La pandemia ha accentuato le debolezze di paesi e persone. In Italia ha mostrato una volta di più la difficoltà delle donne di conciliare lavoro e impegni familiari. Un aiuto può venire dal welfare interaziendale, con la creazione di reti fra Pmi.
Le priorità della task force
La crisi pandemica ha esacerbato due fragilità del nostro paese. In primo luogo, è diventato ancora più evidente quanto la disuguaglianza di genere sia un fenomeno radicato: in Italia, le donne faticano a conciliare vita privata e professionale a causa della mancanza di misure di sostegno alla famiglia (asili nido e doposcuola), tanto che, come mostra il grafico 1, il 38 per cento di loro si appoggia a familiari e amici. D’altra parte, una potenziale soluzione alla problematica – il welfare aziendale – non è sviluppato appieno dalle imprese.
Tutto ciò ha spinto Elena Bonetti, ministra per le Pari opportunità e per la Famiglia, a creare una task force per l’uguaglianza di genere, “Donne per un Nuovo Rinascimento”, che classifica il welfare aziendale tra le aree sulle quali è più necessario intervenire. La task force propone di incentivare “soluzioni di rete per le piccole e medie imprese (Pmi), attraverso la creazione di pooling tra le imprese allo scopo di condividere soluzioni per il sostegno alla armonizzazione dei tempi della vita e del lavoro delle dipendenti”.
Creare reti di welfare interaziendale
Come raggiungere l’obiettivo? Nonostante i passi avanti della normativa in materia di welfare aziendale, i datori di lavoro delle Pmi, che costituiscono il 92 per cento del tessuto produttivo italiano, faticano a garantire alcuni importanti servizi per le famiglie. Come dimostra il grafico 2, solo lo 0,6 per cento di un campione di 4.561 imprese mette a disposizione asili nido aziendali. La legge 448/2001 avrebbe dovuto incentivarne la creazione, ma la piccola dimensione della maggior parte delle imprese italiane non rende conveniente istituire un asilo nido interno. Gli alti costi e le lunghe trafile burocratiche non valgono la pena se non è garantito il turnover di bimbi nel tempo.
Le Pmi potrebbero perciò beneficiare da una soluzione condivisa come quella del welfare interaziendale (o territoriale), costituito da reti di imprese che sfruttano le proprie risorse per offrire servizi condivisi su base territoriale. Tuttavia, è una pratica poco diffusa in Italia a causa della mancanza di una cultura del welfare aziendale, intesa come conoscenza delle norme e opportunità a disposizione delle imprese. Solo il 29 per cento delle Pmi, infatti, conosce lo strumento dei flexible benefits, ossia l’adozione da parte dell’impresa di un piano aggiuntivo alla retribuzione monetaria che consiste nell’erogazione di beni e servizi in maniera flessibile rispetto alle esigenze del lavoratore. Di queste, appena l’1 per cento lo adopera.
Pur essendoci esempi di successo come Giunca e PoEMA, sono necessari ingredienti fondamentali per la buona riuscita della rete: la coordinazione interaziendale, lo spirito di iniziativa del datore di lavoro, un ente catalizzatore o un capitale sociale pregresso in comune, inteso come l’esistenza di collaborazioni già sperimentate nell’ambito logistico-produttivo o in termini di relazioni formative.
Come evidenziato in una nostra recente analisi, è fondamentale lavorare su due piani: allargare le reti di welfare esistenti e incentivare la creazione di nuove. In particolare, le reti vanno incoraggiate a sviluppare servizi di welfare per la conciliazione vita-lavoro, ovvero quel settore del welfare aziendale che più riesce a incentivare l’occupazione delle donne. Come afferma il Report Welfare Index Pmi 2019, tramite i servizi per la famiglia – come asili nido aziendali o convenzionati, centri estivi e doposcuola – è possibile mitigare l’impatto dei carichi di cura sul lavoro delle donne.
Per favorire la creazione di nuove reti di welfare e allargare quelle già esistenti, occorre identificare una piattaforma online che garantisca la connessione tra imprese nella stessa area territoriale. Sfruttando il motore di ricerca Infoimprese come canale preferenziale, sarebbe sufficiente introdurre un filtro all’interno del sito per favorire lo sviluppo di collaborazioni tra Pmi, che potrebbero gestire i processi senza un dispendioso ente catalizzatore. Il filtro consentirebbe alle Pmi di trovare aziende simili a loro in base alla geolocazione, il settore di lavoro, la tipologia o l’età dei dipendenti. Per parte sua, il ministero dell’Economia e delle Finanze potrebbe finanziare una campagna d’informazione per pubblicizzare la piattaforma, nonché gli esempi di successo sul territorio e gli strumenti normativi a disposizione delle imprese.
Per incoraggiare lo sviluppo di servizi in condivisione per la conciliazione vita-lavoro, le aziende dovrebbero concordare l’introduzione di piani di flexible benefits. Tutte dovrebbero prevedere la categoria “dipendenti con figli”, i quali potranno così scegliere tra l’asilo nido interaziendale, il doposcuola e il centro estivo messi a disposizione dalla rete. Lo sviluppo dei servizi di welfare per la famiglia potrebbe essere ulteriormente incentivato dall’istituzione di un premio annuale per le Pmi che si sono distinte nel campo della conciliazione vita-lavoro, grazie alle sinergie create dalla rete di welfare.
Favorire il supporto reciproco tra le Pmi nell’ampliamento dell’offerta di servizi di sostegno alla famiglia può garantire un aiuto concreto alla genitorialità e soprattutto alle madri. Con una loro maggiore libertà lavorativa, l’occupazione femminile può trovare nuovo slancio.
* Testo a cura di Massimo Moltoni, Martina Russo e Francesca Squillante.
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