Le Tesla si potranno acquistare con i bitcoin. Più che il segno della maturità raggiunta dalle criptovalute, la novità è il sintomo di un’economia adolescenziale, dove è normale che sia più facile arricchirsi speculando invece che intraprendendo.
Acquistare le Tesla con i bitcoin
Bitcoin tocca un nuovo record, avvicinandosi ormai a quota 50.000 dollari. A contribuire a mandare alle stelle il prezzo della criptovaluta è stata nei giorni scorsi una duplice dichiarazione del ceo di Tesla, Elon Musk: la società ha investito 1,5 miliardi di dollari in bitcoin e li accetterà in pagamento per l’acquisto di automobili.
La notizia potrebbe essere accolta come il segno che bitcoin ha finalmente cambiato pelle, che è diventato grande e può entrare nei salotti buoni della finanza, avendo acquistato una rispettabilità come forma d’investimento e una funzione come mezzo di pagamento. Ma potrebbe anche essere letta, all’opposto, come la prova del fatto che il patron di Tesla, al pari dei titoli della sua impresa, sia ormai preda di un’euforia irrazionale. L’ascesa vertiginosa della regina delle criptovalute, propulsa dal pioniere dell’aeronautica interplanetaria, è segno di un’ormai matura concretezza di bitcoin o di una persistente immatura evanescenza di Elon Musk?
Autorevoli osservatori hanno voluto vedere nell’apertura ai pagamenti in criptovaluta da parte di Tesla un “potenziale cambiamento di paradigma nella direzione dell’utilizzo di bitcoin per scopi transattivi” (Dan Ives, analista di Wedbush Securities, intervistato dal Financial Times).
In effetti, sinora bitcoin è stato usato assai poco come mezzo di scambio. Nel 2018, quando il suo valore sembrò assestarsi, i pagamenti in bitcoin nondimeno crollarono da 427 milioni di dollari in settembre a 96 milioni a dicembre (secondo le stime di Chainanalysis). Ancora nei primi mesi del 2019 soltanto l’1,3 per cento delle transazioni in bitcoin erano associate a operazioni commerciali (come riferisce Bloomberg). È difficile immaginare che possa aumentare l’uso di bitcoin nei pagamenti quando il suo valore oscilla come negli ultimi mesi. Chi sarebbe disposto a comprare un’auto a Santo Stefano, pagandola con una moneta, con il rischio di vederne il prezzo dimezzato in quella stessa moneta prima di San Valentino? Ma è proprio quello che accade con bitcoin: il 26 dicembre 2020, al valore di 24.500 dollari, ci volevano circa quattro bitcoin per acquistare una Tesla Modello X (senza accessori, beninteso); oggi ne bastano poco più di due.
Moneta instabile, buon investimento
Una moneta instabile è una pessima moneta. Ma potrebbe essere un buon investimento. Soprattutto se il valore tendenzialmente sale. In effetti, bitcoin ha rappresentato un ottimo investimento: chi l’ha acquistato a inizio 2020 ha ottenuto alla fine dell’anno un rendimento del 400 per cento (coindesk.com). Non quanto le azioni Tesla, aumentate nello stesso periodo di oltre il 700 per cento. Ma pur sempre un rendimento ragguardevole, in un anno in cui l’Ocse stima una caduta del Pil Usa del 3,7 per cento e un crollo di quello europeo di più del doppio (-7,5 per cento).
Peraltro, bitcoin e Tesla non sono soli: l’insieme delle attività finanziarie, dopo aver subito un duro colpo allo scoppio della pandemia, si è ripreso alla grande. I principali indici azionari hanno guadagnato oltre il 50 per cento dai minimi di fine marzo 2020. A sostenere le quotazioni non sono tanto le prospettive di ripresa quanto le banche centrali, con iniezioni di liquidità che continuano generose (come osserva il Financial Times). Ma in epoca di rendimenti nulli o negativi, un numero crescente di investitori è attratto da quelle attività che offrono prospettive di guadagno ben più allettanti, anche a costo di correre qualche rischio. E fra gli inseguitori del guadagno non c’è soltanto una schiera crescente di investitori istituzionali affamati di rischio che aprono alle criptovalute, ma anche una massa montante di piccoli risparmiatori assetati di vendetta contro le élite di Wall Street, che prendono di mira particolari attività con il deliberato intento di farne lievitare il prezzo (come ha mostrato il recente caso di Gamestop).
Verrebbe quasi voglia di dar loro ragione: come si fa a credere ancora che valga la pena lavorare quando i negozi chiudono, i salari ristagnano e l’occupazione è appesa al filo sempre più sottile del blocco dei licenziamenti? Meglio liquidare tutto e investire il ricavato in bitcoin. In effetti, è quello che avviene su scala sempre più ampia. Nel 2020 sono affluiti oltre 5,7 miliardi di dollari (più che nei quattro anni precedenti) nei fondi in criptovalute di Grayscale, il canale utilizzato da molti trader tradizionali per affacciarsi al nuovo Eldorado delle valute virtuali (FT).
Che gli investimenti produttivi vengano abbandonati a favore delle attività finanziarie non è mai un buon segnale. Che cosa mangeremo, quando avremo convertito tutto il capitale in bitcoin? Neanche le patate marziane preconizzate da Ridley Scott. Se Elon Musk fosse solo un imprenditore, e nient’altro, investirebbe la sua liquidità in ricerca e sviluppo e beni capitali, e non in bitcoin. E se fosse coscienzioso, non istigherebbe i piccoli risparmiatori a seguirlo su questa strada. Il fatto che l’uomo più ricco del mondo punti miliardi su bitcoin non è segno di una raggiunta maturità delle criptovalute, bensì il sintomo allarmante di un’economia adolescenziale, in cui si trova normale che ci si arricchisca più facilmente speculando che intraprendendo.
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mario rossi
Pare che la vicenda gameStop abbia fatto da “apripista”.