L’attuazione dei piani di rientro dai deficit sanitari in alcune regioni ha avuto effetti positivi dal punto di vista finanziario. Ma potrebbe aver acuito le diseguaglianze nell’accesso alle cure. I risultati di una analisi sugli spostamenti tra regioni.
I meriti dei piani di rientro
In un articolo pubblicato su lavoce.info, Vittorio Mapelli delinea l’andamento complessivo della spesa sanitaria nel corso dell’ultimo ventennio, distinguendo tra tagli reali alla spesa e tagli presunti. I risultati appaiono piuttosto confortanti. Nonostante le difficoltà emerse a partire dal biennio 2007-2008, le manovre di contenimento della spesa, e di riduzione dei deficit, hanno sortito gli effetti desiderati. Il 2007 è peraltro l’anno in cui è stata introdotta nell’ordinamento italiano la disciplina dei piani di rientro, la quale ha imposto, alle regioni con disavanzi eccessivi, l’attuazione di misure volte al ripristino dell’equilibrio di bilancio sanitario.
Dal punto di vista finanziario i piani di rientro si sono rivelati uno strumento efficace. Una recente analisi ha isolato l’effetto positivo da essi prodotto sul contenimento della spesa e sulla riduzione dei deficit regionali. Effetto che risulta rafforzato in caso di commissariamento. Resta da discutere se il miglioramento dei saldi finanziari sia avvenuto o meno a discapito della qualità dell’offerta sanitaria. L’analisi citata suggerisce che gli interventi sulla spesa avrebbero colpito per lo più le inefficienze, visti i trascurabili effetti sulla soddisfazione espressa dai pazienti e sulla dinamica dei trattamenti erogati a livello regionale.
Lo stesso giudizio riecheggia nelle considerazioni di Mapelli, secondo il quale per ciò che concerne la qualità delle prestazioni, «i risultati ottenuti dalle regioni sono addirittura migliorati, come certificato dalla “Griglia di monitoraggio dei Lea” del ministero e dal Programma nazionale esiti, a dimostrazione che tagliare la spesa non peggiora di per sé la qualità dei servizi».
Ma qui risulta cruciale la scelta dell’indicatore cui ci si affida per cogliere l’eventuale effetto dei piani di rientro sulla qualità dell’offerta sanitaria regionale. Vi sono motivi per ritenere che se invece della griglia Lea, o delle indagini sulla soddisfazione post-ospedalizzazione, si considerano le preferenze rivelate dei pazienti – esaminando i flussi di mobilità sanitaria inter-regionale – il giudizio potrebbe cambiare.
La ristrutturazione della rete di offerta dei servizi
Negli ultimi anni, sotto la spinta imposta, tra le altre cose, dal progresso della tecnologia medica, si è assistito anche in Italia a un tentativo di razionalizzare l’offerta sanitaria: i segni più evidenti sono la tendenza all’accorpamento delle strutture o il taglio dei posti letto.
La figura 1 mostra l’andamento del numero di posti letto per 100 mila abitanti, distinguendo il gruppo di regioni mai sottoposte al piano di rientro (linea blu) dal gruppo di quelle che invece vi sono state soggette a partire da un certo anno.
Figura 1 – Numero di posti letto per 100 mila abitanti.
Fonte: elaborazione degli autori su dati Istat, Health for all.
Il numero di posti letto ospedalieri ordinari, in moderato calo nelle regioni mai soggette a disciplina fiscale, ha subito invece una drastica riduzione nelle altre regioni. Uno scenario analogo emerge esaminando il numero di presidi ospedalieri e case di cura. Tutto ciò è in linea con la necessità di attuare forme di ristrutturazione dell’offerta nelle regioni con bilanci persistentemente deficitari.
Se però il benchmark è costituito dalle regioni mai soggette al piano di rientro, la ristrutturazione ha indotto un impoverimento relativo dell’offerta nelle regioni soggette a disciplina fiscale. L’impoverimento emerge non solo considerando il numero di posti letto per la degenza ospedaliera, ma anche considerando la dinamica di altre componenti cruciali dell’offerta.
Come mostra la figura 2, il rapporto tra numero di medici e abitanti era notevolmente più elevato nelle regioni poi soggette a disciplina fiscale – lasciando presumere l’esistenza di un eccesso da mitigare – ma la dinamica innescatasi a partire dal 2007 lo ha condotto al di sotto del valore assunto nelle regioni benchmark (dove invece è aumentato).
Il numero di infermieri era invece notevolmente sottodimensionato e la situazione si è aggravata a partire dal 2007. Una dinamica simile si osserva per la consistenza complessiva del personale dipendente del Servizio sanitario nazionale.
Figura 2 – Numero di infermieri e numero di medici per 100 mila abitanti.
Fonte: elaborazione degli autori su dati Istat, Health for all.
Qualità dei sistemi sanitari regionali e preferenze rivelate degli individui
In un recente lavoro, partendo dall’ipotesi che alcune fondamentali componenti del sistema di offerta, come appunto i posti letto e il numero di presidi ospedalieri presenti sul territorio, rappresentino affidabili predittori della mobilità sanitaria abbiamo analizzato gli effetti dei piani di rientro sui tassi di fuga regionali, calcolati come rapporto tra il numero degli individui residenti in una data regione, ma ospedalizzati altrove, e il totale dei residenti nella regione ospedalizzati nell’anno. Tale indicatore di mobilità sanitaria può essere interpretato come un segnale di eterogeneità nella qualità delle prestazioni erogate. È infatti del tutto evidente che la migrazione sanitaria potrebbe dipendere da inadeguata copertura dei bisogni nella regione di residenza, sia perché ora non sono soddisfatti in modo adeguato, sia perché non lo sono stati in passato e ciò ha prodotto persistente sfiducia verso i sistemi sanitari locali, anche in presenza di una loro evoluzione positiva.
Per ciò che concerne la seconda possibilità, differenze nell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza tra gruppi di regioni persistono (figura 3) anche quando si utilizza un indice (il cosiddetto punteggio Lea) che non tiene conto di dissomiglianze cruciali, che sortirebbero l’effetto di acuire le disparità (l’indice non tiene adeguatamente conto, per esempio, delle liste d’attesa).
Figura 3 – Punteggi Lea.
Fonte: elaborazione degli autori su dati ministero della Salute.
A partire dal 2007, anno in cui furono sottoscritti i primi piani di rientro, la mobilità sanitaria è cresciuta nelle regioni soggette a disciplina fiscale. L’evidenza a nostra disposizione suggerisce che ciò sia avvenuto come conseguenza delle variazioni indotte su alcune componenti strutturali del sistema di offerta. La figura 4 mostra l’andamento del tasso di fuga per le regioni mai sottoposte a piano di rientro (linea blu) e per le regioni che a partire dal 2007 hanno invece concordato il piano. Si evince molto chiaramente come dal 2007 in queste ultime si è innescato un aumento significativo di mobilità in uscita. Le nostre stime indicano un incremento della mobilità sanitaria del 15-18 per cento come conseguenza dei piani di rientro (18-25 per cento in caso di commissariamento).
Figura 4 – Tasso di fuga, regioni soggette al piano di rientro nel triennio 2007-2010 e regioni mai soggette al piano di rientro.
Fonte: Do harder local budget constraints affect patient mobility?.
La fuga verso altre regioni ha un rilevante impatto sui costi accessori delle cure a carico dei pazienti, oltre che sui sistemi sanitari delle regioni esportatrici. Queste ultime si trovano infatti a sopportare il costo delle compensazioni in favore delle regioni che erogano le prestazioni, con grave danno per il sistema di assistenza locale, che perde risorse.
Per queste ragioni, le dinamiche delineate suggeriscono che l’attuazione della disciplina fiscale, accanto agli indubbi effetti positivi sul contenimento della spesa e sulla riduzione dei deficit, potrebbe aver acuito le disparità tra aree in termini di qualità dell’assistenza sanitaria, e dunque le diseguaglianze nell’accesso alle cure.
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loredano milani
molto interessante l articolo
sarebbe interessante vedere , quale proxy dell’efficienza organizzativa, la produttività procapite e la complessità
un esempio: quanti punti di DRG vengono prodotti per medico e quale è il peso medio degli stessi per la mobilità
Inoltre una curiosità: si tiene conto solo del SSN o anche del personale della strutture convenzionate (gravano sul SSN in ogni caso)
Grazie
Pippo Calogero
Andrebbe specificato che il mancato efficientamento del sistema avrebbe invece un rilevante impatto sui costi per i contribuenti. Del resto il senso della riforma “federale” è proprio quello della competizione virtuosa tra entità territoriali e dell’accountability della classe dirigente: finché c’è Pantalone a pagare a piè di lista, manca ogni incentivo all’efficienza amministrativa e finanziaria.
Sergio Beraldo
Come vede, anche nelle conclusioni è stato specificato che “… le dinamiche delineate suggeriscono che l’attuazione della disciplina fiscale, accanto agli indubbi effetti positivi sul contenimento della spesa e sulla riduzione dei deficit…”.
Carlo Saitto
ho letto con interesse l’articolo e ho provato un senso crescente di disagio per il conflitto che emerge tra il quadro di risanamento economico, di maggiore efficienza e di miglioramento della performance e l’aumento della mobilità passiva dalle regioni che da quei piani di rientro avrebbero tratto beneficio. Gli autori segnalano la contraddizione quando affermano: «Ma qui risulta cruciale la scelta dell’indicatore cui ci si affida per cogliere l’eventuale effetto dei piani di rientro sulla qualità dell’offerta sanitaria .. . Vi sono motivi per ritenere che se invece della griglia Lea, o delle indagini sulla soddisfazione post-ospedalizzazione, si considerano le preferenze rivelate dei pazienti – esaminando i flussi di mobilità sanitaria inter-regionale – il giudizio potrebbe cambiare.».
Credo sia esattamente così ma temo che il giudizio debba cambiare anche per quanto riguarda la valutazione economica. La riduzione di spesa pubblica si è infatti realizzata spostando direttamente a carico dei cittadini quote crescenti dei costi sanitari e creando un sistema salute meno efficiente e più diseguale.
Credo sarebbe utile una riflessione che nel valutare l’impatto delle politiche di rientro consideri la spesa sanitaria nel suo complesso e valuti sulla popolazione i risultati di salute ottenuti. Alcuni indicatori disponibili e molto pesanti come la mortalità per causa sembrano suggerire un peggioramento per almeno alcune delle patologie che dipendono dalle reti assistenziali di prossimità ed è d’altra parte difficile non arrivare alla stessa conclusione analizzando l’andamento e le conseguenze dell’epidemia ancora in corso di SARS-CoV-2