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Rifiuti che danno energia, unica alternativa alla discarica

Il recupero di energia dai rifiuti non è la soluzione migliore per arrivare a un loro ciclo ambientalmente sostenibile. Però, è oggi l’unica alternativa reale alla discarica. E può dare un contributo all’ambizioso percorso europeo di decarbonizzazione.

Waste-to-Fuel, una scelta obbligata

Produrre energia elettrica, calore o carburanti utilizzando ciò che non serve più. Il cosiddetto “Waste-to-Energy/Waste-to-Fuel” (Wte) rappresenta un altro aspetto dell’economia circolare, una opzione meno nota del riciclo o riuso, anche perché, rispetto a questi ultimi, è meno preferibile. È infatti un aspetto controverso, che non manca di generare dubbi e incertezze, visto che il recupero di energia non è la soluzione ottimale per arrivare a un ciclo dei rifiuti ambientalmente sostenibile. Tra le azioni da preferire nella gestione rifiuti, il recupero di energia occupa la penultima posizione, dopo la riduzione, il riuso e il riciclo (le famose 3 R).

È tuttavia una soluzione che rimane sempre migliore dello smaltimento in discarica, se si valutano gli impatti sull’ambiente (qui). E proprio per questa ragione, il Wte/Wtf potrebbe continuare a dare un contributo all’ambizioso percorso di decarbonizzazione per rendere l’Unione europea neutrale dal punto di vista delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2050 (qui).

La totalità degli impianti di incenerimento dei rifiuti urbani in Italia è classificata come impianto di recupero di energia dai rifiuti, dunque sembra importante quantificare il contributo da loro offerto in termini di minori emissioni di CO2.

Un rapporto Utilitalia-Ispra quantifica in 5,3 milioni le tonnellate di rifiuti urbani inceneriti in impianti con recupero energetico (anno 2017). Lo stesso rapporto indica che dall’incenerimento di rifiuti urbani sono stati ottenuti 4,5 miliardi di kWh di energia elettrica. Il trattamento ha prodotto complessivamente 2,5 milioni di tonnellate di CO2. In uno scenario alternativo, nel quale tali rifiuti fossero stati smaltiti in discarica, si sarebbero registrate emissioni per 7,2 milioni di tonnellate, ovvero 6 milioni di tonnellate di CO2 prodotta in più (vedi tabella 1).

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Giova poi ricordare che gli impianti di recupero energetico di nuova generazione, dotati di tecnologie di cattura delle emissioni, sono in grado di ridurre ulteriormente le emissioni di CO2 e vantano un saldo emissivo negativo. Per questo motivo, possono ancora offrire un contributo alla decarbonizzazione, in qualità di tecnologia di transizione, come alternativa alla discarica per tutti i rifiuti non riciclabili.

I pericoli delle fabbriche dei materiali

Nei prossimi anni una strategia di contenimento delle emissioni clima alteranti e di gestione efficiente dei rifiuti non potrà prescindere da una pluralità di obiettivi: ridurre la produzione di rifiuto (sostenendo il deposito su cauzione, la vendita di prodotti sfusi, la tariffazione puntuale, eccetera), promuovere il riuso dei beni, gli impianti e le materie prime da riciclo, e tassare lo smaltimento in discarica (qui). Al contempo, andranno sostenute tutte le forme di recupero energetico per i rifiuti che non sono riciclabili.

In Italia il recupero energetico si potrà applicare a circa 7,5 milioni di tonnellate di rifiuti urbani, ossia al 25 per cento degli attuali 30,1 milioni, dei quali gran parte si concentra in sole tre regioni: Lazio, Campania e Sicilia. Sono peraltro le regioni per le quali la bozza più aggiornata del Recovery Plan individua le maggiori criticità, affidando però a nuovi impianti di trattamento meccanico-biologico la soluzione al problema. Sono le cosiddette fabbriche dei materiali, impianti nei quali dal rifiuto indifferenziato verrebbero recuperati metalli, plastiche, carta, eccetera. Non chiudono il ciclo, ma sono utilissime per 1) consentire il trasporto dei rifiuti in regioni diverse da quelle da cui originano (si veda qui); 2) preparare i rifiuti per essere smaltiti in discarica.

Viste da questa prospettiva, le fabbriche dei materiali sono un modo certo per non interrompere il turismo dei rifiuti e continuare a smaltirli in discarica.

Occorre prendere consapevolezza del fatto che oggi smaltiamo ancora in discarica 6 milioni di tonnellate di rifiuti urbani (21 per cento), a cui si sommano gli scarti dalle raccolte differenziate.  Il riciclo si attesta al 32 per cento, a cui si aggiunge un 23 per cento dei rifiuti urbani avviati a compostaggio e digestione anaerobica.

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Per raggiungere il 65 per cento di riciclaggio e la riduzione sotto al 10 per cento della discarica entro il 2035 occorre dunque realizzare gli impianti per il riciclo e accettare che tutto ciò che non può essere riciclato venga destinato alla produzione di energia o carburanti, unica reale alternativa per gli scarti del riciclo e per i rifiuti non differenziati, evitando lo smaltimento in discarica.

La discarica è davvero l’ultima opzione sul tavolo, visti i suoi effetti negativi sull’ambiente. I numeri non lasciano spazio a dubbi: dei 18,3 milioni di tonnellate di gas serra prodotte dalla gestione dei rifiuti nel nostro paese in un anno (fonte Ispra 2018), ben 13,7 milioni – il 75 per cento – è riconducibile a operazioni di smaltimento in discarica. Seguono, a grande distanza, il trattamento delle acque reflue con 3,8 milioni, il trattamento biologico con 0,6 milioni e l’incenerimento con 0,2 milioni di tonnellate equivalenti. Ed è una situazione che si ripropone immutata dagli anni Novanta.

Figura 1

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Quanta disuguaglianza in una sigaretta

  1. La produzione e l’utilizzo dei rifiuti non sono fenomeni immodificabili. Dobbiamo prentendere la cessazione immediata della produzione di rifiuti non riciclabili. sono da considerarsi un difetto, un errore di fabbricazione, non possono essere tollerati oltre. puntare sugli impianti di incenerimento invece si creano le condizioni perché gli incentivi si allineino esattamente contro la direzione giusta e ovvia: l’azzeramento del concetto stesso di rifiuto.

    • Donato Berardi

      In linea di principio ha ragione. Ma la informo che ogni anno ne portiamo in discarica 17milioni di tonnellate. Come si è cercato di spiegare è una tecnologia di transizione. Negarlo vuol dire preferire scavare buchi o ancora peggio incendi spontanei

  2. Nazzareno

    Mi sembra sottostimata la produzione di CO2 da compostaggio. Inoltre non è considerata la grande potenzialità del sistema di produzione e liquefazione di CO2 e CH4 degli impianti di biogas da agricultura. In Italia sono oltre 1600 gli impianti agricoli di biogas e la produzione di BIOMETANO sarebbe molto importante

  3. Carlo Riva

    Non mi sembra si tenga conto che il rifiuto incenerito deve a sua volta essere smaltito in qualche modo, e ciò credo produca dell’altra CO2. In altre parole, l’inceneritore non fa “sparire” il rifiuto, ma lo trasforma in un altro tipo di rifiuto. Quanto costa in termini di CO2 smaltire il rifiuto incenerito?

    • Jacopo

      Lo trasforma principalmente in energia, e poi in materiale residuo che, in peso, è molto inferiore all’originale.
      Anche il residuo va smaltito, con costi ed emissioni, ma certamente inferiori rispetto allo smaltimento in discarica del rifiuto originale. E va aggiunto l’ottenimento di energia.

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