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Terapia intensiva e decessi, il lockdown ha funzionato

I dati relativi ai ricoveri in terapia intensiva e ai decessi da Covid-19 mostrano come, dopo un fisiologico periodo di assestamento, la quarantena ha sortito gli effetti sperati. E per ora le riaperture graduali sembrano non aver intaccato i risultati raggiunti.

Domenica 8 marzo è scattato il provvedimento di lockdown, che ha interessato tutte le principali aree colpite da Covid-19 (la Lombardia e 14 altre province in Emilia-Romagna, Veneto, Piemonte e Marche). Il provvedimento, annunciato nel pomeriggio precedente, ha avuto istantaneamente grande risonanza: la notte tra 7 e 8 marzo i treni in partenza dalle aree interessate sono stati presi d’assalto da una folla di persone residenti altrove. L’effetto meccanico del lockdown consiste in una riduzione repentina – da un giorno al successivo – dei contatti tra le persone e quindi dei contagi. Se disponessimo di informazioni affidabili a cadenza giornaliera sul numero di nuovi contagi, questa riduzione sarebbe direttamente osservabile. Non essendo disponibili queste informazioni, mostreremo che le variazioni giornaliere dei ricoveri in terapia intensiva (nel seguito ΔTI) e dei decessi causati da Covid-19 (nel seguito D) – due grandezze osservabili e, tenuto nel debito conto dello sfasamento temporale, determinate dal numero di nuovi contagi – presentano delle rilevanti discontinuità, rispettivamente, 12 e 21 giorni dopo l’inizio del lockdown.

Per interpretare correttamente i risultati presentati qui di seguito, serve tenere a mente che secondo quanto riportato dall’Istituto superiore di sanità: a) il tempo tra contagio e sviluppo dei sintomi va da 2 a 11 giorni; b) il tempo mediano tra sviluppo dei sintomi e ricovero è a pari a 5 giorni; c) il tempo mediano tra sviluppo dei sintomi e decesso è pari a 12 giorni.

Cosa dicono i dati

Tra il 19 e il 20 di marzo – 12 giorni dopo l’inizio del lockdown – la serie ΔTI ha bruscamente cambiato pendenza: crescita giornaliera media pari a 10,7 fino al 19 marzo, diminuzione giornaliera media pari a 15,5 dal 20 (Figura 1). La differenza tra le due pendenze è pari a 26,3 (i.c. 0,95: 23,2, 29,3). Vale a dire che in assenza di lockdown, il 20 marzo, primo giorno successivo al punto di svolta, le persone ricoverate in terapia intensiva sarebbero state 26,3 in più di quelle effettivamente osservate. Il giorno successivo sarebbero state 26,3+26,3*2=78,9, cioè la variazione del primo giorno più la variazione del secondo giorno. E così via per i giorni successivi.

Figura 1 – Variazione giornaliera del numero di persone ricoverate in terapia intensiva (ΔTI) in Italia (in blu i valori osservati, in arancione l’interpolazione lineare; la linea rossa indica l’8 marzo, inizio del lockdown).

Fonte: elaborazioni dell’autore sui dati della Protezione civile e del ministero della Salute.

Tra il 28 e il 29 marzo, ovvero 21 giorni dopo l’inizio del lockdown, anche la serie dei decessi giornalieri causati da Covid-19 cambia bruscamente pendenza: crescita giornaliera media pari a 39,1 fino al 28 marzo, diminuzione giornaliera media pari a 21,3 dal 29 (Figura 2). La differenza tra le due pendenze è pari a 60,4 (i.c. 0,95: 51,5, 69,4). Vale a dire che in assenza di lockdown, il 29 marzo ci sarebbero stati 60,4 decessi in più di quelli osservati, il 30 sarebbero stati 60,4*2=120,8 in più; e così via per i giorni successivi.

Figura 2 – Decessi giornalieri causati da Covid-19 (D) in Italia (in blu i valori osservati, in arancione l’interpolazione lineare; la linea rossa indica l’8 marzo, inizio del lockdown).

Fonte: elaborazioni dell’autore sui dati della Protezione civile e del ministero della Salute.

Una spiegazione plausibile per i due punti di svolta osservati nelle serie ΔTI e D è che si tratti dell’effetto del lockdown. Uno sfasamento temporale di 12 giorni tra l’entrata in vigore del provvedimento e il punto di svolta osservato in ΔTI è compatibile con questi tempi. Tenuto conto che:

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ΔTI = nuovi ingressi in TI – uscite da TI (con esito positivo o negativo)

secondo questa spiegazione, la discontinuità osservata a cavallo dei giorni 19 e 20 marzo corrisponde a una discontinuità nella serie dei nuovi ingressi in terapia intensiva (non nella serie delle uscite, a quella data non ancora toccate dal provvedimento). In modo del tutto analogo, anche nel caso della serie dei decessi lo sfasamento temporale di 21 giorni tra l’inizio del lockdown e il punto di svolta è compatibile con i tempi intercorrenti tra contagio e decesso.

Proiettando in avanti le tendenze in atto prima del punto di svolta delle due serie ΔTI e D, si ottiene una stima di ciò che sarebbe successo nei giorni immediatamente successivi al punto di svolta se il lockdown non fosse stato attuato. Il numero di persone in terapia intensiva ha toccato il suo massimo il 3 aprile (4.068 ricoverati), ovvero 15 giorni dopo il punto di svolta di ΔTI. In assenza di lockdown, la stima del fabbisogno di posti in terapia intensiva per il 3 aprile è pari a 7.224 (i.c. 0,95: 6.852, 7.584), largamente superiore ai 4.068 osservati quel giorno.

Analogamente, la stima dei decessi giornalieri per il 12 aprile, cioè 15 giorni dopo il punto di svolta, è pari a 1.493, a fronte dei 431 decessi osservati quel giorno. Secondo questa stima, i decessi evitati nei primi 15 giorni dopo il punto di svolta della serie D, cioè i decessi in più che sarebbero avvenuti in assenza di lockdown nei giorni dal 29 marzo al 12 aprile, sono 7.248 (i.c. 0,95: 6.180, 8.328).

Effetto solo del lockdown?

“Natura non facit saltus” (G.W. Leibniz, 1704)

È credibile l’attribuzione delle discontinuità osservate nelle Figure 1 e 2 all’effetto del lockdown? Come detto sopra, sia per ΔTI che per D, si tratta di punti di svolta con uno sfasamento temporale rispetto alla data del provvedimento compatibile con quanto si sa sui tempi intercorrenti tra contagio, sviluppo dei sintomi, ricovero e decesso. Per smontare questa interpretazione, servirebbe trovare una spiegazione alternativa per il brusco calo di pendenza osservato nelle due serie ΔTI e D. Poco plausibile che siano punti di svolta dovuti all’evoluzione naturale dei contagi, oppure a cambiamenti nei comportamenti delle persone. In entrambi i casi si tratta di cambiamenti che avvengono in modo graduale, nell’arco di più giorni. Qui invece siamo in presenza di punti di svolta bruschi, da un giorno al successivo.

Ci sono altri studi che propongono stime degli effetti totali dei provvedimenti non-pharmaceutical sul numero di decessi causati da Covid-19, ad esempio qui e qui. Si tratta cioè di effetti non limitati ai primi giorni successivi all’adozione dei provvedimenti, come quelli proposti in questo articolo, ma che coprono l’intero periodo successivo all’inizio della pandemia. Il limite di queste stime è riconosciuto esplicitamente dagli stessi autori: a ridosso del punto di svolta, dove iniziano a materializzarsi gli effetti del provvedimento, i cambiamenti osservati sono facilmente attribuibili al provvedimento stesso. Più ci si allontana dal punto di svolta, più è possibile che entrino in gioco altri elementi (evoluzione spontanea del fenomeno, adattamento dei comportamenti). In questo senso, il limite delle stime proposte qui è anche il suo punto di forza: sono meno esposte a questa critica, proprio perché limitate agli effetti nei primi giorni successivi al punto di svolta.

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L’evoluzione successiva

La rapida diminuzione della variazione giornaliera del numero di persone ricoverate in terapia intensiva innescata dal lockdown ha a sua volta innescato un circolo virtuoso: nel giro di pochi giorni ha ridotto la pressione sui reparti ospedalieri e li ha messi nelle condizioni di lavorare in relativa tranquillità. Il 3 aprile, 15 giorni dopo il punto di svolta di ΔTI, il numero dei ricoverati in terapia intensiva ha toccato il massimo (poco più di 4 mila) e ha iniziato a diminuire.

Figura 3 – Decessi giornalieri osservati (linea blu) e predetti secondo la regola 0,14*(totale ricoverati in terapia intensiva 8 giorni prima) (linea arancione). La linea verde indica il giorno 4 aprile, nel quale il numero di ricoverati in terapia intensiva ha iniziato a diminuire.

Fonte: elaborazioni dell’autore sui dati della Protezione civile e del ministero della Salute.

Qualche giorno dopo il 3 aprile il rapporto (decessi giornalieri) / (totale ricoverati in TI 8 giorni prima)
si è stabilizzato attorno a 0,14 e da lì non si è più mosso fino ad oggi (Figura 3): una sorta di equilibrio tra numero di decessi e numero di ricoveri in terapia intensiva tra coloro che sono stati contagiati approssimativamente lo stesso giorno. Negli stessi giorni si è stabilizzata anche la variazione giornaliera relativa del numero di ricoverati in terapia intensiva, attorno a -0,04. Cioè una riduzione giornaliera pari a circa il 4 per cento (Figura 4). Le due figure mostrano con chiarezza che entrambe queste regolarità si sono manifestate solo dopo il 3 aprile, giorno in cui il numero di ricoverati in terapia intensiva ha iniziato a diminuire. In particolare, nelle due figure si nota che le progressive aperture del 4 maggio e del 18 maggio non hanno minimamente toccato queste regolarità. È il sentiero percorso lentamente ma regolarmente negli ultimi mesi che ci ha portati fino al quasi azzeramento dei decessi e dei ricoveri in terapia intensiva osservato in questi giorni.

Figura 4 – Variazione giornaliera del numero di persone ricoverate in terapia intensiva (ΔTI), osservata (linea blu) e predetta secondo la regola -0.04*TI(-1) (linea arancione). La linea verde indica il giorno 4 aprile, nel quale il numero di ricoverati in terapia intensiva ha iniziato a diminuire.

Fonte: elaborazioni dell’autore sui dati della Protezione civile e del ministero della Salute.

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  1. Marco Spampinato

    Un’interpretazione alternativa considera poco efficaci, o insufficienti, le misure dell’8/9 marzo e finalmente efficace il rafforzamento del lockdown del 22. Il Dpcm del 22 marzo ha chiuso le attività economiche non essenziali (un’ordinanza ministeriale ha rafforzato i divieti di mobilità intercomunale). Nel formulare questa ipotesi non considero i ricoveri in terapia intensiva, quindi non ho un’interpretazione del calo dal 20 marzo. Tuttavia, il 22 e 23 si ha anche una riduzione dei decessi, che riprendono a crescere -altalenanti- dal 24, e sono al massimo tra 27 e 31. Possibile che un piccolo effetto dei primi provvedimenti ci fosse. Dati sulla mobilità intercomunale sembrerebbero dire (analisi non mie) che la mobilità riprende però dopo una frenata intorno al parziale lockdown (zona ‘arancione’ nel Nord estesa a tutti). La considerazione sui ricoveri è che il dato, anche come quota sui contagiati, è reso incerto da varie decisioni che lo influenzano. Difficile fare assunzioni anche sulla relazione tra terapie intensive e ricoveri o tra terapie intensive e contagi. Ipotizzando che siano i decessi (come quota in quel momento stabile dell’ignoto numero di contagiati) a costituire il dato più affidabile, il secondo provvedimento -lockdown completo- appare necessario all’inversione di tendenza. I tempi intercorsi dal 22 marzo al 5/6 aprile sono in linea con questa ipotesi. Tutto questo senza considerare le differenze tra Regioni e le zone rosse.

    • Enrico Rettore

      Più che alternativa è una spiegazione complementare. Mi sono concentrato sugli effetti del provvedimento del 8/3 perché è (probabilmente) il più importante e quello che rimarrà più impresso nella memoria collettiva. Questo non vuol dire che gli altri siano irrilevanti. Invece, non capisco il commento sui ricoveri TI. Cosa c’è di incerto nella relazione tra contagi e ricoveri TI? Per certi aspetti, quel dato è più affidabile dei decessi che hanno il problema aggiuntivo dell’identificazione della causa di decesso. E’ la lettura congiunta dell’andamento delle due serie che fornisce indizi convergenti.

      • Amegighi

        Credo sia molto importante considerare sempre che non stiamo parlando di merci, imprese e produzione. Cioè di parametri fissi nel loro dato oggettivo.
        Ad esempio: quanto ha inciso il progressivo implementare misure di controllo territoriale ? Sarebbe interessante per valutare anche differenze marcate osservate tra regioni attigue. Quanto ha inciso il sovraccarico delle TI ? Ricordare i documenti della Società italiana di Rianimazione sulla valutazione dei pazienti. Quanto hanno inciso le misure anticipate di controllo dei contagiati paucisintomatici, l’utilizzo di nuove tecniche terapeutiche e di nuovi approcci terapeutici individuati nel corso dell’epidemia anche sulla base delle esperienze altrui. Spesso ce ne dimentichiamo, ma i medici sono collegati mondialmente ormai attraverso database continuamente aggiornati e attraverso vari sistemi chiamiamoli “social” professionali. Ciò ha notevolmente inciso.
        Penso che sia utile valutare il numero dei contagiati (siano essi sintomatici o no) piuttosto che le TI. Questi ultimi dati, se non “sporcati” dal sovraccarico degli Ospedali, potrebbero essere utili epidemiologicamente per valutare la gravità dell’infezione, mentre, al netto di questi ultimi dati, potrebbero invece essere un modo per valutare la capacità di gestire la crisi dal parte del sistema sanitario.
        Infine un’ultima considerazione. Parliamo sempre di decessi da covid, ma nella letteratura già si inizia a considerare chi è morto per non potersi curare negli ospedali.

      • Marco Spampinato

        L’incertezza nasce dall’ipotesi che (a) una parte dei decessi, nei contesti a maggiore diffusione del virus, non sia giunta al ricovero, quindi nemmeno a TI, e che (b) una parte dei ricoverati non sia giunta a TI per indisponibilità di posti — o che (c) posti aggiuntivi, creati ad hoc, abbiano reso meno netta la registrazione di reparti/trattamenti, a marzo. Anche considerando solo la prima ipotesi, il dubbio è quindi che intorno al picco di marzo parte dei malati sia deceduta senza ricovero –a fortiori senza TI. Certamente anche sulla mortalità possono esserci problemi di attribuzione, ma può esserci anche una sottostima. L’ipotesi è quindi alternativa perché mette in dubbio che il provvedimento dell’8/3 sia stato, preso da solo, sufficiente a ridurre contagi e crescita dei decessi. Lo stesso PdC parlò di strategia progressiva di lockdown, rivelando la possibilità di una insufficienza dei provvedimenti dell’8/3. Ci si può legittimamente chiedere se una scelta diversa (lockdown completo, come da provvedimenti del 22/3, per tutti o a partire da Lombardia e zone a maggior rischio) non sarebbe stata più efficace, da molti punti di vista.

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