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A quanto ammontano i costi del non fare

La realizzazione delle infrastrutture in Italia è molto spesso ritardata da opposizioni e incertezze non sempre giustificate, danneggiando così la competitività del paese. Da alcuni anni un Osservatorio analizza i “costi del non fare”. Ecco alcuni risultati. E due proposte per migliorare le cose.
L’ANALISI CNF
Troppo spesso la realizzazione delle infrastrutture in Italia è ritardata, o addirittura bloccata, da una serie di fattori, talvolta spiegabili e accettabili, ma per lo più difficilmente giustificabili, che portano anche a situazioni scandalose. Inerzie, opposizioni, incertezze, stop and go, hanno seriamente danneggiato la competitività del paese. Per studiare questi problemi , nel 2005 abbiamo fondato l’Osservatorio “I costi del non fare” (Cnf). (1)
In quegli anni, l’attenzione si concentrava sui costi realizzativi delle opere e sulla tutela dei soggetti che in qualche modo ne venivano danneggiati; ben pochi, invece, prestavano attenzione agli impatti del non fare, a quello che sarebbe successo se il quadro fosse rimasto invariato. E così abbiamo cominciato ad analizzare le situazioni di blocco realizzativo per capire quali effetti potevano avere sul sistema. Nel corso di questi otto anni abbiamo analizzato oltre un centinaio di infrastrutture e realizzato oltre quaranta studi. (2)
L’obiettivo di fondo dell’analisi Cf è di sviluppare la piena consapevolezza in tutti i soggetti coinvolti e nella collettività, misurandolo in termini monetari, dell’impatto della mancata o ritardata realizzazione di opere infrastrutturali nei settori dell’energia (elettricità, gas ed efficienza energetica), del trasporto ferroviario (ferrovie alta velocità e convenzionali), della viabilità (autostrade e tangenziali a pedaggio), della logistica (porti e interporti), dei rifiuti e dell’idrico. Diversamente dalla Cost Benefit Analysis, il Cnf non mira alla valutazione di singoli progetti né si colloca nell’ottica del finanziatore o dell’investitore; la sua prospettiva è quella dei cittadini o degli operatori economici che quotidianamente utilizzano le infrastrutture, cioè della collettività nel suo complesso.
La prospettiva del Cnf impone, dunque, di utilizzare solo marginalmente le “regole” dell’analisi costi-benefici. Non solo il Cnf non considera l’analisi finanziaria, ma non accoglie certe posizioni acritiche basate su parametri “generalmente accettati” e validi “sempre e ovunque”; un esempio è il Vtr, “valore del tempo risparmiato” che va necessariamente calcolato per situazioni specifiche. La metodologia Cnf ricorre a rilevazioni empiriche riferite ai contesti socio-economici in cui l’opera si inserisce. (3) Analoghe perplessità riguardano la scelta dei tassi di attualizzazione: riteniamo preferibile adottare saggi ancorati alla redditività dei titoli di Stato a lungo termine al netto dell’inflazione attesa.
I TRE LIVELLI
L’analisi Cnf, discostandosi in questo largamente dalla analisi costi-benefici, si articola su tre livelli:
1. Cnf di progetto, riferiti al singolo caso d’infrastruttura;
2. Cnf di classe, riferiti a tutte le infrastrutture della medesima specie;
3. Cnf di sistema, riferiti al comparto/paese.
Per la stima del Cnf di progetto, la metodologia di indagine trae spunto dalla Cba che è adatta a calcolare il valore per la collettività di singoli progetti. Tuttavia, il confronto avviene tra lo “scenario di progetto”, in cui l’infrastruttura viene realizzata, e lo “scenario di base”, cioè senza infrastruttura. Si determinano così i costi e benefici incrementali legati alla ipotetica realizzazione dell’opera; la somma algebrica di tali valori, opportunamente attualizzati, esprime il beneficio netto (se sussiste), cioè il valore per la collettività. (4)
Il calcolo del Cnf delle classi infrastrutturali avviene estendendo i risultati dei Cnf dei progetti, adeguatamente scelti, al fabbisogno del paese attraverso la costruzione di scenari di policy. Centrale è la scelta dei casi (due-tre progetti di infrastrutture per ciascuna classe) operata in base alla copertura del panorama infrastrutturale sottoposto a ritardi e alla rappresentatività del campione rispetto all’universo della classe. Un secondo aspetto riguarda la determinazione del fabbisogno infrastrutturale che stimiamo costruendo (o recependo) una policy di sviluppo nazionale della classe nell’arco di quindici anni. Mantenendo il più possibile una posizione terza, si tracciano sentieri di crescita ragionevoli, prudenti e comunque allineati alle disposizioni di legge, alle politiche governative o alle direttive europee. (5)
Infine, definito il Cnf di classe, per aggregazioni successive si determina il Cnf di settore e di sistema. Nella figura 1 sono inserite le valorizzazioni contenute nel Rapporto 2012 dell’Osservatorio.

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Figura 1 – I costi del non fare nel periodo 2012-2027

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I risultati delle analisi sono soggette ad assunzioni, a stime e ad approssimazioni che, tuttavia, sono sempre improntate a prudenza e trasparenza. Non pensiamo che i dati di Cnf vadano osservati in una prospettiva ragionieristica; non ricorriamo a modelli econometrici e di altra natura in cui spesso la complessità applicativa è inversamente proporzionale alla credibilità dei risultati e che in molti casi crollano per sovra semplificazioni della realtà. I valori a cui perveniamo descrivono situazioni, tendenze, aree problematiche e offrono ordini di grandezza verosimili poiché, per quanto possibile, ancorati alla realtà.
DUE PROPOSTE PER FARE
L’Osservatorio negli anni ha anche formulato proposte. Ci preme sottolinearne due.
Nel primo caso abbiamo elaborato un modello (figura 2) mirato ad agevolare gli iter di approvazione delle opere, ottimizzando i tempi e la qualità delle scelte. Si tratta di una procedura standardizzata che prevede delle modalità chiare e articolate di sviluppo dell’opera e che consente di elaborare tutte le informazioni utili per la pubblica amministrazione al fine di assumere decisioni razionali, accettate e, per quanto possibile, definitive, evitando la reiterazione degli iter.

Figura 2 – La procedura standardizzata

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Nel secondo caso, abbiamo definito le linee-guida per una eventuale proposta di legge per il rilancio delle infrastrutture (figura 3). La proposta poggia su quattro pilastri: un’accurata scelta delle opere prioritarie in grado di generare significativi benefici per il paese; la ridefinizione degli iter procedurali per semplificare e velocizzare la realizzazione; la formulazione di scelte più democratiche, aperte alla partecipazione di tutti gli stakeholder e in particolare dei cittadini; l’innovazione nella raccolta e nell’impiego delle risorse finanziarie.

Figura 3 – Lo schema della proposta di legge-quadro per le infrastrutture
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(1) Per maggiori dettagli cfr. www.costidelnonfare.com e www.agici.it
(2) Gli studi dell’Osservatorio sono basati su una metodologia innovativa, messa a punto negli anni dai ricercatori di Agici Finanza d’Impresa. I rapporti annuali dell’Osservatorio Cnf, realizzati dal 2006 al 2012, accanto all’analisi quantitativa, hanno studiato le cause dell’inerzia e avanzato proposte concrete per rilanciare lo sviluppo infrastrutturale del paese. Nel 2011 è stato pubblicato il primo libro dell’Osservatorio Cnf I Costi del Non Fare. La tassa occulta delle infrastrutture Agici Publishing, Milano.
(3) Una critica alla “common wisdom” applicata dai cosiddetti esperti della Cba si può trovare in: Gilardoni A., Clerici S., Garzarella A., Il Valore del Tempo Risparmiato del trasporto merci, Management delle Utilities, 3/2009, Maggioli, Bologna.
(4) Nella nostra esperienza, in alcuni casi emerge un beneficio netto chiaro e ampio, soprattutto se l’opera ha requisiti di priorità e strategicità per il paese, come ad esempio alcune porzioni di corridoi europei; in altre analisi, il beneficio è piuttosto modesto, come nel caso di certe infrastrutture idriche; in altre ancora, può emergere un costo netto per il paese, come ad esempio per alcune tecnologie di produzione elettrica da fonte rinnovabile e talune tratte ferroviarie anche dell’alta velocità.
(5) Ad esempio, nel Rapporto 2012 per le reti viarie sono state considerate le porzioni nazionali dei corridoi europei definiti nel Connecting Europe Facility della Commissione europea; per quanto riguarda i fabbisogni del settore energetico ci si è basati sulle disposizioni della nuova Strategia energetica nazionale definita dal ministero dello Sviluppo economico; mentre per quelli del settore logistico sulle indicazioni del Piano nazionale della logistica del ministero dei Trasporti.

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  1. Pietro Spirito

    Verrebbe voglia di lanciare un Osservatorio sui costi del fare, considerati i molteplici danni che sono stati provocati, alla finanza pubblica ed alla competitività economica, da decisioni scellerate che hanno condotto a realizzare non infrequentemente opere inutili, iniezioni di cemento che hanno ingrassato i costruttori ed impoverito gli Italiani. Verrebbe voglia poi di realizzare un Osservatorio sui costi giusti del fare, per misurare in modo geometrico gli extracosti che si determinano nel nostro Paese nella realizzazione delle infrastrutture rispetto a realtà comparabili. Verrebbe voglia di realizzare ancora un Osservatorio sui costi del fare tardi, per misurare l’esasperante lentezza con la quale si realizzano gli investimenti e le opere pubbliche. Verrebbe voglia infine di realizzare un Osservatorio sui costi del fare male, per valutare gli impatti di decisioni che hanno imbottito di cemento il territorio ed impoverito di tecnologie che invece sarebbero state strategiche per migliorare le performances dei servizi erogati. Sull’Osservatorio dei costi del non fare, metodologicamente ricordo che è prassi, nell’analisi costi benefici, partire dalla valutazione di ciò che accadrebbe non realizzando l’infrastruttura che viene valutata. Già, l’analisi costi benefici. Quando c’era il FIO si tentò di introdurla come strumento di valutazione. Eravamo negli anni Ottanta del secolo scorso. Si dimise il sottosegretario Grillo

  2. Pietro Spirito

    Intendevo Grilli, Enzo Grilli, da non confondere con l’attuale Ministro del tesoro.

  3. Mario Sebastiani

    Le considerazioni contenute nell’articolo
    sono per forza di cose molto schematiche ed è da ritenere che i rapporti citati
    da esso offrano più argomentate e analitiche evidenze. L’approccio
    seguito si basa sull’analisi economica costi-benefici, vale a dire sull’esclusiva valutazione di “redditività sociale” degli investimenti per la collettività nel suo insieme, non per l’investitore. E’ da ritenere anche che la selezione dei progetti da realizzare si basi sul confronto fra diverse alternative di investimento, non solo all’interno di un singolo settore (ferrovie o porti?) ma anche fra settori diversi (rende più alla collettività investire in ferrovie o in oleodotti?). In questo senso mi lascia qualche perplessità la costruzione del costo totale netto del non fare (stimato in 474 miliardi di euro nel quinquennio 2012-2017) come mera sommatoria di quello dei singoli progetti. Magari, vincoli finanziari o ambientali potrebbero indurre a scegliere, almeno come priorità cronologica, alcuni di essi e non altri. Tanto più che, l’articolo precisa che valutazioni
    di redditività per l’investitore sono estranee all’approccio seguito, da cui segue che non è dato sapere in quale proporzione gli investimenti potrebbero essere finanziati con fondi privati.
    Al di là di questo, il punto di fondo che non traspare è che la capacità infrastrutturale (perché di questo stiamo parlando) non è fatta solo di ferro e cemento, ma anche di tecnologie e di organizzazione. A titolo di esempio (estensibile a quasi tutti i settori), la capacità di un porto dipende sì dai mq di banchine e di piazzali, ma questa può essere
    moltiplicata se si accorciano i tempi di imbarco, sbarco e di carico delle merci su treni o camion (i porti italiani non sono competitivi perché questi tempi sono un multiplo di quelli richiesti nei grandi porti del nord Europa). Investire in innovazione tecnologica e in organizzazione richiede meno tempo, costa molto meno, non danneggia l’ambiente e ha ricadute a largo raggio. Mi auguro che questi aspetti, di cui non vedo traccia
    nell’articolo, siano adeguatamente affrontati nei rapporti del Cnf.
    Mario Sebastiani

  4. Marco Marletta

    E’ ben strano che fra le infrastrutture non sia menzionata la banda larga e l’accesso generalizzato alla fibra ottica residenziale

  5. Gianmarco

    Della voce.info apprezzo che viene dato spazio a questa posizione come a quella di Beria-Ponti. Ho partecipato al “dibattito pubblico” di Genova del 2009 con una mia posizione critica sull’opera in questione. Uno degli argomenti a favore era il “costo del non fare”, in termini appunto di tempo. Il proponente (non Clerici-Garzella ma un’approssimativa istituzione locale) aveva sovrastimato il costo del solo tempo di un fattore 10. E poi non si teneva in conto, come si continua a non fare, il problema idrogeologico, di risorse idriche, di degrado ambientale, deprezzamento immobiliare ecc. Infine si continuava a dire che la Liguria e’ sotto-infrastrutturata, quando, dati alla mano, non e’ vero. Peccato che ogni volta che si portano questi argomenti in discussione si e’ regolarmente tacciati di voler restare all’eta’ della pietra. Nessuno mette in dubbio che le infrastrutture servano: la prima sicuro, la seconda anche, ma la decima forse meno. Saluti

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