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Italiani all’estero: una questione di rappresentanza

Il “sì” al referendum costituzionale sul taglio dei parlamentari ha ottenuto un consenso molto ampio nel voto estero. Un paradosso, perché questi elettori sono di gran lunga i meno rappresentati. Come si spiega il fenomeno? E cosa accade negli altri paesi?

Chi rappresenta i sei milioni di italiani all’estero

Il referendum costituzionale del 20 e 21 settembre ha confermato la riforma approvata dal Parlamento sulla riduzione di circa un terzo dei suoi membri. Gli effetti del taglio sulla rappresentanza democratica hanno acceso un ampio dibattito, ma che, visti i risultati, appare essere stato ampiamente accettato dal corpo elettorale. Tuttavia, non tutti gli elettori sono uguali. O meglio: non tutti sono rappresentati allo stesso modo. Si è già scritto che in alcune piccole regioni il taglio dei senatori è stato superiore al 50 per cento, contro una media del 37 per cento. A parte i diretti interessati, nessuno si è invece occupato seriamente degli italiani all’estero. Sono circa 6 milioni quelli ufficialmente residenti fuori dall’Italia, e quindi iscritti all’Anagrafe per gli italiani all’estero (Aire). Tra questi, coloro che hanno diritto di voto sono circa 4,5 milioni (gli elettori in Italia sono 46,5 milioni). Ora, a rappresentarli saranno 4 senatori e 8 deputati. Significa che ogni deputato eletto all’estero rappresenterà circa 560mila elettori (375 mila prima dell’ultima riforma). A titolo di paragone, alle prossime elezioni legislative ogni deputato eletto in Italia rappresenterà circa 118 mila elettori (75 mila prima della riforma).

Cosa succede nel mondo

Benché la maggior parte dei paesi nel mondo permetta ai propri cittadini residenti all’estero di votare per le elezioni nazionali, spesso previa registrazione, sono pochissime le legislazioni che prevedono specifici seggi per gli emigrati: Algeria, Angola, Capo Verde, Colombia, Croazia, Ecuador, Francia, Italia, Mozambico, Panama, Portogallo, Romania e Tunisia. Per quanto riguarda l’Italia, il numero degli eletti nella circoscrizione estero è stato appena ridotto da 18 a 12 dalla riforma costituzionale: 8 membri alla Camera su 400 e 4 al Senato su 200, esattamente il 2 per cento. Per gli altri paesi, le quote sono presentate in tabella 1. Si tratta di quote molto variabili, ma solitamente piuttosto contenute, che diventano rilevanti solo in casi particolari (Tunisia e Capo Verde). Diversi paesi, anche sollecitati dall’esempio italiano, si sono dotati di rappresentanze specifiche dei territori al di fuori del parlamento.

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Come vengono rappresentati gli italiani all’estero

I parlamentari eletti all’estero sono infatti la punta dell’iceberg, più visibile e nota, del sistema della rappresentanza degli italiani all’estero, e ne sono anche la parte più recente (nati con la “legge Tremaglia” del 2001). Sin dagli anni Ottanta la rappresentanza si era istituzionalizzata, attraverso volontari impegnati nelle associazioni, in due direzioni. Quella delle Consulte regionali per l’emigrazione, che esercita la rappresentanza rispetto al territorio di provenienza, e quella dei Comitati degli italiani all’estero (Com.It.Es.), che vengono eletti da tutti gli iscritti al registro per gli italiani all’estero (Aire) di ciascuna circoscrizione consolare e che fungono da interfaccia tra la comunità e il consolato, ma anche le autorità locali. A loro volta, i Com.It.Es. eleggono i membri del Consiglio generale degli italiani all’estero (Cgie). Composta da 63 consiglieri (di cui 20 di nomina governativa), l’istituzione è per legge luogo di sintesi delle politiche per gli italiani all’estero ed è presieduta dal ministro degli Esteri.

Serve votare all’estero?

L’Italia è quindi un paese all’avanguardia nel rappresentare i suoi cittadini all’estero, ma questa rappresentanza, se non valorizzata nel suo insieme, rischia di risultare solo simbolica, specie dopo il taglio referendario. Se gli italiani all’estero (molti dei quali partiti in dissenso rispetto all’immobilismo del Belpaese) hanno dimostrato ora e nel 2016 di volere che il paese venga riformato, il legame con le proprie diversificate rappresentanze è più difficile da custodire. Questo avviene perché la matrice associativa che ha gettato le fondamenta delle istituzioni vigenti non è più (o non è ancora) la cifra delle nuove emigrazioni. E perché l’aumento del 62 per cento degli emigrati in dieci anni ha travolto la capillarità di una comunità semi-organizzata, irrompendo con un afflusso forte e rapido che deve ancora costruire un proprio reticolato.

E se secondo alcuni, il diritto di voto degli italiani all’estero dovrebbe connotarsi come un “diritto di tribuna”, va ricordato che si sta parlando del 10 per cento della popolazione. La voce dei rappresentati è un valore non solo per esprimere i bisogni della base, ma anche il suo potenziale, come alcune amministrazioni e centri di ricerca hanno cominciato a capire.

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La complessità del fenomeno migratorio si ritrova ogni anno dal Rapporto italiani nel mondo (Rim), la cui prossima edizione uscirà il 27 ottobre. Una descrizione più articolata del voto al recente referendum dovrebbe arrivare anche da una ricerca universitaria in corso, che raccoglie, tramite questionario, le ragioni degli italiani all’estero.

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17 commenti

  1. Savino

    Chi non conosce l’Italia ha una scheda elettorale in mano, chi vive da anni in Italia e ne conosce i suoi problemi non può votare. Per paradosso, l’evoluzione della democrazia parlamentare, che pare non sia più di moda, potrebbe essere, invece, la restrizione e territorializzazione del suffragio, coinvolgendo solo chi è in grado di percepire le realtà implementate e gli interessi effettivi della collettività. Per esempio, dovrebbe essere ben più marcata l’esclusione dal suffragio per chi è in odore di associazioni a delinquere di stampo mafioso e di varia natura, personaggi che potrebbero inquinare il voto e cui dovrebbe essere proibito di accostarsi a riferimenti istituzionali. Quello dell’uguaglianza un voto a cranio resta, quindi, un problema non ottocentesco o novecentesco, ma molto attuale.

    • «Chi non conosce l’Italia ha una scheda elettorale in mano»: sono persone che conoscono bene i problemi italiani, visto che hanno dovuto emigrare per trovare degna occupazione. Vista la qualità del capitale umano, è così scandaloso riservare loro il 2% di rappresentanza parlamentare? Tralascio il resto del messaggio; «in odore di» e «ben più marcata esclusione» (?) non sono concetti giuridici ma da mercato del pesce.

      • Savino

        Un signore delle tessere ha detto a Report che “anche gli n’dranghetisti votano” e questo non è da Paese civile. I discendenti da più generazioni degli italiani all’estero non conoscono l’Italia se non per turismo e non sono confondibili con i temporaneamente domiciliati all’estero per studio e per lavoro, anzi l’Italia dove fare di più per questi ultimi, ad esempio in sede di Brexit per proteggerli.

  2. Articolo ottimo e informato. Forse c’è un refuso sulla Francia, nella quale non mi pare che i parlamentari siano 331! Quanto all’Italia: gli Autori dovrebbero considerare che quando la rappresentanza degli italiani all’estero nacque esisteva la legge elettorale Mattarella, che per ¾ era un first past the post. La scelta del Parlamento praticamente unanime fu quella di creare un secondo e separato circuito rappresentativo. Separato per non influenzare con il voto postale elezioni uninominali. Preoccupazione legittima perché – ed è la ragione, in parte, della revisione costituzionale – ilvoto postale NON può garantire la personalità del voto che l’art. 48 Cost. impone (diversamente da altri paesi dove esiste per esempio il voto delegato: Belgio, Francia). Si tenga conto che gli italiani all’estero hanno SEMPRE potuto votare, il problema essendo quello dell’onerosità del viaggio. L’altro tema è accennato nell’articolo ed esplicitato da Savino nel suo commento: la nostra emigrazione è ormai molto molto diversificata. Accanto a residenti all’estero che vivono la vita politica italiana con la stessa passione e lo stesso impegno di chi risiede in Italia vi sono emigrati il cui legame con la madrepatria è ormai assai labile e la conoscenza della realtà italiana modesta. Com’è intuibile l’emigrazione più recente, spesso assai qualificata, esprime in genere posizioni particolarmente evolute e mature.

    • Paolo Balduzzi

      Grazie per l’osservazione. Ho preso la tabella dalla fonte indicata, senza ulteriori verifiche. 331 sono i senatori, come indicato nella fonte originale, ma non da noi che invece nel titolo facciamo riferimento alla “camera bassa”. Grazie!

    • Michele Lalla

      Visto che ho contestato l’altro commento (di Carlo Fusaro), DEVO esprimere che questo è molto strutturato e condivisibile.

  3. Henri Schmit

    La questione cruciale non è menzionata nell’articolo: quale diritto di voto concedere ai cittadini residenti all’estero? Si potrebbe distinguere fra non residenti temporanei e di lunga data nati all’estero che solo per ragioni di sangue e amministrative (doppia cittadinanza sempre più diffusa) sono ancora Italiani. Come trattare coloro che si ritiene debbano essere rappresentati, supponiamo 4,5 mio? Numerosi Stati che non figurano nella tabella permettono ai cittadini non residenti di votare (per corrispondenza, attraverso i consolati, con leggero anticipo) nelle circoscrizioni di provenienza; i figli nati all’estero seguono la residenza di origine di uno dei genitori. Paesi come la Romania e il Portogallo rappresentano invece come categoria i numerosi emigrati spesso temporanei membri di famiglie divise. Paesi africani e latinoamericani avranno ragioni simili. In Italia (L Tremaglia 2001, decreto attuativo 2003, prime elezioni politiche 2006) e in Francia (dal 2009 per l’Assemblée Nationale, evidente emulazione della soluzione italiana) è piuttosto l’obiettivo di sfruttare il voto dei non residenti a favore di una determinata parte politica che spiega la soluzione di una quota di eletti all’estero. C’è infine un errore nella tabella: 1,2 mio di Francesi all’estero eleggono 11 deputati/577, mentre gli elettori “en métropole” o nei dipartimenti e territori oltre-mare (DOM-TOM) sono 48 mio. I rapporti sono quindi 48 mio/566 = 85K e 1,2 mio/11 = 109K (dati R. Rambaud, 2019)

    • Paolo Balduzzi

      Grazie per l’osservazione. Ho preso la tabella dalla fonte indicata, senza ulteriori verifiche. 331 sono i senatori, come indicato nella fonte originale, ma non da noi che invece nel titolo facciamo riferimento alla “camera bassa”. Grazie!

  4. Giuseppe GB Cattaneo

    Il principio dovrebbe essere si vota dove si pagano le tasse. Tutto il resto mi sembra demagogia.

    • Henri Schmit

      Giustissimo! I rivoluzionari americani rivendicavano no taxation without representation. In Francia la dottrina democratica elaborata da Sieyès sosteneva che tutti coloro che LAVORANO nel paese dovevono avere pari diritto di voto e di rappresentanza; i nobili erano screditati come classe “fainéante” sfruttatrice di coloro che lavoravano, quindi senza diritti politici propri (assemblea separata) e senza privilegi (fiscali). Colui che resideva in Francia da 12 mesi partecipava attivamente e passivamente alle elezioni. Nel 1792 alcuni stranieri fra cui l’immigrato/rifugiato Thomas Paine furono eletti alla Convenzione. Oggi siamo lontano da questi ideali! Usiamo la cittadianza per limitare il diritto di voto. Non intendo difendere il voto degli stranieri ma richiamare l’attenzione sulle condizioni e soprattutto sulla procedura delle naturalizzazioni scandalosamente ingiusta. Per ricevere la cittadinanza (non per diritto ma per concessione) i postulanti con un dossier completo devono aspettare 4 anni, termine che la legge riconosce all’iter amminstrativo; di fatto il ministero risponde nel 5° anno. Sentendo questa risposta dalla responsabile della prefettura di Milano, ho risposto che rinuncavo alla naturalizzazione. In Lussemburgo – dove su una popolazione di 630K oltre 300K sono stranieri – il ministero deve per legge rispondere a una domanda di naturalizzazione entro 8 mesi; un dossier incompleto può essere completato in corso; raramente la procedura dura più di 1 anno.

    • Certo. E vi parla una cittadina italiana e da anni anche tedesca (quindi con 2 diritti di voto) che vive in Germania da oltre 40 anni e si interessa molto delle faccende italiane, anche se non la toccano da vicino. La cosa piÙ giusta a mio parere sarebbe quella di limitare il diritto di voto a un certo numero di anni di assenza dall’Italia (come fanno Germania e Gran Bretagna con i loro cittadini all’estero, se non sbaglio 25 anni) e soprattutto far votare agli iscritti all’AIRE non propri rappresentanti, ma i partiti e i rappresentanti che sceglie ogni cittadino residente. Infatti dopo la riforma Tremaglia riceviamo liste di partiti in parte inesistenti in Italia!!!!
      Quindi sì al voto per corrispodenza ai cittadini italiani residenti all’estero da meno di 20/25 anni, ma un voto a favore dei partiti listati in Italia e a favore di rappresentanti residenti in Italia.
      Finora dall’estero sono stati mandati in parte “nostri” rappresentanti nati all’estero, quindi con un contatto molto labile con il paese.

  5. Enrico D'Elia

    Mi associo al commento di Savino. Il voto agli italiani all’estero fu il frutto di un’operazione puramente ideologica condotta da persone talmente poco informate che, alla prima occasione, proprio questo voto li escluse dal governo. Anch’io ho lavorato fuori dall’Italia, ma francamente ero più interessato all’amministrazione delle città e dei paesi in cui vivevo piuttosto che a quello che avveniva a migliaia di chilometri di distanza. Può darsi che altri siano più attaccati al paese di origine, ma dubito che lo conoscano a fondo e quindi siano in grado di esprimere un voto consapevole. Personalmente sarei più interessato a votare per il presidente americano o per il Bundestag che hanno una influenza diretta e rilevante sulla vita degli italiani.

    • Rispondo a lei ma anche a Cattaneo e Savino. C’è grandissima differenza fra emigrati ed emigrati. Specie in Europa c’è una qualificata emigrazione che conosce assai bene le vicende nostrane. Teniamo anche conto che la fruizione di informazioni anche politiche è radicalmente cambiata, ovviamente. In fondo la legislazione ne tiene conto perché per offre l’opzione. Chi non è interessato basta non si avvalga della possibilità di chiedere il voto postale… Non vedo però perché dovremmo impedire a chi ci tiene di votare a distanza. Il discorso vale doppiamente per gli italiani temporaneamente all’estero. Infine, tiene conto della realtà anche il numero più basso (molto più basso) di rappresentanti rispetto ai potenziali elettori. Nel complesso è una legislazione abbastanza equilibrata, come l’articolo ben documenta.

      • Michele Lalla

        Non bisogna confondere il diritto di voto, che c’era anche prima della legge che ha istituto i loro rappresentanti, con il diritto di avere un rappresentante sparso per chissà quale territorio, fuori dell’Italia e che nulla sa dell’Italia. C’era molta ideologia o non si ricorda chi era chi aveva fatto (e si era battuto per) la proposta? C’era anche l’assunto, non dimostrato, di incentivare la loro partecipazione al voto, sperando di trarne un vantaggio. E mi fermo qui, perché anche la pratica (di questi rappresentanti) ha mostrato quanto fossero errati i presupposti e forse non utili per il paese. Per l’ultimo punto occorrerebbe una lunga ricerca per dimostrarlo.

    • tommaso

      Sottoscrivo al 100%. Non capisco proprio perché il mio destino, nel senso di quello che posso fare e come, debba essere deciso dai rappresentanti di persone che: a) non contribuiscono economicamente a queste scelte b) non le subiscono c) spesso sono del tutto disinteressate ai destini di questo paese (pensiamo a coloro che hanno cittadinanza e diritto di voto essendo nati in Argentina e da un genitore già lì da 2 generazioni…). Già diversi governi si sono sostenuti con i soli voti di questi rappresentanti, o sono caduti quando questi cambiavano casacca. E questo senza ricordare le misere figure di Di Girolamo (condannato per le frodi Fastweb-Telecom Sparkle), Razzi (“sto qui per farmi una posizione”) e altri/e che ben rappresantano il senso della surreale circoscrizione estero.

  6. Per la cronaca, i francesi residenti all’estero eleggono 11 deputati su 577, con un rapporto sul totale molto simile a quello italiano. La tabella è del 2007 e quindi riporta soltanto i senatori (che non sono eletti direttamente).

  7. Marcello Battistig

    Vorrei aggiornare la tabella di W. Ricciotti : a me risulta che adesso (2020) in Francia ci sono 12 senatori ed 11 deputati dell’ Assemblée Nationale che rappresentano i Francesi residenti all’estero (dal 2012) . Inoltre il sistema francese prevede 443 conseillers consulaires élus ( simili ai nostri Comites) raggruppati in circoli piu’ piccoli dei nostri Comites, e 90 consiglieri dell’ Assemblée des Français à l’étranger ( che corrisponde al nostro CGIE) . Come sempre, noi Italiani siamo stati fra i primi ad avere la rappresentanza dei cittadini che vivono all’estero , ma poi la Francia ci ha copiato e superato alla grande , capendo benissimo che l’export e la rappresentanza del paese all’estero dal punto di vista commerciale, culturale e scientifico passa attraverso queste istituzioni , ( oltre che dalla diplomazia ). Se dovessimo rinnovare la nostra rappresentanza , il sistema francese attuale sarebbe senz’altro un buon punto di riferimento.

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