Il Covid-19 lascia in eredità un altro virus, la disoccupazione. Eppure, gli strumenti per contrastare questa minaccia annunciata non mancano e in altri paesi hanno già dimostrato la loro efficacia. Servirebbero una strategia e qualche investimento.
Da un virus all’altro
Un nuovo virus ci sta minacciando, è il virus della disoccupazione. In poche settimane ha già contagiato più di 30 milioni di cittadini americani. Da noi, in Italia, il disoccuvirus non si è ancora diffuso grazie al potente farmaco degli ammortizzatori sociali – il Cigo-Cigs-Fsi-Cigd, che ne rallenta i sintomi -, ma purtroppo arriverà anche qui. Il contagio da disoccuvirus dipende principalmente da un abbassamento delle difese immunitarie del sistema produttivo: da un lato, quello delle imprese indebolite dal lockdown, dai posti di lavoro che scompaiono e dalla ridotta capacità di resilienza allo shock; dall’altro quello dei lavoratori, prima a orario ridotto, poi senza lavoro alla ricerca di una nuova collocazione.
Come difendersi dal disoccuvirus? Curiosamente le strategie di difesa non sono molto diverse da quelle che combattono il suo cugino Covid-19, certamente più letale e più insidioso.
La prima strategia contro il disoccuvirus è la capacità di individuare tempestivamente i soggetti contagiati, curarli e riavviarli al lavoro: in altre parole, si tratta di mettere in pratica la strategia delle “3 T”, (testa, traccia, tratta – test, trace, treat), secondo le raccomandazioni dall’Organizzazione mondiale della sanità, che anche l’Ilo – l’Organizzazione mondiale del lavoro – dovrebbe fare proprie. Nel caso del disoccuvirus per essere sicuri del contagio non è neppure necessario fare il tampone, basta perdere il proprio lavoro e l’esito è immediato. Eppure, il ministero del Lavoro non dispone delle informazioni necessarie per conoscere la diffusione del contagio, se non parzialmente e con grande ritardo.
Difese contro il disoccuvirus
Immaginiamo invece che i dati del contagio del disoccuvirus possano essere diffusi ogni giorno a livello nazionale, regionale provinciale, in modo da conoscerne in tempo reale la diffusione. Immaginiamo presidi sul territorio per i contagiati del disoccuvirus, capillari efficienti con personale preparato. Agenzie in grado di fare, in modo tempestivo ed efficiente, accettazione, triage, visita, diagnosi, cura, e fissare nuovo appuntamento per impostare cura e prevenzione. Immaginiamo che la presidenza dell’Anpal – Agenzia per le politiche attive del lavoro, la protezione civile del lavoro – sia presidiata da un omologo di Angelo Borrelli e non da un presidente in autoesilio negli Stati Uniti, mentre qui il virus della disoccupazione dilaga.
Immaginiamo che la cura sia per tutti la stessa, e non che in Lombardia vi mandino da un centro di cura accreditato che vi prende in carico solo se il vostro caso non è troppo grave, mentre in Lazio, dopo avervi fatto compilare un modulo, vi mandino a casa con una Tachipirina. Dal disoccuvirus non si guarisce con la Tachipirina stando a casa, anzi la prolungata assenza dal mercato del lavoro tende a peggiorare le condizioni e le opportunità di lavoro.
Immaginiamo di poter contare su veri “navigator”, in carne e ossa e non solo sulla carta, che consigliano, supportano e aiutano nel processo di guarigione e nella prevenzione da un secondo contagio.
Immaginiamo infine che tutti possano scaricare sul proprio smartphone un’app dal nome (di fantasia) “Jobfinder” che consenta ai contagiati (e non solo) di caricare nel sistema i propri sintomi da disoccuvirus, di conoscere il contagio a livello locale e sapere dove si guarisce più facilmente. E che permetta di conoscere quali settori, quali territori, quali aziende forniscono la cura più efficace, cioè un lavoro.
Le imprese, da parte loro, sulla base di un algoritmo potranno ricevere gli abbinamenti ideali e trovare persone con le giuste caratteristiche da “curare”, sempre con un posto di lavoro. Dalla stessa app possiamo immaginare di ricevere informazioni sulle settimane di farmaco Cigo-Cigs-Fsi-Cigd a cui si ha diritto con il sistema pubblico, dopodiché è necessario accedere a un farmaco diverso, magari beneficiando di altri incentivi o pagandolo di tasca propria.
In questo contesto, portare l’indice del contagio da disoccuvirus dal 12 per cento, livello a cui viene stimata ora la disoccupazione, fin sotto il 5 per cento in tempi ragionevoli è un’opzione realistica, difficile ma non impossibile. Con questa cura si potrebbe guarire dal disoccuvirus, con ridotti costi individuali e sociali. Certo, qualche investimento sui presidi territoriali, sul personale e le professionalità in grado di guarire i malati da disoccuvirus andrà fatto, ma è meglio che somministrare a tempo indefinito il farmaco Cigo-Cigs-Fsi-Cigd o peggio ancora il farmaco di “cittadinanza” che trasforma i disoccupati virali in malati cronici.
Il Covid-19 ci ha colti tutti di sorpresa, ma l’arrivo del disoccuvirus, nonostante i proclami “che nessuno perderà il lavoro”, è annunciato da tempo e si tratta di capire se siamo pronti ad affrontare la minaccia di questo nuovo contagio. Il protocollo di cura sopra illustrato è stato sperimentato e attuato con successo, da molti anni, in vari paesi. Perché noi non l’abbiamo ancora fatto?
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Renzo
Non ho capito se è un articolo di natura socioeconomica, se è una fiaba o se è l’ incipit di un nuovo romanzo distopico. Comunque ottimi gli argomenti e assolutamente condivisibili. Purtroppo la trama si svolge in Italia!
Michele
Pie illusioni. Immaginare di ridurre una disoccupazione strutturale solo fluidificando il mercato del lavoro è ovviamente wishful thinking. L’economia italiana appiattita su un liberismo male inteso e tardi applicato sconta una borghesia imprenditoriale che non crede nella crescita del paese e quindi spera di fare affari con lo stato protetti dalla concorrenza e punta alla precarizzazione del lavoro per estrarre più profitti e aumentare le disuguaglianze
Henri Schmit
Ottimo! Bella l’analogia! Avrei forse aggiunto la formazione continua vera, aperta e permanente, a tutti i livelli, l’opposto delle carriere vitalizie fondate sul titolo.
Giuseppe Cusin
Articolo bello e suggestivo, come “Utopia” di Tommaso Moro.
Luca Schionato
Bravo Claudio, interessante l’analogia. Condivido la cura al cento per cento. Dobbiamo continuare a lavorare per questo obiettivo, l’emergenza COVID costituisce l’ennesima occasione per far decollare i servizi proposti nell’articolo. Non perdiamola.