La Camera ha approvato l’assegno unico universale per i figli fino a 21 anni. Non si conosce ancora quale sarà il suo ammontare. Alcune simulazioni mostrano i possibili effetti redistributivi della misura e quelli sul reddito disponibile delle famiglie.
La nuova misura
Il 21 luglio la Camera dei deputati ha approvato la proposta di legge Lepri-Delrio che delega il governo a riordinare, semplificare e potenziare le misure a sostegno dei figli a carico attraverso l’istituzione di un provvedimento unico e universale per ogni figlio a carico (o, più sinteticamente, nuovo assegno figlio). La proposta di legge passa ora all’esame del Senato.
Il nuovo Assegno figlio consiste in un sussidio mensile universale, modulato sulla base della condizione economica del nucleo familiare (Isee) o da sue componenti, per ciascun figlio minorenne e di importo maggiorato per i figli successivi. Comprende anche il riconoscimento di un contributo economico mensile per ciascun figlio di età 18-21 anni a carico, di importo inferiore a quello previsto per i minorenni.
La proposta di legge prevede l’abrogazione degli assegni al nucleo familiare, dell’assegno di natalità (bonus bebè), del premio alla nascita, del fondo di sostegno alla natalità e l’abrogazione delle detrazioni fiscali per figli con meno di 21 anni a carico. Allo stato attuale, il loro costo è quantificabile in 14,9 miliardi, di cui il 54 per cento è rappresentato dalle detrazioni e il 37 per cento dall’assegno al nucleo familiare.
I quattro scenari
Il testo passato alla Camera non fornisce un’indicazione sull’ammontare dell’assegno figlio, ma specifica che la platea dei beneficiari deve comprendere tutte le famiglie con figli a carico, con età inferiore ai 21 anni, indipendentemente dalla situazione economica.
Abbiamo quindi simulato quattro possibili scenari, utilizzando il modulo italiano del modello di microsimulazione fiscale statico dell’Unione europea, Euromod (basato su dati It-SilC 2019), per stimare l’onere per la finanza pubblica del nuovo intervento e quali effetti potrebbe avere sul reddito disponibile delle famiglie, la disuguaglianza e, più in generale, la povertà.
Il primo scenario ripropone la struttura di base dell’assegno di natalità – che prevede, per il primo anno d’età di ogni figlio, un bonus pari a 160, 120 o 80 euro al mese, a seconda dell’appartenenza della famiglia a una delle tre fasce Isee (rispettivamente, sotto 7 mila euro; tra 7 mila e 40 mila e sopra 40 mila) – e lo estende fino al compimento della maggiore età.
Come si evince dalla figura 1, i successivi scenari differiscono per il fatto che ricalibrano il contributo a seconda della fascia Isee. Il secondo preserva soglie costanti ma ne aumenta di circa il 18 per cento l’ammontare.
Il terzo scenario prevede, invece, che il contributo decresca linearmente all’ammontare del reddito delle famiglie con soglie Isee tra 7 mila e 40 mila euro (il 68 per cento di quelle con figli), per tener conto del fatto che all’interno di questa categoria sono incluse situazioni economiche assai diverse.
Il quarto scenario, pur mantenendo l’andamento linearmente decrescente del contributo nella soglia Isee intermedia, aumenta il bonus per la fascia inferiore e lo diminuisce per quella superiore, nel tentativo di renderlo maggiormente redistributivo.
In tutti e quattro gli scenari, l’importo dell’assegno aumenta per il secondo figlio del 10 per cento, per il terzo figlio del 20 per cento e per il terzo figlio e successivi del 30 per cento. Inoltre, l’assegno viene dimezzato se il figlio ha tra i 18 e i 21 anni e risulta essere a carico dei genitori. A titolo esemplificativo, una famiglia con due figli minori, e con un Isee inferiore a 7 mila euro, nel primo scenario – quello meno generoso – avrebbe diritto a un contributo economico mensile pari a 352 euro (primo figlio: 160 euro, secondo figlio: 192), mentre nel quarto scenario a 452 euro (primo figlio: 215 euro, secondo figlio: 237).
Il costo complessivo della misura è stimato pari a 16,3 miliardi di euro per il primo scenario, 19,4 miliardi per il secondo, 20 miliardi per il terzo e 20,3 miliardi per il quarto. Sarebbe quindi necessario recuperare tra 1,5 e 5 miliardi in più rispetto alle risorse oggi destinate alle misure vigenti.
Effetti sul reddito disponibile delle famiglie
Per quanto riguarda gli effetti sul reddito disponibile delle famiglie con figli a carico di meno di 21 anni, l’assegno risulta aumentare quello medio in tutti e quattro gli scenari, soprattutto per i nuclei appartenenti al primo decile, che riceverebbero in media tra i 90 e i 160 euro al mese in più rispetto a ora.
Va detto tuttavia che per una percentuale non irrisoria di famiglie, il nuovo contributo sarebbe meno generoso rispetto a ciò che ricevevano prima sotto forma di assegni e detrazioni. In particolare, la riduzione del reddito disponibile interesserebbe il 26 per cento delle famiglie nel primo scenario, il 15 per cento nel secondo, il 12 per cento nel terzo e il 17 per cento nel quarto.
Chi perde, e in che misura, dipende dal modo con cui verrà realizzato l’assegno da parte del governo.
In particolare, nel primo scenario sono le fasce di reddito più basso a rimetterci maggiormente, mentre con il quarto scenario sono quelle a reddito più alto a subire una perdita. Negli altri due scenari, invece, la situazione sarebbe più equilibrata tra i decili di reddito. Per far sì che nessuna famiglia prenda meno rispetto a prima, si stima che occorrerebbe un ulteriore stanziamento ad hoc quantificabile in un miliardo, nel caso del primo scenario e fra i 500 e i 600 milioni circa nei restanti due.
Nel caso del primo scenario (quello che mantiene le medesime soglie dell’attuale assegno di natalità), la misura non risulterebbe efficace. Infatti, l’analisi distributiva mostra che la situazione socio-economica peggiorerebbe rispetto a oggi. I restanti scenari, invece, pur basandosi su un investimento economico più sostanzioso da parte dello stato, avrebbero un impatto redistributivo rilevante. In particolare, il quarto porterebbe a una riduzione di 1,5 punti del tasso di povertà complessivo e di ben 3,2 punti di quello tra i minori.
Come già discusso da Chiara Saraceno, il nuovo assegno figlio, insieme al Family act proposto dalla ministra Bonetti, è in generale “un buon punto di partenza” che rimette al centro delle politiche del paese il sostegno alle famiglie con figli. Dalla simulazione dei quattro scenari è possibile trarre alcune indicazioni nell’ipotesi in cui si voglia mantenere l’Isee per misurare le risorse a disposizione delle famiglie (questione tutt’altro che neutrale, ma che per evidenti ragioni di spazio non argomentiamo qui, si veda ad esempio Francesco Figari e Carlo Fiorio).
In primo luogo, il contributo non potrà essere troppo basso, perché in tal caso risulterebbe poco significativo dal punto di vista sostanziale, e soprattutto molte famiglie ne andrebbero a perdere. Il nuovo assegno non potrà perciò essere una mera estensione fino alla maggiore età dei figli dell’attuale assegno di natalità. Per coprire quanto oggi spetta in termini di detrazione Irpef per figli a carico e assegno al nucleo familiare, le quote per ciascun figlio dovranno essere necessariamente più elevate.
D’altro canto, per ovvie ragioni di contenimento della spesa, la nuova misura non potrà essere troppo costosa.
Tuttavia, l’aspetto cruciale riguarda il potere redistributivo della misura. Abbiamo mostrato come, a parità di budget negli ultimi tre scenari (circa 20 miliardi), gli effetti redistributivi siano molto differenti a seconda di come viene stabilito l’ammontare dell’assegno per ogni fascia Isee. In particolare, si è visto come l’introduzione di un contributo economico linearmente decrescente all’aumentare del reddito familiare entro la seconda fascia Isee abbia un effetto fortemente redistributivo.
* Le opinioni espresse dagli autori sono esclusivamente personali e non coinvolgono le istituzioni per cui lavorano.
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Giacomo
Temo che per le famiglie possa essere una fregatura. Legare all’ISEE pare giusto in linea di principio ma poi sappiamo che gli ISEE vengono fatti in autocertificazione sul sito INPS e così ce ne sono 1/3 truffaldini, 1/3 errati in buona fede e 1/3 affidabili. I grandi beneficiari saranno come sempre i grandi evasori fiscali. E si introdurrà una ulteriore ragione per le mamme per non lavorare in quanto, se lavorano, cresce l’ISEE e cala l’assegno e quindi conviene stare a casa o lavorare in nero. Tempi grami per la parità uomo-donna
Bazzoli Marzadro Pieri
Sì, siamo d’accordo. L’utilizzo dell’Isee e, in generale, di criteri di reddito potrebbe dar luogo a un effetto di scoraggiamento di un secondo reddito, particolarmente negativo nei confronti delle madri in famiglie a basso reddito. Oltre a ciò, si riferisce ad un reddito che non necessariamente coincide con quello disponibile nel momento in cui si chiede l’assegno ma a due anni prima. Alla luce di ciò, sembra opportuno considerare l’eventualità di definire la gradualità della diminuzione del beneficio al salire dell’Isee evitando scalini troppo ripidi tra soglie Isee.
Massimo C.
Perché l’assegno per i figli deve essere redistribuitivo? In nessun Paese d’Europa l’assegno universale per i figli a decresce col reddito, e nemmeno si azzera mai. Anzi, dovendo incentivare la natalità, spesso è addirittura regressivo. Un assegno figli redistributivo in Italia avrebbe un solo effetto: quello di prendere da chi paga le tasse per dare a chi non le paga. Come sempre: l’ennesimo incentivo all’evasione. Prima di fare elaborazioni e avanzare proposte si dovrebbero studiare i sistemi di welfare familiare e i sistemi fiscali degli altri Paesi.
Bazzoli Marzadro Pieri
Non siamo entrati nel dibattito se sia più opportuno avere un assegno uguale per tutti o graduato in base al reddito, né abbiamo discusso quale sia il miglior indicatore o quanto della spesa per incentivare la natalità vada dedicata all’universalizzazione dei trasferimenti o all’ampliamento in direzione universalistica dei servizi educativi.
Come dichiarato, il nostro obiettivo era più modesto: abbiamo accettato i criteri previsti dalla legge (universalizzazione con gradazione sulla base del reddito) ipotizzando importi (mai pari a zero) in connessione con l’ammontare delle risorse disponibili (come noto, non illimitate) per osservarne gli effetti.
Al di là degli obiettivi espliciti o impliciti, i trasferimenti monetari legati alla presenza di figli hanno un impatto sulle disuguaglianze poichè per incentivare la natalità occorre anche contrastare la povertà che può derivare da uno squilibrio tra risorse disponibili e ammontare dei bisogni. L’assegno universale potrebbe avere l’effetto imprevisto di non attenuare le disuguaglianze tra i minori. Se ipotizzassimo un trasferimento fisso di 140€, a fronte di una spesa di 20.4mld, non solo i tassi di povertà rimarrebbero invariati, ma più di un terzo delle famiglie nei decili più bassi peggiorerebbe il proprio reddito. Va da sé che, alzando l’assegno a 190€, l’efficacia sarebbe migliore ma necessiterebbe di una spesa di 27mld. Opzione interessante ma, hic et nunc, poco fattibile, senza scomodare i manuali sui sistemi di welfare.
Bob Accio
Non si potrebbero alzare semplicemente i redditi e i salari in maniera considerevole e integrarli con detrazioni significative? Inoltre quelli che prendono paghe da 4.000 euro in su al mese, di quale sostegno hanno bisogno? Lo sforzo dovrebbe essere fatto su base culturale, costringendo i politici a fare leggi fiscali eque dimodoché tutti possano pagare le tasse e contribuire a rimpinzare le casse dello Stato, ma anche attuare dei programmi di sgravi per implementare alcuni settori economici. E’ molto bello che lo Stato si dedichi al welfare domestico, ma questo deve rientrare in politiche di sviluppo che si rendano conto di dove sia meglio investire per creare una ricchezza che sia equa e solidale e a lungo termine.