiente andrà sotto il valore uno: ‘agli zoppi grucciate’……

  5. amadeus

    “Non sono infine i percettori di redditi elevati ad avvantaggiarsi di più di questo tipo di trasferimento, a causa del fatto che il rendimento dei contributi versati risulta decrescente al crescere del reddito all’interno della formula retributiva.”
    L’affermazione andrebbe qualificata meglio, perchè in ultima analisi è falsa.
    O meglio è vera in termini relativi (perchè gli indici di cui scrivete sono tutti dei rapporti tra benefici ottenuti e contributi versati, ma è falsa in termini assoluti perchè se il sistema ‘regala’ 1000 euro a chi ne percepisce 10000 l’indice sarà 1.1, mentre se regala 300 euro a chi ne percepisce 1000 l’indice sarà 1.3.

    • Carlo Mazzaferro

      Salve Amadeus, il sistema retributivo ha una formula di computo della pensione tale per cui il coefficiente di rendimento è pari a 2% per ogni anno di contribuzione solo fino a 47 mila euro di retributzione pensionabile. Per la parte eccedente il coefficiente si riduce. Questo significa che il tasso di sostuzione è decrescente, a parità di altri fattori, al crescere del reddito e questo si ripercuote sulle misure e rende effettivamente progressivo il sistema retributivo, caratteristica che si per nel contributivo.
      Carlo Mazzaferro

  6. Carla Facchini

    Trovo l’articolo molto interessante, perché sposta, correttamente, l’attenzione dall’importo delle pensioni al rapporto tra pensione percepita e contributi versati. Evidenzia, cioè, che pensioni di importo modesto, ma per il quale sono stati versati ancor meno contributi possono, in realtà, gravare sul bilancio INPS, e quindi sulla collettività, più di pensioni di importo elevato, ma cui corrispondano contributi adeguati.

  7. toninoc

    Argomento molto spinoso questo del sistema pensionstico che secondo i punti di vista mette in netta contrapposizione il variegato modo dei pensionati con quello dei lavoratori attivi. Tra i pensionati ci sono quelli che sono andati in pensione a 40 anni di età con 16 anni di contributi( privilegio degli statali)con pensione di tipo retributivo e quelli che pur lavorando ben oltre i 35 anni previsti, non avendo versato tutti i contributi, hanno una pensione integrata al minimo. Ne secolo scorso si discuteva di Jungla retributiva senza nessun risultato positivo. Ora si discute di jungla pensionistica nella speranza illusoria che i politici trovino una soluzione .Speriamo la meno peggio.

  8. GiorgioIV

    Leggere l’articolo di A.Brambilla sul Corriere. it di oggi, molto istruttivo quanto a fake news sui presunti privilegi dei pensionati veri (di coloro cioè che hanno pagato regolarmente i contributi e anche le imposte, per loro e per gli altri, e che ora vengono considerati addirittura privilegiati..). Molte pseudotesi semplicistiche verrebbero demolite.

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