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Alla politica monetaria non si può chiedere la luna

La politica monetaria è già molto espansiva, ma non riesce a riattivare il credito alle imprese. Deludente l’esperienza del funding for lending inglese. Perché l’economia riparta anche le altre politiche devono fare la loro parte. L’esito del voto rende difficile l’accesso allo scudo anti-spread.

I dati sull’economia reale segnalano una forte contrazione dell’attività economica in Italia e una congiuntura debole in tutta l’area euro, persino in Germania. In questo quadro, si osserva una continua contrazione dei flussi di credito all’economia: nel 2012, i prestiti alle imprese sono calati dell’1,3 per cento nell’area euro e del 2,2 per cento in Italia. Molti pensano che la politica monetaria dovrebbe fare di più per favorire una inversione di tendenza del ciclo economico. In realtà, la Bce ha già fatto molto, e difficilmente potrebbe fare di più.

LA LIQUIDITÀ È ABBONDANTE…

A partire dall’autunno del 2008, la Bce ha fornito alle banche liquidità in misura illimitata, attraverso le operazioni “a rubinetto”: le banche possono avere tutti i soldi che vogliono, a tasso fisso. La scadenza dei prestiti, tradizionalmente settimanale, è stata progressivamente allungata fino ai tre anni con le operazioni Ltro (Long Term Refinancing Operations). I criteri di accettazione del collaterale (le garanzie che le banche devono presentare alla Bce per ottenere i prestiti) sono stati via via allentati, fino ad accettare i prestiti bancari alle imprese. I tassi d’interesse sono stati ridotti fino allo 0,75 per cento. La liquidità è così abbondante che le banche europee hanno restituito anticipatamente un quinto dei prestiti a tre anni ricevuti un anno fa, riducendo allo stesso tempo in misura consistente i loro depositi presso la Bce. Di fronte a questi fatti, continuare a pensare che la contrazione del credito sia un problema di scarsa liquidità equivale ad avere le fette di salame sugli occhi.

…MA NON ARRIVA ALLE IMPRESE

Si dirà: sì, le banche hanno tanti soldi, ma non li prestano alle imprese. La ragione fondamentale per cui non lo fanno è perché la loro avversione al rischio è salita molto con l’aggravarsi della crisi economica. In passato non siamo stati teneri con le banche, ma bisogna riconoscere che in questo caso qualche ragione ce l’hanno. I dati sulle sofferenze (prestiti dati a imprese che poi non sono in grado di restituirli) segnalano che effettivamente il rischio di credito è aumentato, come è naturale che sia nel bel mezzo di una crisi come quella attuale: il rapporto sofferenze/impieghi è in costante crescita nell’ultimo biennio. Non ci si può quindi stupire che i banchieri siano diventati più prudenti. Inoltre, bisogna tenere presente che il calo dei flussi di credito riflette anche una debolezza della domanda, oltre a un irrigidimento dei criteri di offerta.

FUNDING FOR LENDING

La banca centrale non può imporre alle banche di prestare soldi alle imprese. Può introdurre incentivi, ma non è detto che funzionino. Sono state avanzate diverse soluzioni. Alcune si ispirano alla recente esperienza inglese, che va sotto il nome di “funding for lending”. Nel luglio dello scorso anno, la Bank of England ha introdotto un nuovo strumento: prevede che le banche possano prendere a prestito dalla BoE a un tasso d’interesse basso se dimostrano che stanno aumentando i prestiti all’economia; viceversa, se i prestiti di una banca diminuiscono, allora il tasso applicato dalla BoE aumenta progressivamente. (1) Un prezzo decrescente nella variazione dei volumi di prestiti bancari erogati ha la chiara finalità di incentivare le banche a prestare di più.
Forse è un po’ presto per dire se il programma inglese è efficace, ma le prime evidenze non sono incoraggianti. I dati della BoE (Trends in Lending, gennaio 2013) segnalano che i prestiti alle imprese sono ancora in diminuzione (nel trimestre terminato a novembre). Le cose sembrano andare meglio per i mutui immobiliari (che nello stesso trimestre sono in crescita). Se le evidenze preliminari verranno confermate, potremo dire che il piano inglese non è stato un successo, e le ragioni vanno ricercate in quanto detto prima: avversione al rischio delle banche e calo della domanda di prestiti. Il pricing ingegnoso introdotto dal BoE non sembra in grado di contrastare questi fattori.

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SPREAD DIMEZZATO

Nella fase più acuta della crisi del debito sovrano (2011), lo spread molto alto tra titoli di Stato italiani e tedeschi segnalava la presenza di un forte rischio paese, che si rifletteva negativamente sulla capacità di raccolta delle banche. Questa difficoltà, a sua volta, si trasmetteva alle imprese e alle famiglie, attraverso una minore offerta di credito. La Bce aveva lanciato, nel 2010, un piano di acquisto di titoli di Stato denominato Smp (Securities Market Programme). Quel programma era inefficace, perché era accompagnato dall’annuncio sbagliato: gli acquisti erano destinati a essere temporanei e limitati. Tuttavia bisogna riconoscere che Mario Draghi ha impresso una svolta decisiva durante l’estate scorsa, abbandonando il programma Smp e adottando il nuovo Omt (Outright Monetary Transactions), con il quale gli acquisti di titoli di Stato sono diventati potenzialmente illimitati. Gli effetti dell’annuncio sono stati notevoli: lo spread italiano si è pressoché dimezzato. Adesso questo risultato è stato rimesso in discussione dall’esito delle elezioni. Proprio nel momento in cui lo spread si sta riallargando a causa dell’incertezza politica, l’Italia non può accedere allo “scudo anti-spread”. L’attivazione del programma Omt presuppone infatti un accordo tra il fondo di stabilità europeo (Esm) e un Governo italiano pienamente legittimato e stabile, in grado di prendere impegni pluriennali; al momento non si vede nulla del genere. L’instabilità politica sta quindi già costando cara allo Stato italiano.

CONCLUSIONE: LA BCE NON PUÒ FARE TUTTO

Possiamo chiedere alla Bce di fare di più? Sul piano della gestione della liquidità e dei tassi d’interesse sembra proprio di no. Una ulteriore limatura dei tassi d’interesse non risolverebbe i problemi appena illustrati. Peraltro, i tassi del mercato monetario sono già ben più bassi di quello di policy, grazie alla abbondante liquidità: il tasso overnight è a 7 punti base contro i 75 del tasso ufficiale. Di fatto quindi la politica monetaria è già più espansiva di quanto si potrebbe pensare guardando il tasso d’interesse ufficiale. Rimane restrittiva solo per quanto riguarda il tasso di cambio, che ha subito un marcato apprezzamento negli ultimi sei mesi (anche grazie al fatto che la prospettiva di un break-up dell’area euro si è allontanata). Tuttavia imbarcarsi in una politica del cambio aggressiva genera il rischio di tensioni e ritorsioni a livello internazionale. I Governi europei hanno lo strumento per farlo, visto che il Trattato UE (art. 219) lascia al Consiglio europeo la responsabilità di definire una eventuale politica del cambio. Ma nel recente G20 hanno dichiarato che si guardano bene dal farlo.  L’amara verità è che la politica monetaria non può fare tutto. Solo se e quando le altre politiche (di bilancio, del lavoro, eccetera) avranno trovato il modo per invertire il ciclo economico, i flussi di credito ripartiranno. Si dirà che in questo modo il sistema bancario non fa altro che assecondare, o addirittura amplificare, le fasi alterne del ciclo. È vero, e non può che essere così. L’avversione al rischio gioca in questa direzione. La stessa regolamentazione è pro-ciclica, a cominciare dai requisiti patrimoniali. Si possono introdurre correttivi per limitare la pro-ciclicità. Ma pensare di estirparla del tutto è solo un’illusione.

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(1) Si veda The Funding for Lending Scheme (BoE, luglio 2012): “The price of each bank’s borrowing in the Scheme will depend on its net lending between 30 June 2012 and the end of 2013. For banks maintaining or expanding their lending over that period, the fee will be 0.25% per year on the amount borrowed. For banks whose lending declines, the fee will increase linearly, adding 0.25% for each 1% fall in lending, up to a maximum fee of 1.5% of the amount borrowed for banks that contract their stock of lending by 5% or more”.

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19 commenti

  1. andreag

    Ottime considerazioni e fondate, ma penso non si sia rivolto uno sguardo sufficientemente prospettico sulla nostra politica interna: se lo spread dovesse aumentare proprio perchè all’ingovernabilità politica gli investitori sommano la consapevolezza che il programma OMT può avviarsi solo con un governo legittimato e stabile, allora si creeranno le stesse condizioni per un nuovo governo di emergenza, come fu per Monti a novembre 2011; che poi è quanto su questo sito si pronosticava come possibile e temuta eventualità: conoscendo la perdita di “autonomia” governativa insita nel programma OMT, solo un aumento incontrollato degli spread sarebbe stato il “trigger” per far scattare la richiesta di aiuto, cioè il contrario di quanto si voleva invece incentivare: avviare la richiesta per evitare un aumento degli spread! Il supposto governo di emergenza non potrebbe che essere nuovamente “tecnico”, conoscendo bene l’incapacità dei nostri politici di assumersi una qualsivoglia responsabilità, per poi potersi rivoltare contro lo stesso esecutivo che avevano eletto e votato, addossandogli tutti i sacrifici imposti su loro stessa indicazione….

  2. Antonino

    Dato che nulla sembra funzionare, che ne pensa l’autore del cosiddetto “QE for the people”? Sostanzialmente creare moneta direttamente ai consumatori invece che alle banche.
    Si veda ad esempio:
    Proposta senza dubbio radicale, ma non molto di piu’ della situazione corrente.
    Unica alternativa: aspettare (sperare!) che la questione si risolva col tempo da sola. Dubito che le ” altre politiche (di bilancio, di lavoro, etc.)” possano servire a qualcosa di significativo: se la banca non mi concede il prestito non investo, punto e basta.

  3. marco

    Come fanno gli Stati strozzinati dal fiscal compact, dal pareggio di bilancio e dal fatto che debbono finanziare il loro debio sui mercati a far ripartire il mercato del lavoro? Matematicamente impossibile – Le banche centrali dovrebbero essere al servizio dei popoli degli Stati e non delle Banche private; che senso ha fare fallire la Grecia, permettere che un popolo intero sia alla fame, per 60 70 miliardi e poi regalare, con la scusa della crisi, mille miliardi di soldi pubblici alle banche in modo che ci lucrino sulla pelle degli Stati? La BCE dovrebbe semplicemente stampare soldi da dare alle banche centrali di ogni Stato che a loro volta, attraverso politiche di deficit-spending creano nuovi posti di lavoro e quindi crescita – L’aumento del PIL permetterebbe di aumentare le entrate e col passare del tempo di rialzare le tasse, nel frattempo abbassate, per controllare l’inflazione- Gli Stati, garantiti nei loro debiti dalla BCE emetterebbero titoli di Stato a interessi molto bassi, vedi Giappone e uscirebbero dalla trappola della liquidità e della deflazione. Ecco cosa devono fare le Banche centrali e gli stati quando c’è crisi: creare l’offerta sostenendo l’occupazione! Se i trattati di Mastricht non prevedono ciò sono semplicmente criminali (Keynes insegna)

    • giulioPolemico

      C’è solo un problema: se le tasse vengono abbassate, come si farà a rifornire di medicine gli ospedali pubblici, a fare manutenzione di strade e scuole, a dotare di carburante le vetture delle FdO? L’unica cosa su cui agire sono gli sprechi della PA, ma questo va a toccare una casta, quella degli statali, che in Italia ha sempre difeso a spada tratta lo status quo (che è poi il meccanismo greco: la elefantiaca classe statale greca, con i suoi privilegi, ha fatto collassare l’economia del Paese).

  4. Alberto

    Ripeto nuovamente: quel che mi chiedo è perché, qui come su moltissimi altri giornali, venga colpevolmente omessa la possibilità, che favorirebbe l’intera Nazione, di creare appositamente una nuova grande banca di proprietà pubblica di eccellenza italiana. In questo modo (ed è qui la parte fondamentale) potrebbe accedere al credito della BCE pagando il solo TUS (0,75%) e quindi concedere crediti alla Pubblica Amministrazione (cioè acquisto di titoli di Stato) e alle imprese ad un tasso bassissimo e facendoci risparmiare una settantina di miliardi di euro secchi di interessi ogni anno (art.123 TFUE – ex articolo 101 del TCE). Sottolineo che questo già avviene in altri paesi europei, e che la Banca d’Italia non può soddisfare questa funzione in quanto, guardacaso, preventivamente privatizzata.
    Che l’Euro e il mantra del debito pubblico siano una truffa a tutti gli effetti, ai piani alti è ben noto: sarebbe però ora di rendere edotta di tale crimine tutta la popolazione. Il debito pubblico affidato direttamente alle banche, su cui queste lucrano abbondantemente, è uno scandalo che appare normale solo a noi, gente ormai disabituata a ragionare: dal 1990 ad oggi abbiamo un avanzo primario cumulativo di più di 500 miliardi di euro, ma il debito continua a salire a causa esclusivamente degli interessi (vedasi tabelle ISTAT). Gli stati a moneta sovrana, accidenti che coincidenza, non hanno nessun problema di questo tipo.

    • Piero

      Tutto giusto, peccato che gli economisti italiani ancora sono convinti del contrario e stanno seguendo le indicazioni della Merkel; non è vero che la Bce ha fatto una politica monetaria espansiva, gli Ltro non hanno prodotto liquidità al mercato, erano diretti al salvataggio delle banche, gli Omt futuri saranno sterilizzati, quindi affermare che la Bce faccia una politica monetaria espansiva e’ una sciocchezza; l’unico intervento espansivo e’ stato fatto dal precedente di Draghi quando nel 2011 ha fatto gli acquisti dei titoli sul secondario, a mio avviso e’ l’unica manovra che oggi si possa fare; annunciare un programma di acquisti di titoli di stato di almeno il 50% dei debiti pubblci paesi euro in dieci anni (sono circa 500 mld all’anno) e’ l’unica soluzione per tenere l’euro, in difetto vi sarà a rottura dell’area valutaria in due/tre aree valutarie.

  5. Alberto

    Per dire che l’evidenza non fa parte dei media mainstream. Bravo Sada:
    http://affaritaliani.libero.it/fattieconti/europa-la-gestione-del-debito-non-va270213.html?refresh_ce

  6. Anonimo

    Le modalità dei poteri di acquisto in funzione internazionale delle merci di scambio sono garantite dai maggiori poteri di acquisto delle domande dei consumatori, tale per cui un aumento delle dinamiche inflazionarie sono determistiche dei minori vantaggi comparati delle vendite marginali di beni di consumo. Dunque le politiche monetarie sono a garanzia dei maggiori profiitti futuri dei traders commerciali: il mercato..

  7. Maurizio Cocucci

    Sempre più spesso leggo e ascolto alla TV critiche indirizzate alla BCE, accusata di condurre una politica monetaria troppo restrittiva e di non godere in pieno delle prerogative che hanno le altre banche centrali, quali ad esempio la Federal Reserve, la Bank of England o la Bank of Japan, e questo perché alla Banca Centrale Europea fu assegnato il solo compito di mantenere basso e costante nel tempo il livello di inflazione e di non perseguire anche l’obiettivo di sostentamento alla crescita e del contenimento del tasso di disoccupazione, che le altre banche centrali hanno. Su questo ultimo aspetto si potrebbe essere d’accordo, ma per quanto riguarda la prima parte, cioè di condurre una politica monetaria restrittiva non è effettivamente così. Se si prendono i dati pubblicati dalle banche centrali circa l’aggregato monetario M2 del gennaio 2002 e dicembre 2012 e si confrontano tra loro i tassi di crescita durante il decennio si scopre che la quantità di moneta è cresciuta in area Euro a valori simili se non addirittura superiori rispetto ad altre, quali ad esempio lo Yen giapponese: Euro, da 4,7 (2002) a 9mld € (2012); USD, da 5,5 a 10,5mld $; Sterlina, da 0,65 a 1,3mld £; Yen, da 600.000mld a 830.000mld ¥. E l’Italia? Dai dati della Banca d’Italia: da 0,65mld (2002) a 1,2mld € (2012). Insomma, nonostante i diversi obiettivi assegnati, la BCE ha accresciuto la massa monetaria in linea con altre banche centrali, contraddicendo così un luogo comune che si sta diffondendo.

    • Piero

      L’OMTs non ha nulla a che fare con un programma di espansione monetaria, una banca centrale che voglia sostenere la crescita dovrebbe fornire liquidità al sistema attraverso operazioni di mercato aperto considerati i bassi tassi; la Bce non vuole intervenire perché ha sposato la linea tedesca, che considera l’unica soluzione per uscire dalla crisi sono le riforme strutturali dei singoli paesi euro.
      La Fed, in questi anni, ha intrapreso azioni miranti ad assicurare l’erogazione diretta di credito a famiglie e imprese, ha varato piani di acquisto di titoli pubblici e privati (quantitative easing); la Bce ha invece privilegiato l’offerta di liquidità alle banche, sterilizzando le misure non convenzionali di politica monetaria (credit easing).
      Il differente comportamento delle banche viene riflesso dal passivo dei rispettivi bilanci, mentre quello della Bce riflette le operazioni di fine-tuning necessarie per non immettere liquidità nel sistema, quello della Fed presenta un aumento delle riserve, ossia la base monetaria.

    • pieropostacchini@bpeassociati.it

      L’OMTs non ha nulla a che fare con un programma di espansione monetaria, una banca centrale che voglia sostenere la crescita dovrebbe fornire liquidità al sistema attraverso operazioni di mercato aperto considerato il livello dei tassi. La Bce non vuole intervenire perché ha sposato la linea tedesca per fare uscire l’Europa dalla crisi, l’unica soluzione da adottare e l’adozione di riforme strutturali dei singoli paesi.
      La Fed ha intrapreso azioni miranti ad assicurare l’erogazione diretta di credito a famiglie e imprese, ha varato piani di acquisto di titoli pubblici e privati (quantitative easing); la Bce ha privilegiato l’offerta di liquidità alle banche, sterilizzando le misure non convenzionali (credit easing).
      I comportamenti delle due banche centrali si possono analizzare dai rispettivi bilanci, dalla composizione del passivo possiamo notare che la Bce al fine di non immettere liquidità al mercato ha sempre sterilizzato attraverso operazioni di fine-tuning, mentre la Fed ha aumentato la propria riserva, ossia la base monetaria.

  8. pieropostacchini@bpeassociati.it

    Sbaglia l’autore quando afferma che il SMP non ha funzionato, e’ stato volutamente abbandonato da Draghi e sostituito dall’inutile LTRO che le banche non riusciranno a rimborsare, ad oggi infatti, doveva essere rimborsato un terzo invece ne è stato rimborsato solo un quinto; si è vero che la Bce ha accettato qualsiasi tipo di collaterale dalle banche, ma dimentica l’autore che il collaterale e’ stato garantito dallo stato italiano (decreto Monti “salva-Italia”). Ricordo all’autore che se non vengono risolti i problemi delle imprese, le stesse non potranno rimborsare i prestiti ricevuti dalle banche e quest’ultime non rimborseranno gli LTRO.
    I nuovi OMT sterilizzati non servono a nulla, non ci sono nemmeno i fondi per farli partire, l’Italia deve versare i soldi nel fondo salva stati per farsi poi commissariare, e’ un semplice sogno, e’ servito solo come annuncio per calmare i mercati, oggi non ci credono più nemmeno loro.
    A mio avviso solo un programma di SMP di 500 mld annui (pro quota i singoli paesi euro) per il prossimo decennio può risolvere la crisi.
    Gli effetti sulla base monetaria delle misure fino ad oggi attuate, li ho già descritti sulla mia risposta a Maurizio Cocucci data in data odierna.

  9. Mario Rossi

    Concordo sostanzialmente con le critiche di Piero all’articolo. I tassi d’interesse bassi e la massa monetaria non sono una misura sufficiente dell’orientamento di politica monetaria, almeno non in tutte le circostanze. Indicatori migliori sono la stabilità nell’andamento dei prezzi (che però va valutata usando il deflatore del PIL, poiché quel che conta sono i prezzi dei beni prodotti nell’area, non di quelli consumati!), e ancora meglio l’andamento del PIL a prezzi correnti (PIL nominale). Questi indicatori mostrano che la politica monetaria è molto restrittiva, e gli effetti si vedono soprattutto nei paesi periferici, poiché la stretta monetaria ha acuito i disequilibri nell’area euro. L’unico dubbio riguarda la capacità tecnica della BCE di attuare politiche espansive, visto che le aspettative di disinflazione e recessione economica hanno effettivamente fatto scendere di molto i tassi d’interesse “naturali”. Se la capacità tecnica non c’è (e solo in questo caso) sarebbe utile sopperire con un’espansione di bilancio da parte di quei paesi che possono permettersela. In caso contrario, meglio fare il contrario: austerità nei paesi core ed espansione monetaria, per far partire la ripresa e riportare l’equilibrio tra i diversi paesi dell’area.

    • Maurizio Cocucci

      La politica monetaria è attuata dalle banche centrali attraverso due strumenti: il tasso di interesse e la base monetaria. Alla BCE è stato assegnato il compito di mantenere costante ed entro un valore fissato al 2% (o prossimo) l’indice armonizzato dei prezzi al consumo all’interno dei Paesi dell’area Euro. Con un livello del tasso di interesse dello 0,75%, una disponibilità a prestare denaro al sistema bancario ad un tasso agevolato all’1% per un periodo di 3 anni massimo e un acquisto in un biennio di oltre 200 miliardi di euro di titoli di stato di Paesi in difficoltà a reperire finanziamenti a tassi accettabili, di cui la metà italiani,la BCE sta facendo ciò che può ma occorre rendersi conto che la politica monetaria da sola non può fare di più esattamente come titola l’autore di questo articolo.

      • Mario Rossi

        Che io sappia i trattati che regolano l’Unione Europea parlano genericamente di stabilità dei prezzi. L’interpretazione in termini di un tetto del 2% per l’indice dei prezzi al consumo è stata scelta dalla BCE, e a quanto pare potrebbe essere cambiata in qualsiasi momento dal consiglio direttivo della stessa BCE, senza neanche toccare i trattati. A mio parere (e di diversi economisti), il riferimento migliore in termini di stabilità dei prezzi è l’andamento del deflatore del PIL, per i motivi che ho esposto–in particolare, si tratta di un migliore indicatore del ciclo economico (e in parte, anche degli effetti negativi di un’inflazione eccessiva, comprendendo prezzi di beni intermedi che nell’IPC non sono considerati). Per il resto, la massa monetaria ed il tasso di interesse di riferimento sono gli strumenti operativi adottati dalla BCE, ma nella situazione economica attuale non sono minimamente adeguati per valutare la corrispondenza tra politica monetaria ed obiettivi. Parlare di politica monetaria “espansiva” senza fare minimamente riferimento a tale rispondenza è quantomeno strano, e sembra poco utile.

  10. stefano monni

    è vero: alla politica monetaria non si può chiedere la luna. In fin dei conti, questo lo aveva compreso bene Keynes nel ’29. Una politica monetaria espansiva, in presenza, di tassi di interesse bassi, non genera necessariamente un impulso alla crescita economica. Secondo l’autore, una riduzione dei tassi di interesse deve essere accompagnata da uno sbocco della domanda che, nel caso di imprese non disposte ad investire, può avvenire unicamente attraverso un aumento della spesa pubblica. Capisco che questa tesi non possa essere accettata da quanti per anni hanno sostenuto la bontà di politiche liberiste ma, se è vero che alla politica monetaria non si può chiedere la luna, come d’altronde credo, non rimane che la politica fiscale espansiva, soprattutto in una fase recessiva come quella che stiamo attraversando. Qualcuno mi dirà che ciò sarebbe un suicidio, in presenza di alti livelli di debito. Ciò è vero in parte, io credo. Se l’aumento della domanda genera investimenti, occupazione e consumo, allora detrimenrà anche un aumento del Pil e, attraverso questo, una riduzione del deficit pubblico attraverso un aumento indiretto delle entrate pubbliche. Ritengo quindi che, sebbene questa sia un’opinione ampiamente criticata e scomoda da sostenere, è pur sempre l’unica soluzione praticabile.

    • Maurizio Cocucci

      Condivido. Si parla troppo di misure di politica monetaria ma queste, come è stato scritto dall’autore, in questo momento non stanno producendo risultati soddisfacenti. D’altronde occorre convincersi che il problema non è tanto la mancanza di denaro da parte delle banche, ma la mancanza di reddito disponibile da parte delle famiglie e la loro perdurante perdita di potere di acquisto. Il problema non sono le banche che non vogliono prestare denaro, ma il fatto che a chiederlo sono perlopiù aziende che lo fanno per pagare tasse, contributi, fornitori o retribuzioni e non per effettuare investimenti. Molte famiglie si rivolgono in banca non per acquistare un bene, ma perchè non arrivano a pagare tutte le spese dovute con il solo reddito percepito. In un momento di crescita economica l’incidenza delle sofferenze bancarie è contenuta e sopportabile, ma in un momento di crisi profonda come quella in cui ci troviamo questa si incrementa di molto e le banche prestano quindi denaro con il contagocce. Occorre insomma alleggerire il carico fiscale oltre che i costi della macchina pubblica. Ridurre gli sprechi e investire in ricerca oltre che sostenere l’istruzione. Se si facesse così anche i mercati, nonostante un primo peggioramento dei conti pubblici, aumenterebbero la loro fiducia del sistema Italia, contrariamente a quanto si sta facendo ora che si punta invece ad avere una bella pagella di bilancio ma con un Paese in recessione profonda e con prospettive negative a breve…

  11. Piero

    In Italia vi era la disoccupazione in linea con quella europea, oggi abbiamo aumentato la disoccupazione di oltre tre punti percentuali, tale disoccupazione deriva dalla chiusura delle aziende perché non ricevono credito ne per le spese correnti ne per gli investimenti; la colpa e’ della politica monetaria che non vuole allargare la base monetaria perché la Bce ha paura che gli stati meridionali continuano con i loro deficit pubblici.
    La crisi del debito pubblico dei paesi euro dovuta alla mancanza di una banca centrale di ultima istanza ha provocato il collasso del credito bancario.

  12. Giacomo Costa

    L´avversione al rischio delle banche e’ aumentata all´aggavarsi della crisi o e’ per ciscuna di loro aumentato il rischio?

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