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Lo sviluppo del Mezzogiorno? Può ripartire dal ciclo dei rifiuti

La gestione dei rifiuti in Italia vale circa 25 miliardi l’anno. Sono risorse che il Sud perde perché non ha saputo programmare e investire, affidandosi a improvvisazione e discariche. Ma proprio da qui può iniziare un nuovo sviluppo.

La gestione dei rifiuti come leva di rilancio

Il rilancio del Sud è un tema che ritorna ciclicamente al centro del dibattito politico. All’inizio di quest’anno, ha trovato nuovo slancio con l’annuncio di un ambizioso Piano di sviluppo al 2030 promosso dall’esecutivo. Cuore della proposta? La transizione ecologica come elemento cardine sul quale fare leva per far ripartire l’economia nelle regioni del Sud: un green deal incentrato sul Mezzogiorno. Per calare tutto ciò nella realtà del Sud italiano, occorre però partire dal ciclo dei rifiuti.

L’incontro – o scontro – tra l’arretratezza in cui versa il settore nelle regioni meridionali e gli obblighi legislativi per la sua modernizzazione che provengono dall’Unione europea rendono la gestione dei rifiuti un terreno di elezione di ogni iniziativa di sviluppo e rilancio. Guardando ai numeri, l’economia circolare dei rifiuti nel Mezzogiorno potrebbe mettere a valore, ogni anno, 43 milioni di tonnellate di rifiuti, 33 di origine non domestica e 10 di origine domestica e assimilata. Solo tra questi ultimi, ancora oggi al Sud vengono mandati in discarica circa 4,3 milioni di tonnellate.

Poca programmazione e deficit impiantistico

Il Pacchetto economia circolare, che l’Italia ha già recepito, ci impone di portare sotto il 10 per cento lo smaltimento in discarica di rifiuti urbani entro il 2035, ma nelle regioni del Sud la percentuale è ben al di sopra. In particolare, dovrebbe far riflettere il dato di quattro regioni, Campania, Sicilia, Abruzzo e Basilicata. La somma dei deficit di smaltimento e avvio a recupero di queste zone è di quasi 2 milioni di tonnellate/anno: il 40 per cento del deficit complessivo di tutte le regioni italiane. Nella sola Campania – storicamente deficitaria nella gestione dei rifiuti – si registra una carenza impiantistica per oltre 1,2 milioni di tonnellate (anno 2018).

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Ma non solo. La mancanza di impianti idonei può essere misurata anche sulle frazioni destinate al recupero di materia (o di energia). Ne sono un esempio i rifiuti organici, esportati dalle regioni del Sud in altre zone d’Italia. È la Campania a detenere il primato dell’export extraregionale di rifiuto organico: 475 mila tonnellate, pari al 29 per cento del totale nazionale.

Un altro indicatore che deve far riflettere sull’efficacia della gestione dei rifiuti nel nostro paese è rappresentato dai rifiuti urbani biodegradabili che, per mancanza di impianti, vengono impropriamente smaltiti in discarica. Nel 2018 si trattava di 3,9 milioni di tonnellate, di cui il 50 per cento è stato smaltito nelle discariche del Mezzogiorno.

La situazione è la stessa per i fanghi di depurazione, originati dalla depurazione degli scarichi urbani. Secondo gli ultimi dati disponibili, nel 2018 il Sud Italia ne ha prodotto 638.239 tonnellate e ne ha gestito solo 472.254 tonnellate, con un deficit di quasi 166 mila tonnellate. Ancora una volta la situazione più critica è in Campania.

Non va poi dimenticato un altro fenomeno, anch’esso indicativo della criticità della situazione: le esportazioni di rifiuti oltreconfine. Nel 2018 ne sono state esportate 603mila tonnellate, in violazione di un principio comunitario che ne vorrebbe la gestione in prossimità del luogo di produzione.

La gestione dei rifiuti in un quadro di rinnovamento complessivo

Per promuovere un cambiamento serve un progetto politico nuovo (qui), improntato a un effettivo riformismo, che sappia essere endogeno, autonomo, sostenibile, partecipato e diffuso. Non è solo un tema di investimenti, risorse economiche o buone leggi. È, soprattutto, una questione di qualità del contesto socio-istituzionale, che va potenziato e nutrito anche dalle politiche pubbliche.

Tutto ciò vale in generale. Ma quali sono, in particolare, le azioni da compiere per arrivare a un vero cambiamento nella gestione dei rifiuti, che possa rappresentare un elemento di rilancio del Sud? In sintesi, possono essere:

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– l’elaborazione di piani strategici regionali e per macro-aree tarati sulle reali esigenze e non su approcci ideologici o a fabbisogni teorici;

– la creazione di una rete di impianti destinata alla chiusura e valorizzazione del ciclo dei rifiuti (partendo dalla consapevolezza che la gestione dei rifiuti è essa stessa una delle principali fonti di produzione di rifiuti, più del 26 per cento);

– simbiosi industriale e articolazione di poli industriali per filiere di scarti/materie all’insegna della sostenibilità, capace di eliminare strozzature e diseconomie;

– la creazione e il sostegno di mercati dedicati per le materie prime da riciclo (altrimenti il rischio è che una crescita della raccolta differenziata porti a una riduzione dei prezzi delle materie prime seconde, quindi disincentivando lo stesso riciclo); sotto questo aspetto l’applicazione concreta del green public procurement (Gpp), cioè i cosiddetti acquisti verdi da parte della pubblica amministrazione, potrebbe giocare un ruolo importante;

– il miglioramento della tracciabilità e trasparenza delle filiere (migliore antidoto all’ecomafia e al malaffare).
La gestione dei rifiuti in Italia vale, infatti, circa 25 miliardi di euro l’anno. Sono risorse che il Sud perde perché finora non ha approntato una strategia in questo campo, lasciando la gestione all’improvvisazione e alle discariche, che massimizzano i benefici privati e minimizzano quelli collettivi.

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  1. Marcello

    Oltre il 40% dei RSU è composto da organico. Il compostaggio di comunità è una soluzione non solo sostenibile ambientalmente, ma soprattutto economicamente ed energeticamente. Cominciamo a fare le cose semplici. Un compostatore da 120 tn costa circa 80mila euro , dura 20 anni, serve 1000 persone, non emette odori e produce compost che non può essere venduto, ma distribuito gratuitamente per i terreni agricoli e usi domestici, così si riduce l’uso di fertilizanti di sintesi. Costa poco, i cittadini sono favorevoli anche perchè risparmierebbero molti euro di tasse, l’unico inconveniente è che le amministrazioni locali dovrebbero cambiare le routime gestionali, facendo qualcosa di nuovo, e le società di gestione e raccolta incasserebbero meno e dovrebbero ristrutturare il ciclo della raccolta. La legge che autorizza questa buona pratica è di alcuni anni fa, ma come sempre in Italia tutto si cambia perchè nulla cambi.

  2. Lorenzo

    La vedo difficile. Può dare altri dati? Un paesino di 5k abitanti avrebbe bisogno di 5 compostatori. Dove ubicarli? Chi e come si occuperebbe della logistica in/out? Con quanti mezzi? Quante persone? E per le altre frazioni?

    • Marcello

      La vede difficile perchè non sa di cosa si tratta. I compostatori possono esser locati ovunque, certo non in un centro storico, ma esistono già diversi comuni che li hanno adottati. Uno studio con analisi contingente su tre comuni di una provincia toscana è in corso di pubblicazione. per esempio melpignano, il paese della taranta, modica ecc sono tra questi comuni,me ce ne sono altri. Ho controllato il prezzo di un compostatore di 120 tn è di 68 mila euro e dura 20 anni. Il 70% dei comuni italiani ha meno di 5mila abitanti, e le aree in cui metter un compostatore che non rilascia odori e non fa rumore in questi comuni sono molte. Le abbiamo trovate in Toscana, quindi non credo che esistano problemi altrove. I cittadini hanno dichiarato la disponibiità a percorrere 120 mt senza indennizzo, ma distanze maggiori non sono un problema. La compensazione richiesta stimata (Tobit, Probit) è molto bassa, di pochi euro. Il limite di questa buona pratica è che implica un cambio delle consuetudini degli ammistratori locali e minori ricavi per le aziende di raccolta e smaltimento.

      • Lorenzo

        Marcello, in attesa della pubblicazione, continuo a essere dubbioso sul fatto di dividere in due tronconi la RD. La mia impressione è che si duplicherebbero i costi per il cittadino. Un costo per l’organico e un costo per tutte le altre frazioni.Il punto chiave messo in evidenza è proprio la mancanza di programmazione …

        • Marcello

          il costo dell’organico è di meno di 80kilo euro su 20 anni ripartito su oltre trecento famiglie, il resto facendo funzionare i consorzi di raccolta, per esempio il comieco incentiva i comuni per la raccolta di carta e cartone con premi, diventa poca cosa il 15-20% il che significa un abbattimento delle tariffe, non un doppio costo. Mea il problema è che gli amministratori devono misurarsi con una nuova realtà e le imprese di raccolta e smaltimento perdono ricavi sicuri. A questo punto, una volta avviato il ciclo si può attivare la tariffazione puntuale e i costi per famiglia sarebbero completamente diversi. Come diceva qualcuno molto più bravo di me: “E’ la semplicità difficile a farsi”. .

  3. Marcello

    per le frazioni, che si presume siano locate in campagna o in montagna o cmq per definzione in ampi spazi non urbani i compostatori individuali sono più che sufficenti.Cmq uno caso studio con compostatore di comunità riguarda proprio una frazione di un paese di 20 mila abitanti

  4. anna sandrone

    Tutto giusto,tutto coerente, tutto fattibile ma ogni volta che vengo al sud mi rendo conto che la quantita’ dei cittadini che non hanno voglia di impegnarsi, anche solo facendo la differenziata, supera ancora di gran lunga l’altra parte di cittadini che invece prova a modificare abitudini e comportamenti. Sono decenni che leggo articoli di insigni economisti che scrivono su cosa si puo’ fare e si deve fare per il sud, ma la velocita’ del cambiamento e’ ben inferiore alla velocita’ con la quale tutti questi articoli, pieni di buoni propositi e di idee vengono pubblicati.
    Che fare allora?? Il mio sentimento in proposito, si muove tra il lasciar andare tutto in malora oppure provare ancora una volta a fare qualcosa per questo nostro straordinario ed unico paese.Ben vengano quindi i compostatori e proviamoci ancora una volta.

    • bob

      hanno massacrato Napoli e dintorni con l’inquinamento della “terra dei fuochi” ma il sito più inquinato al mondo si trova al centro di Brescia ( ex Caffaro) per non parlare del PFAS in Veneto. Vede, io ho utilizzato ” luoghi comuni” discorsi da Bar dello Sport ma per rispondere a Lei e soprattutto alla Sua esternazione “ma ogni volta che vengo al sud mi rendo conto che la quantita’ dei cittadini che non hanno voglia di impegnarsi, anche solo facendo la differenziata”. Ma soprattutto perchè sostenere che il rilancio del Sud possa ripartire dai rifiuti lo trovo tra il comico e il surreale. Il Paese e non solo il Sud ha bisogno di ripartire con ben altri progetti, altre prospettive ma soprattutto un’altra classe dirigente. La Storia del dopoguerra di questo Paese lo ha insegnato ampiamente

  5. mauro zannarini

    Possiamo fare un reale cambio di passo?Dimentichiamoci i grossi impianti di compostaggio e passiamo alla valorizzazione dei rifiuti organici come fossero materia prima.
    Realizziamo i digestori anaerobici e mettiamo in rete il metano prodotto, riutilizziamo la CO2 per alimentare le alghe dalle quali estrarre oli economicamente produttivi e gli scarti li riportiamo in testa ai digestori.
    Le acque del loro scarico da utilizzare come fertirrigazione, e la sostanza secca, dopo una breve compostaggio, riportata sul terreno, per aumentare la sostanza umica, da controbattere la desertificazione, sempre più presente.
    Poi occupiamoci di riutilizzare le plastiche e non solo raccoglierle; cerchiamo di chiudere il ciclo, le competenze le abbiamo e tra un pò anche i finanziamenti.

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