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Shock da virus, la via stretta della politica monetaria

Gli effetti del coronavirus sull’economia mondiale saranno seri. A uno shock dal lato dell’offerta si può aggiungere una crisi della domanda dovuta all’incertezza. Il problema delle banche centrali è  evitare il congelamento del mercato del credito.

Così il coronavirus infetta l’economia

L’estensione del coronavirus assomiglia sempre più a una pandemia. In diversi paesi la combinazione di misure restrittive, interruzione della produzione e panico spontaneo dei consumatori sta paralizzando l’attività economica. Gli effetti per l’economia mondiale saranno certamente molto seri.

Siamo di fronte innanzitutto a uno shock negativo di offerta, derivante da riduzione dell’offerta di lavoro (le persone non vanno a lavorare e gli impianti rallentano). Ma in una economia integrata verticalmente a livello internazionale le ripercussioni tra paesi e tra settori possono essere acute. La Mta di Codogno produce componentistica micro-elettronica per le automobili, cruciale per la catena di produzione di Fca, Bmw e Renault. La chiusura degli impianti nel paese lombardo, solo apparentemente un piccolo anello della catena, causa un’ interruzione della produzione in diversi stabilimenti della catena produttiva di queste aziende.

Data la propria struttura produttiva, l’economia italiana è particolarmente fragile in questo scenario. In settori trainanti come la manifattura meccanica, il turismo o la ristorazione è impossibile compensare la riduzione dell’offerta di lavoro e la minore produzione attraverso lo smart working. Quest’ultimo è una forma di organizzazione del lavoro che può (in parte) sostituire il lavoro tradizionale nel settore dei servizi o nell’high-tech, dove l’input produttivo legato all’innovazione e alla conoscenza è preponderante. Ma certamente poco può fare per sostituire il personale nei supermercati o gli operai nella catena di montaggio della Mta.

Anche nei settori high-tech, d’altra parte, lo smart working non può essere un sostituto perfetto del lavoro basato sulla prossimità fisica. Qui la vicinanza fisica delle persone è volano cruciale di innovazione e produzione di idee. Con il passare del tempo, il limitarsi dei momenti di aggregazione avrà un effetto negativo sulla produttività, cioè sull’efficienza con cui sono combinati capitale e lavoro, amplificando lo shock negativo dal lato dell’offerta.

La peculiarità del coronavirus è però nell’unire uno shock dal lato dell’offerta a un acuirsi dell’incertezza. Ed è quel particolare tipo di incertezza associata a una conoscenza limitata, tale che è impossibile descrivere lo stato esistente o gli esiti futuri. Questa incertezza paralizza la domanda, spinge a rimandare i consumi e rafforza il risparmio precauzionale. Alcuni settori sono colpiti in modo particolare. Pensiamo al turismo, al commercio al dettaglio, ai trasporti, all’intrattenimento di massa (cinema, concerti, eventi). C’è poco che la tecnologia possa fare per fronteggiare la reazione della domanda di consumo di fronte all’incertezza. Che per l’economia è cosa ben diversa e ben più catastrofica del mero “rischio”.

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Il dilemma delle banche centrali

Si discute molto di quali risposte la politica monetaria possa dare alla recessione oramai inevitabile. Lo scenario, si dice, è particolarmente delicato per le banche centrali, che sono quasi ovunque vicine, o al di sotto come la Banca centrale europea, del limite zero sui tassi di interesse. Quindi con le mani legate.

Per capire quali vincoli la banca centrale fronteggi è cruciale quantificare la componente di offerta rispetto a quella di domanda dello shock. Uno shock di offerta riduce produzione e investimenti, ma tende a esercitare un effetto al rialzo dei prezzi (cioè inflazionistico). Un rialzo dell’inflazione, paradossalmente, rende il vincolo dei tassi a zero meno stringente; perché spinge al ribasso i tassi di interesse reali, mettendo in moto una politica monetaria espansiva senza che la banca centrale debba muovere i tassi nominali verso il basso.

Quando i tassi nominali sono bloccati a zero (o vincolati poco al di sotto), sono gli shock di domanda a essere problematici, perché muovono attività economica e inflazione nella stessa direzione, cioè al ribasso. Inflazione che scende, con tassi nominali a zero, fa salire i tassi reali, rendendo involontariamente restrittiva la risposta della politica monetaria.

Quindi, da un lato, se il coronavirus “distrugge le catene internazionali del valore”, c’è poco che la politica monetaria possa fare. Tassi di interesse più bassi non riporteranno le persone a lavorare nella Mta di Codogno o le fabbriche cinesi a riattivare la produzione di componenti dell’iPhone. Ma quantomeno, nello scenario shock di offerta, la politica monetaria prigioniera dei tassi zero non tende automaticamente ad aggravare la situazione.

Il vero dilemma per la politica monetaria deriva dalla contrazione di domanda indotta dall’incertezza, difficilmente curabile con minori tassi di interesse. Il rischio è quello di una paralisi dell’economia causata dal congelamento del mercato del credito e dal prosciugarsi della liquidità: imprese che faticano a restituire prestiti perché hanno dovuto sospendere la produzione e non riescono a soddisfare gli ordini già in listino (lato offerta), oppure vedono rapidamente calare ordinazioni e prenotazioni (lato domanda). A sua volta, questo domino tende a riflettersi sul sistema creditizio, in uno scenario da crisi finanziaria.

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Se il sistema economico, stretto nella morsa di domanda e offerta che si contraggono, tende alla paralisi, è cruciale che la politica monetaria pensi a strumenti che ne garantiscano il funzionamento. Il livello dei tassi di interesse conta molto poco. È necessario assicurare alle banche maggiore liquidità, ma vincolarla all’erogazione di credito verso quelle imprese efficienti che però rischiano di bloccarsi per ragioni indipendenti dalla loro produttività. La Bce ha stabilito precedenti di scuola per queste misure e dovrebbe sfruttare il proprio vantaggio comparato.

Lo scenario di medio-lungo periodo, però, suggerisce che lo shock da coronavirus sia ben di più di qualcosa di temporaneo: un vero shock di “de-globalizzazione”. Il cambiamento avverrà non dal lato dell’offerta (le catene del valore possono essere ristabilite), ma dal lato delle preferenze degli individui, che potrebbero percepire diversamente quali rischi siano connessi alla prossimità fisica legata a numerose attività economiche. Minore prossimità fisica vorrà dire minore produttività, un ulteriore fattore in grado di acuire i segnali di stagnazione secolare delle economie avanzate.

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  1. Roberto

    Non ho capito le conseguenze dal lato della domanda. Cosa intende per rischi connessi alla prossimità fisica legata a numerose attività economiche? Ringrazio per la risposta.

    • Giovanni

      Credo che il prof. Monacelli si riferisca al fatto che il consumatore potrebbe percepire diversamente i prodotti in base alla distanza preferendo quelli del negozio “sottocasa” piuttosto che farsi arrivare “un pacco dall’estero”.

      • Lucia Vergano

        Credo invece che il Professor Monacelli nelle sue conclusioni alludesse al fatto che l’epidemia di coronavirus potrebbe modificare nel medio-lungo periodo le modalità di organizzazione del lavoro, nel senso di una maggiore diffusione del telelavoro, con ricadute in termini di produttività. Verrebbero in tal modo meno, infatti, le sinergie connesse con l’interazione quotidiana tra colleghi.

  2. PURICELLI BRUNO

    So di scioccare ma questa fatalità produce danni tanto maggiori quanto più cerchiamo di prevenirla riducendo la dinamica individuale nella società. Vivere è rischioso, lavorare è rischioso, viaggiare è rischioso… anche curarsi può rivelarsi rischioso. Se ci fasciamo la testa prima di rompercela non esisteranno risorse per la nostra sopravvivenza. Nel caso italiano, la vita dovrebbe proseguire adottando gli accorgimenti individuali e nei posti di lavoro con la massima disciplina e poi .. a chi tocca tocca e si curerà!
    Oppure , fermi tutti per una quarantena ma chi ci assicura per il dopo?

    • Luca Pesenti

      Temo non abbia colto le ragioni delle restrizioni. Non si tratta di proteggere gli individui dalla malattia, ma di proteggere il sistema dal collasso. Se nell’arco di qualche mese si ammalasse il 20% della popolazione, ovvero il 2000% in più di quante persone sono ammalate ora, quella si che sarebbe una catastrofe economica. Per non parlare dell’impatto sul sistema sanitario, che già nelle zone più colpite sta collassando dovendo gestire poche centinaia di pazienti gravi, figuriamoci nel caso di centinaia di migliaia.

      Le consiglio di provare ad aggiornare la sua visione del mondo senza considerare la sua convinzione che il comportamento degli italiani sia dettato esclusivamente dal fatto di essere dei sottosviluppati, dei poveri dementi che non fanno altro che fasciarsi la testa prima di rompersela.

      Detto questo, l’articolo non riguarda l’efficacia delle misure restrittive, ma le possibilità della banca centrale di fare qualcosa (che non può fare, perché il problema non è la quantità di liquidità, che non è mai stata così alta, bensì il fatto che non venga spesa)

  3. Asdrubale Sciavga

    Salve professore, una prima cosa, Lei scrive “Uno shock di offerta riduce produzione e investimenti, ma tende a esercitare un effetto al rialzo dei prezzi (cioè inflazionistico). Un rialzo dell’inflazione, paradossalmente,….”. Ma non lo è solo nell’immediato? cioè per i debiti/obbligazioni o prestiti/mutui già acquisiti, ma, da lì in poi, poco cambia? Inoltre, alla fine, cita “segnali di stagnazione secolare….” (cioè, ineluttabili? senza causa?), e, per risolverli, Lei prospetta interventi mirati delle banche centrali risolutivi (immagino tipo i ttltro) appena si attenuerà l’effetto sulla “prossimità fisica” derivante dal coronavirus che ho interpretato, sull’offerta (produzione/vendita) e, sulla domanda (minor paura/incertezza), con maggiori acquisti? Io su tali interventi sono molto scettico! Che strano, qualche giorno fa ho letto il post di Rony Hamaui che, a quel che ho capito, non si fidava troppo dell’efficacia delle banche centrali, ma allo stesso tempo, auspicava, forse in modo un pò illusorio, sistemi di aiuti internazionali dei paesi “virtuosi” (senza debito). Sono perplesso, mi pare che le soluzioni prospettate da Lei e Hamaui non possano essere risolutive proprio perchè non lo sono state finora (banche centrali) o perchè non attuate per precise volontà (stati virtuosi che aiutano). E allora mi vien da pensare che questi post, tralasciando le diverse ipotesi di risoluzione dei problemi, siano poco calati nella realtà. O forse proprio non ho capito nulla?

  4. Il governo tramite la 662, dovrebbe garantire alle banche una linea di credito finalizzata al pagamento dei lavoratori, tasse, contributi e fornitori, per le pmi; una linea di credito pari al 20% del fatturato 2019; le banche saranno obbligate all’erogazione dei prestiti con tali finalità; l’incasso delle commissioni della garanzia verranno appostate in bilancio per gli accantonamenti per le eventuali perdite.

  5. raffaele principe

    Questo è uno shock peggiore di quello del 2001 (attentato alle torri gemelle) che imporrà di ridefinire le filiere produttive che necessariamente dovranno essere più corte e basate su macro aree adiacenti. Non è la fine della globalizzazione, ma sicuramente dovrà essere ridefinita a livello geografico, dove non peseranno solo i costi di produzione e quelli di trasporto (logistica).

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