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Nella versione 2 del Recovery Plan manca l’economia

Il Recovery Plan è il più importante piano di politica economica degli ultimi trenta anni. Ma la sua seconda versione è un documento politico senza analisi economica, con obiettivi contraddittori e che non corrisponde a quanto chiede la Commissione.

Un documento tutto politico

La lettura della nuova versione del Recovery Plan (o Pnrr) lascia l’impressione di un documento meramente politico, volto a salvaguardare (forse) equilibri di breve periodo, ma lontano dal formato che, in linea di principio, la Commissione europea pretenderà dai diversi paesi membri.

Oggi il documento è una dettagliata declamazione di obiettivi generici sui quali nessuno potrebbe essere in disaccordo: green economy, sostenibilità ambientale, parità di genere, digitalizzazione, coesione sociale, riforma della pubblica amministrazione, potenziamento della ricerca. Ogni generico obiettivo è accompagnato da un’allocazione di risorse. Per esempio: tot miliardi per raggiungere la parità di genere, oppure la coesione sociale e la sostenibilità ambientale. Ma il piano è completamente scarno sugli strumenti. Per date risorse, esistono ovviamente molteplici strumenti per raggiungere ciascuno degli obiettivi. Per esempio, per favorire la parità di genere costruire più asili è diverso da promuovere nelle scuole superiori interventi che contrastino il pregiudizio nei confronti delle ragazze nelle materie Stem (science, technology, engineering, mathematics). La selezione di strumenti alternativi per raggiungere il medesimo obiettivo non è affatto neutrale.

Obiettivi senza strumenti per raggiungerli

Tre aspetti colpiscono più di altri nella struttura del Piano. Il primo è lo stile. Molta politica e pochissima (o zero) analisi economica. Completamente assente un riferimento anche minimo alla letteratura scientifica in grado di giustificare criticamente ciascuno degli interventi.

Secondo, il documento non mostra alcuna consapevolezza del fatto che alcuni obiettivi possano essere in contraddizione tra loro. Per esempio, è certamente desiderabile indicare l’obiettivo (via un rafforzamento della cosiddetta “Industria 4.0”) di una maggiore digitalizzazione e automazione dei processi produttivi. Ma questo potrebbe facilmente entrare in conflitto con il raggiungimento (per esempio) di maggiore occupazione femminile. Nel Piano manca totalmente un’analisi economica della coerenza dei diversi obiettivi tra loro in quadro di equilibrio generale. Il messaggio di fondo che sembra emergere è invece il seguente: poiché le risorse a disposizione sono potenzialmente molto ingenti, allora tutti questi obiettivi possono essere raggiunti insieme. Dalla digitalizzazione della pubblica amministrazione, passando per la green economy fino al “piano nazionale per le ciclovie”. Come se l’economia, nel suo aggregato, non fosse un sistema interdipendente. Un messaggio che sembra quindi dimenticare che il Recovery Plan, secondo la visione della Commissione Ue, avrà forti condizionalità nell’erogazione dei fondi, proprio in funzione della capacità di raggiungere determinati obiettivi.

Terzo, nel proprio impianto il documento sembra non corrispondere a quanto tecnicamente richiesto dalla Commissione, perché non fornisce indicazioni sugli strumenti con cui raggiungere gli obiettivi, come richiamato in precedenza. Per esempio, secondo le richieste della Commissione, non basta certamente indicare l’obiettivo di allocare tot miliardi per raggiungere la cosiddetta parità di genere. Bisogna tradurre questi obiettivi in “target” ben definiti. Per esempio, quanti asili nido? Dove? Utilizzando quanti miliardi? Con che scadenza temporale? E non solo. La Recovery and Resilience Facility della Commissione richiede che siano indicati anche gli obiettivi economici che si intendono raggiungere con tale piano. Per esempio: costruire x mila nuovi asili con l’obiettivo di far crescere l’occupazione femminile dell’x per cento entro il 2026. Dovendo tenere presente che al momento opportuno, se tali obiettivi non saranno stati raggiunti, la Commissione non procederà all’erogazione di fondi.

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Per fare un altro esempio, il Recovery Plan contiene un cosiddetto “Piano nazionale borghi per la riqualificazione di luoghi identitari, periferie, parchi e giardini storici”. Al di là delle meritevoli intenzioni di tali obiettivi (chi non è favorevole a riqualificare le periferie e i nostri piccoli centri storici?), il testo è completamente silente sul come gli stessi obiettivi dovrebbero essere raggiunti. Restauro di monumenti? Centri sociali per i giovani? Soprattutto il Piano non specifica come quantificare il ritorno economico degli obiettivi, molto probabilmente perché farlo è estremamente complicato e arbitrario. Ma così facendo si dimentica ancora una volta che ogni progetto deve necessariamente accompagnarsi a obiettivi economici quantificabili. Maggiore occupazione giovanile? Creazione di nuove imprese? Senza una precisa specificazione del ritorno economico atteso, che consenta una verifica in corso d’opera, le risorse del Recovery Plan non verranno erogate e gli obiettivi di inclusione sociale e coesione territoriale rimarranno purtroppo lettera morta.

Il Recovery Plan è il più importante piano di politica economica degli ultimi trenta anni. La sensazione è che verrà fortemente rivisto su impulso della Commissione. È vero che rimane tempo fino ad aprile 2021. Ma una volta che il Piano sarà stato approvato, la sua realizzazione sarà piena di condizionalità, sotto le quali il paese rischia fra pochi anni di rimanere schiacciato. Una responsabilità grandissima nei confronti dell’Europa per il paese che è il massimo beneficiario dell’intero piano Next Generation EU.

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15 commenti

  1. Jeriko

    Scusate il pessimismo, ma ci sono gia tutti gli ingrediente per un fallimento da imputare a chi il piano lo ha fatto.
    In sostanza si cerchera di accaparrasi piu risorse possibili per finanziare il proprio sistema clientelare, tanto,quando si fara fronte al fallimento del piano ci sara qualcun altro (inteso come diverso governo, non come diverse persone). Purtroppo dopo piu di ventanni ritengo che non ci sia la mentalita (in termini di mindset) per gestire un Paese, a tutti i livelli.

    • Jail

      Il problema dell’Italia: politica, sindacato, parassiti di stato, regioni, comuni, consorzi di bonifica ecc..
      I soldi, per questi che sono stati abituati ad avere diritti senza necessità di spremersi le meningi per produrre reddito, non basteranno mai.
      (vd. Film “Un Borghese Piccolo Piccolo”) Fulgido esempio di superstizione popolare italiana. Paradigmatico della realtà allora come ora, di reclutamento anche “minus habens”, con curricula stracolmi in tuttologia, senza bisogno di adeguato tirocinio. Poi ce li troviamo direttore generale con stipendi equipollenti al salario di 100-120 operai produttivi Oppure, perchè no, presidente del consiglio che non capisce come si costruisce un progetto.

      Quanti operai al lavoro produttivo, nel privato, occorrono per produrre le tasse necessarie a coprire e pagare lo stipendio di un dipendente pubblico di dubbia competenza esecutiva?
      Cominciamo a fare i conti come ogni giorno nel privato.

  2. Henri Schmit

    Sono d’accordo: il Gov presenta con ritardo un Doc con obiettivi generici per macro-categorie quando dovremmo già essere nella fase successiva di definizione di progetti concreti con previsione dell’impatto, con esplicitazione dei fattori considerati, non sempre facili da quantificare, e delle ipotesi numeriche utilizzate. Il ritardo e la superficilità della bozza/PNRR (su cui le parti politiche litigano da mesi!) conferma le scarse capacità concettuali e progettuali non solo dell’esecutivo, ma anche delle opposizioni e della maggior parte dei commentatori. Questi 2 difetti sono però sanabili: in pochi mesi dopo un compromesso politico e il voto in parlamento si possono definire, paragonare, valutare e scegliere progetti concreti da proporre poi alla commissione. Il punto più grave a mio parere è che tutto il Recovery fund è trattato, da tutti, come i soliti fondi strutturali, come risorse disponibili che i politici possono allocare e assegnare a soggetti che in ultima analisi li devono rieleggere. Questo non corrisponde agli obiettivi fissati dopo Maastricht, l’€ e adesso il NGEu. Il RF libera i governi dai vincoli stretti di finanza pubblica, favorisce i paesi più sofferenti, ma crea anche un importante debito nazionale che solo una crescita sostenuta e durevole permetterà di gestire. Visto così, il RF è un’agevolazione e una tregua per fare le riforme strutturali (competitività, crescita, occupazione) rinviate da decenni. Manca la consavolezza o il consenso, o entrambi?

  3. Paolo Mariti

    Sembra dunque che la politica fiscale italiana, non vincolata nel breve-medio periodo dalle regole del Patto di Stabilità e Crescita, non abbia una batteria di politiche microeconomiche di uso del bilancio coerente negli obiettivi e negli strumenti. Sarebbe davvero un brutto affare!

    • Henri Schmit

      Questo commento nella sua semplicità, a mio parere, riassume perfettamente il nodo del problema: l’interesse primario del governo e del paese non dovrebbe essere l’allocazione per settori e ipotetici progetti di una determinata quantità di fondi europei (in gran parte nuovo debito), ma la progettualità di politiche attive (investimenti pubblici mirati insieme a riforme per favorire gli investimenti privati), se possibile condivise, a prescindere dalla fonte di finanziamento e dai tempi della realizzazione. I fondi necessari per realizzare i progetti di un governo ambizioso non possono essere limitati al NGEu, il quale è solo un aiuto parziale, un indirizzo comune e una flessibilità di bilancio temporanea di cui bisogna sapere approfittare.

      • Paolo Mariti

        Occorre aggiungere che le molte risorse finanziarie sono attivabili a certe condizionii che comportano a molta documentazione. Sarebbe una grave svista ritenere che si tratti di un esercizio di natura esclusivamente formale.

  4. Giovanni Moser

    Viene richiesto all’Italia di fare e in fretta un salto culturale e di metodo enorme. Ci riusciremo solo se costretti. Per questo faccio il tifo per i “paesi frugali” e per l’attenzione che dedicheranno a come e dove l’Italia spenderà quattrini che fin qui non ha mai mostrato di meritare.

  5. PURICELLI BRUNO

    L’aleatorietà del Recovery Plan è destinata a divenire fallimento per la ormai conclamata imperizia, imprecisione, vaghezza del prodotto/i di questo governo che di fronte alla necessità di fare conti e prevedere bilanci con cifre aggira il problema con la effimera conquista di fiducia tra il popolo, inevitabilmente poco aduso a valutare nel dettaglio le vicende economiche, con i preziosi suggerimenti del gieffino Casalino…. e gli intellettuali, a parte questa testata e poche altre. fino al presidente Mattarella non intervengono. Il fallimento certo sarà da imputare certamente a questo governo ma i complici sono numerosi! L’ignavia è colpa grave! più grave dell’inesperienza.

  6. pieffe

    Qualche dubbio che la partita fosse troppo grossa per i nostri governanti (si fa per dire) lo avevo; c’è il precedente non certo incoraggiante dei fondi strutturali. Ma l’analisi del professore disegna un quadro che va oltre le peggiori aspettative. La valanga di soldi promessa dal governo rischia di essere una bufala, se non uno specchietto per le allodole per “tirare a campare”. E allora che succederà? Il declino continuerà? Si emetteranno valanghe di titoli di stato per spendere a vanvera? Ci mancherebbe solo questo; il rating politico dell’Italia è già molto basso, alle soglie della sopportazione degli altri stati. Mi scusi professore, ma debbo sperare che lei si sbagli.

  7. Cesarino

    Ma in Italia chi capisce di programmazione programmi progetti costi/benefici moltiplicatore ecc. non conta niente

  8. Gerardo Coppola

    Tutti ne parlano del Recovery Plan. Con un pò di fatica sono riuscito a recuperare qualcosa di ufficiale. L’impressione a una prima lettura, e spero di sbagliarmi, è che si tratta di una minestra riscaldata, di tutto di più.Certo la salute è oggi la cosa più importante ma dalla tabella che il Governo pubblica essa è la cenerentola che riceve le risorse più scarse, purtroppo. Preoccupante l’ultima frase del comunicato che riporto senza commenti:Una valutazione dell’impatto complessivo di investimenti, trasferimenti, incentivi e riforme,nonché dell’effetto moltiplicativo che potrebbe realizzarsi grazie all’effetto-leva di numerose linee progettuali del Piano, potrà essere effettuata quando tutti i dettagli dei progetti e delle relativamente riforme saranno pienamente definiti.

  9. Enrico D'Elia

    Sono anni che dietro i piani e i programmi di spesa pubblica c’è molta contabilità e poca (buona) economia. Le attuali norme prevedono che ogni legge sia corredata da una relazione tecnica che ne valuti solo l’impatto sui conti pubblici, ma non sul sistema economico. Perfino per le “grandi opere” è prevista l’analisi dell’impatto ambientale ma non un serio esercizio di analisi dei costi e benefici. Le poche valutazioni “economiche” sulle riforme strutturali e sui principali provvedimenti di politica economica sono realizzate (anche a livello europeo) tramite discutibili modelli di equilibrio economico generale che tendono fisiologicamente a sottovalutare le esternalità.

  10. Marcus

    Non solo è assente l’analisi economica ma manca soprattutto una analisi tecnico-ingegneristica delle “soluzioni” proposte, tutte fantasiose e molto generiche.

  11. Dalla lettura del testo normativo in approvazione che ratifica la decisione n. 2053/2020 resa il 14.12.2020 del Consiglio dell’Unione Europea, lo Stato Italiano, dovendo accantonare risorse proprie aggiuntive pari allo 0,6% del RNL assommante ad oltre 1.800 miliardi annui, dovrà versare a tale titolo oltre 10 miliardi all’anno fino all’anno 2058 e dunque oltre 370 miliardi se il pagamento decorrerà dal 2021 ovvero oltre 310 miliardi se il pagamento dovesse decorrere dal 2027.

    Come specificato nella decisione e nei considerando, l’aumento dei contributi diretti dei singoli paesi è destinato alla copertura dei 390 miliardi di contributi a fondo perduto del Recovery Fund e quindi, nel nostro caso, dovremmo ricevere contributi a fondo perduto per circa 90 miliardi e corrispondere contributi diretti per lo straordinario importo di 370 o di 310 miliardi di euro a seconda della loro decorrenza.
    Parrebbe il caso di chiedersi se un tale sacrificio abbia senso o quantomeno se non sia opportuno, nella conversione del decreto legge, aggiungere un secondo comma all’art. 21 teso a limitare lo straordinario incremento dell’importo da restituire per ottenere i contributi a fondo perduto nella misura indicata nonché gli interessi contratti dalla Commissione sui relativi prestiti. La previsione da aggiungere all’art. 21, potrebbe essere del seguente letterale tenore:
    2. L’incremento straordinario delle risorse proprie, previsto dall’art. 6 della decisione del Consiglio dell’unione Europea richiamata dal primo comma, non potrà superare l’importo ricevuto dallo Stato Italiano previsto dall’art. 5, c. 1, lettera b), maggiorato dagli interessi contratti dalla Commissione  per l’acquisizione dei capitali a prestito per conto dell’Unione Europea.

    Oltre a ciò, si ritiene inoltre necessario che la relazione tecnica soddisfi i requisiti richiesti dall’art. 17, c.3, legge 196/2009, in punto di maggiori oneri per la finanza pubblica.

    Relativamente all’affermazione contenuta nella relazione di accompagno al disegno di legge (atto Camera n. 2845) secondo cui: “ Al riguardo, occorre considerare che l’Italia ha un rilevante interesse a procedere ad una veloce ratifica della Decisione Risorse Proprie (….)”, in difetto di una previsione del tipo di quella suggerita con l’aggiunta del 2° comma all’art. 21, parrebbe necessario procedere con molta cautela ed interrogarsi su quale futuro stiamo lasciando ai nostri figli.

    • Jail

      Mi sembra di capire che converrebbe fuggire dall’europa a gambe levate.

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