L’accordo raggiunto sul Meccanismo europeo di stabilità prevede che l’accesso ai prestiti possa essere richiesto entro il 31 dicembre 2022. L’incertezza è ancora alta e quindi può rivelarsi conveniente rinviare la richiesta a un momento successivo.
Il Mes e l’Italia
Più di un mese fa si è conclusa la lunga trattativa tra i leader europei sul MES (Meccanismo europeo di stabilità). L’accordo raggiunto prevede come unico requisito di accesso alla linea di credito che i fondi vengano utilizzati per coprire i costi diretti e indiretti dell’assistenza sanitaria e i costi relativi alla cura e alla prevenzione legati alla crisi del Covid-19. L’importo massimo del prestito è pari al 2 per cento del Pil (per l’Italia circa 37 miliardi di euro), il tasso di interesse è pressoché nullo (lo 0,1 per cento) e la durata media del prestito pari a 10 anni.
L’alternativa equivalente al Mes è l’emissione di titoli a 10 anni sui quali lo stato italiano paga negli ultimi tempi un tasso leggermente inferiore all’1,5 per cento. Dunque, il prestito dal Mes consentirebbe oggi un risparmio complessivo di circa 5 miliardi di euro. Sulla base di questa considerazione molti sostengono che la scelta governo italiano di non accedere, almeno per il momento, al Mes sia irrazionale dal punto di vista economico. Ma è proprio così?
A mio parere, no. L’analisi dovrebbe infatti tenere in considerazione che tra le condizioni del Mes è previsto che la richiesta di accesso ai prestiti possa essere inoltrata entro il 31 dicembre 2022. Di conseguenza, la decisione del governo non riguarda solo il “se” accedere al Mes, ma anche il “quando”.
L’opzione Mes
Potremmo quindi riformulare il problema nei seguenti termini. Il Mes garantisce allo stato italiano il diritto di vendergli, entro il 31 dicembre 2022, titoli decennali per 37 miliardi al prezzo già fissato di 36,6 miliardi (tasso dello 0,1 per cento). In alternativa, il governo può vendere 37 miliardi di titoli agli investitori al prezzo di mercato che, in questo periodo, è pari a circa 31,9 miliardi (tasso dell’1,5 per cento). Potremmo dire che lo stato italiano dispone oggi di una opzione put americana (che chiameremo “opzione Mes”) che gli dà il diritto (non l’obbligo) di vendere al Mes entro il 31/12/2022 un titolo (detto sottostante) di 37 miliardi di euro a un prezzo di esercizio (strike price) di 36,6. Perché può essere conveniente non esercitare oggi l’opzione, vendendo al Mes un titolo che vale sul mercato 31,9 miliardi a un prezzo di 36,6 guadagnandone così 4,7?
La risposta va ricercata nel fatto che l’incertezza sulla dinamica futura dei tassi di interesse a cui lo stato italiano sarà in grado di indebitarsi sul mercato fa sì che il valore dell’opzione Mes sia maggiore dei 4,7 miliardi che lo stato guadagnerebbe oggi esercitando l’opzione.
Per chiarire meglio il concetto, ipotizziamo tre possibili scenari da qui al 31 dicembre 2022.
Nel primo scenario supponiamo che i tassi di interesse a cui lo stato si indebita rimangano pressoché invariati. Potremmo esercitare l’opzione Mes richiedendo il prestito poco prima della scadenza: realizzeremmo così quel guadagno di 4,7 miliardi con due anni di ritardo e la perdita per le casse dello stato sarebbe irrilevante.
Nel secondo scenario supponiamo che si verifichi un peggioramento nelle condizioni di accesso ai mercati finanziari del nostro paese. A puro titolo di esempio, che cosa accadrebbe se per qualche ragione lo spread, oggi intorno ai 200 punti base, aumentasse sensibilmente ritornando ai livelli del 2011-2012 (a circa 500)? A quel punto, esercitare l’opzione Mes consentirebbe di risparmiare un ulteriore 3 per cento circa: 37 miliardi di titoli a 10 anni verrebbero prezzati non più a 31,9, ma a 23,8 (tasso del 4,5 per cento), cioè circa 8 miliardi in meno. Invece di risparmiare 4,7 miliardi finiremmo per risparmiarne 12,6, quasi il triplo. Inoltre, in una situazione simile avremmo probabilmente bisogno di aiuti più consistenti dall’Europa (che sarebbero soggetti a condizioni) e le risorse del Mes potrebbero fornire al governo un po’ di tempo in più per raggiungere un accordo con gli altri leader europei. La richiesta del prestito al Mes oggi ci toglierebbe questo vantaggio, oltre all’etichettarci per il futuro come quelli che hanno già beneficiato della “solidarietà” dell’Europa.
Nel terzo scenario, infine, immaginiamo che i tassi di interesse convergano a quello 0,1 per cento applicato dal Mes. In questo caso non avremmo più alcuna convenienza a esercitare l’opzione Mes e potremo dire di aver rinunciato a 4,7 miliardi di euro. Ci sarebbe da dispiacersi? Non direi, dato che con un debito pubblico intorno a 2.500 miliardi, la diminuzione dei tassi porterebbe a una riduzione dell’onere del debito tale da rendere qualche miliardo di euro una cifra insignificante. Inoltre, quanto è probabile un simile scenario? Non molto, visto che ciò significherebbe avere un rating del debito pubblico tra i più alti al mondo.
La valutazione di ammissibilità
Vorrei poi soffermarmi su altri due elementi trascurati nel dibattito, ma importanti. Il primo è che l’accesso al Mes è subordinato a una “valutazione di ammissibilità” (condotta dalla Commissione europea di concerto con la Banca centrale europea) che riguarda principalmente la sostenibilità del debito pubblico del paese (oltre a quella del sistema bancario). Non è chiaro se la valutazione (positiva) effettuata in aprile per tutti i paesi dell’area euro rimarrà valida fino al 31 dicembre 2022, oppure se faranno fede le successive valutazioni. Tuttavia, il ministero dell’Economia e delle Finanze ha a disposizione tutti gli strumenti e le informazioni necessarie e potrebbe quindi anticipare la richiesta di accesso al Mes qualora abbia fondato motivo di aspettarsi l’arrivo di una valutazione negativa. Inoltre, quest’ultima sarebbe associata al perdurare di livelli di spread talmente elevati da rendere necessario, oltre che conveniente, il ricorso al Mes.
Un secondo elemento è che l’accesso al Mes rimane valido per 12 mesi e può essere rinnovato due volte per sei mesi. In teoria, il governo potrebbe dunque attivare subito il Mes, ma decidere di non attingere immediatamente ai fondi, rinviando così il prelievo dalla linea di credito a un momento successivo. In questo caso, il ragionamento sul valore d’opzione sarebbe ancora valido, ma dovrebbe essere riferito all’accesso ai fondi. La strategia è percorribile da un punto di vista legale, ma è tutt’altro che scontato che sia conveniente da un punto di vista economico. Perché attivare una linea di credito se poi non la si utilizza? L’unica ragione plausibile è che il governo abbia il fondato timore di perdere la valutazione di ammissibilità circa la sostenibilità del debito pubblico. Non è esattamente il segnale che un governo vorrebbe dare ai mercati, i quali, è ragionevole pensare, potrebbero non reagire molto positivamente. Pertanto, sebbene l’utilizzo della linea di credito del Mes possa essere modulato nel tempo, è opportuno che il credito venga utilizzato non appena se ne fa richiesta.
In sintesi, se i tassi di interesse rimanessero costanti, aspettare non comporterebbe costi, mentre se diminuissero i guadagni derivanti dalla riduzione dell’onere del debito renderebbero irrilevanti i pochi miliardi di risparmio del Mes. Se invece i tassi aumentassero, avere ancora a disposizione l’opzione del Mes consentirebbe guadagni di gran lunga più elevati. L’incertezza di fronte a noi è ancora molto alta, di conseguenza lo è anche il valore dell’attesa. La strategia economicamente ottimale è quindi non “uccidere” oggi l’opzione Mes.
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Renzo
Secondo me le argomentazioni esposte portano più a pensare che sia meglio richiedere subito il MES (pochi, maledetti e subito), non aspettare che la UE cambi idea. Ovviamente andrebbero anche utilizzati subito bene.
Massimo Mazzi
Ma se è valido il ragionamento del prof. Ticchi -sempre presumendo che anche il Governo si affidi ad esperti economisti- perchè la discussione tra i politici non verte su queste argomentazioni anziché sul prendere o lasciare il MES basandosi su presunti controlli da parte dell’Europa? Il Prof. Ticchi non esclude a priori il MES ma sposta l’eventuale scelta ad un momento favorevole per la nostra economia
Pietro Manzini
Molto interessante e… ‘smart’. Ma mi resta un dubbio: se dei fondi MES, che sono funzionalizzati a spese sanitarie, abbiamo concretamnte bisogno a settembre 2020, tutte le opzioni descritte rimangono valide?
fabrizio
Evidentemente, no !
Henri Schmit
Analisi chiarissima. Le condizioni d’utilizzo del MES sono conosciute e la dimostrazione che il rinvio a settembre della decisione non danneggia il tesoro è evidente. L’argomento può contribuire a calmare le acque di un dibattito politico irrazionale. Ma è proprio questo dibattito, non sulla tempistica, ma sulla convenienza e sulle presunte condizionalità che sta rovinando la credibilità dell’Italia. In un dibattito televisivo recente (registrato, disponibile sull’account Twitter delle prof.ssa De Romanis) un esponente dei 5s (Ruocco) risponde che la condizionalità sono gli obblighi di rimborsare ….! L’incompetenza e la confusione sono palesi. Il problema è il seguente: 1. Non ci sono condizionalità particolari per l’uso Pandemic Crisis Support del MES. 2. L’euro-sistema sottopone i paesi partecipanti a obblighi (condizioni) molto pesanti, definiti e negoziati all’interno della procedura europea annuale per i budget (e delle riforme) nazionali. 3. Le condizioni “di convergenza e di stabilità” sono più gravose per paesi divergenti che per paesi già convergenti. 4. Il Recovery fund aggraverà questi obblighi (condizioni) e i controlli. 5. I “sovranisti” che domani potrebbero tornare al governo sono recalcitranti al rispetto di obblighi assunti oltre 20 anni fa, ma ridiscussi ongi anno. Conclusione: l’Italia deve 1. capire e dire la verità, prendere l’obiettivo di convergenza sul serio e 2. decidere da che parte sta, dentro o fuori.
Silvio
Non sono molto d’accordo sull’analisi. Non è vero che esercitare l’opzione tra un anno, in caso di aumento dei tassi, ci farebbe risparmiare di più. O meglio, sarebbe vero se e solo se, ad oggi, lo Stato fosse costretto a vendere 37 miliardi di titoli come scadenza inevitabile. Nel qual caso, non è detto che si renda necessario un ulteriore indebitamento di scopo tra un anno. Anche perchè non credo che sia corretto considerare il MES come un’alternativa alle normali opzioni di finanziamento a regime. Insomma, le ipotesi mi sembrano un po’ restrittive e parzialmente inverosimili.
Roberto
Non sono d’accordo che è meglio aspettare ad utilizzare il Mes. Considerati i tassi odierni e l’enorme sostegno fornito dalla Bce, delle 3 ipotesi formulate, la più probabile è un aumento dei tassi per l’Italia. Con tassi più alti è vero che ci sarebbero maggiori vantaggi economici a richiedere il Mes, ma più si aspetta più si continua a pagare tassi in rialzo in asta e questo è un sovraccarico economico che si paga subito e invece si può ampiamente evitare attivando prima il Mes. Inoltre è meglio evitare di richiedere il Mes proprio quando si è con l’acqua alla gola perchè questo darebbe un ulteriore segnale negativo ai mercati.
fabrizio
“Con tassi più alti è vero che ci sarebbero maggiori vantaggi economici a richiedere il Mes”: mi scusi, ma rispetto a che ? I tassi MES sono quelli, e sono vantaggiosi anche per tassi di mercato a 0,5%. Inoltre accelerare gli investimenti è di per sé un altro vantaggio, invece che aspettare.
Roberto
Rispetto ai tassi che paga l’Italia sui titoli di stato. Le faccio un esempio: adesso l’Italia paga l’1,2% sul decennale, se i tassi dovessero salire al 2,2% è naturale che sarebbe ancora più conveniente a livello economico chiedere il Mes perchè i tassi sui prestiti del Mes rimangono sempre allo 0,1% e quindi il risparmio per lo stato sarebbe ancora maggiore rispetto ad oggi. Questo è spiegato anche nell’articolo, ma io ritengo che sia controproducente aspettare di pagare di più sui titoli di stato prima di chiedere il Mes. Sugli investimenti concordo con lei, però questo è un altro discorso che esula dalle scelte sul Mes.
Paolo Sbattella
L’Italia ha bisogno, anche in questo momento e per l’immediato futuro, di controllare il debito pubblico che è già alto. Sono dell’idea che l’Italia debba ricorrere al Recovery Fund (ma anche al Sure) solo per progetti utili alla nazione (bisogna comunque prima predisporli e poi rendicontarli) e prendere i soldi (perchè poi occorre restituirli) strettamente necessari per la loro realizzazione in tempi certi. Ovviamente è buona cosa la parte a fondo perduto (bisognerà poi vedere quanto). I soldi presi dal Mes, oltre a motivi di contrarietà che non elenco, vanno nel conteggio del debito pubblico e questo,come è già stato sostenuto da illustri economisti, è un elemento negativo per i mercati. Anche il tecnico Carlo Cottarelli, che presiede l’Osservatorio sui conti pubblici italiani all’Università Cattolica di Milano, ha detto che per le spese sanitarie il bisogno dell’Italia è intorno ai 4 miliardi di euro. Non occorre quindi il Mes per finanziarle. Pertanto No Mes ma Sì Messi (calciatore che se venisse in Italia aumenterebbe il business)
Aldo Mariconda
Ma il Prof. Tacchi ritiene credibili i tre scenari? Un Paese fermo, pre-Covid, col PIL/pro-capite leggermente sceso in 20 anni (V:OECE 2020), senza un’apparente volontà di fare le riforme (V. Cottarelli) e col debito che salirà alle stelle e con governi (sottolineo al plurale, di qualsiasi colore) sempre in disaccordo su tutto, pensa che lo spread cali e la ns. credibilità perduri? Già lo spread è più alto rispetto a Spagna e Portogallo, evidentemente più affidabili di noi.
Diego
Finalmente un punto di vista meno consueto e assai condivisibile.
Attendere è strategico, all’orizzonte potrebbero profilarsi dinamiche che alzeranno i nostri oneri di finanziamento: allentamento PEPP, vendite tds bundesbank, fine sospensione patto stabilità e possibile ricaduta covid.
Utile seguire anche andamento quota variabile tasso del silo MES per la pandemia.
Nonostante tutto i 37 mld che arriverebbero in tranche divise in 7 mesi non sono un importo molto significativo, circa 1 mese di collocazione ordinaria di tds, considerando il 2020 decisamente meno di ciò che dobbiamo finanziare mensilmente