I partiti hanno piegato tutte le dimensioni della società italiana verso la ricerca del consenso elettorale. Ora però nelle urne il successo arride a non-partiti come il M5S. Così si cercano nuove forme partito, avvicinandoci all’esperienza americana. Dove i partiti sono sicuramente meno invasivi.
Ho letto – inizialmente con interesse, poi via via diminuito – il documento preparato dal ministro Fabrizio Barca sul “partito nuovo”. Il documento è lungo e, francamente, quasi mistico, vista la distanza fra la proposta e la realtà sul campo. Però, al ministro va riconosciuto il merito di sollevare una questione che è sul tappeto per tutti gli italiani: un ripensamento sulla forma stessa di partito.
I partiti, intesi come organizzazioni e sistemi di incentivi, sono sfuggiti al controllo. Non solo al controllo dei cittadini, ma anche a quello delle istituzioni. Dei tre poteri dello Stato, quello legislativo e quello esecutivo sono ormai da tempo totalmente catturati dai partiti. Il terzo, il potere giudiziario, è impegnato in una lotta contro quei comportamenti illegali che sono di fatto incentivati, o almeno tacitamente accettati, dai maggiori partiti. La società civile e l’economia sono state da tempo colonizzate. I partiti, insomma, hanno piegato tutte le dimensioni della nostra società verso la ricerca del consenso elettorale.
Non sorprende dunque che i cittadini italiani abbiano votato in massa l’unico non-partito disponibile: il Movimento 5 Stelle. Il movimento è stato strutturato esplicitamente violando ogni logica di partito, e in particolare contro l’idea che il partito sia una professione per chi lo gestisce. Quindi niente gerarchie, né benefici economici per chi fa parte dell’apparato, né fedeltà all’organizzazione data o richiesta (anche se forse a Beppe Grillo un po’ più di fedeltà non dispiacerebbe, sembra).
Quando un non-partito vince, si trova in difficoltà. La sfida per un non-partito è, innanzi tutto, come mettersi d’accordo internamente su quali politiche sostenere. Non potendo contare sulla fedeltà, e nemmeno su un processo di adesione a un programma, il non-partito trova difficile offrire supporto a una coalizione di governo. Potrà mai essere più che una collezione di franchi tiratori? Ma nonostante le difficoltà, il non-partito piace agli elettori.
I partiti “normali” hanno capito, ormai, l’attrazione degli elettori per la forma non-partitica. Il Pd ha cercato confusamente di adeguarsi facendo le primarie. Altri partiti cercheranno la loro strada nella stessa direzione.
LEZIONI AMERICANE
Cercando di diventare almeno in parte non-partiti, le formazioni politiche italiane vanno nella direzione dei partiti americani.
I partiti americani assomigliano un po’ a un non-partito, o almeno a un “meno-partito.” Per esempio, per i politici americani la politica non è una professione che si sceglie a scuola o all’università. I politici americani vengono dal mondo del lavoro invece che dai gruppi “giovanili” di partito. Barack Obama, per esempio, era un professore di diritto, mentre il suo oppositore alle ultime presidenziali, Mitt Romney, era un manager nel settore della finanza. Senza dimenticare che i candidati alle elezioni negli Usa vengono selezionati non dal partito, ma dai votanti attraverso le elezioni primarie; i partiti italiani invece controllano ferocemente le liste elettorali. Forse per queste ragioni, la disciplina di partito negli Usa è relativamente labile: tradizionalmente i parlamentari americani non sempre votano con il loro partito, mentre in Italia, il voto è quasi sempre di partito.
Andiamo dunque nella direzione giusta? Forse. I partiti Usa non sono privi di difetti. Anch’essi sono dipendenti dai contributi elettorali (direi anche assuefatti). Tanto per dare un numero da brivido, il totale speso nella campagna elettorale 2012 è stato di ben 6 miliardi di dollari. Ciò detto, i partiti americani non soggiogano lo Stato e l’economia come quelli italiani. In Italia, come sappiamo, avere una associazione partitica è quasi necessario perché un chirurgo possa diventare dirigente sanitario. Lo stesso vale per tanti altri settori dell’economia. Quando racconto questo, i miei amici americani strabuzzano gli occhi (e sperano di non ammalarsi quando vengono in visita in Italia). Insomma, i partiti americani non sono perfetti, ma sono meno invasivi di quelli italiani, in parte proprio perché sono “meno-partiti.”
Dunque il M5S, il primo non-partito italiano, è in qualche modo un partito all’americana. E il Pd, fra primarie e Barca, guarda un po’ nella direzione del meno-partito. Possiamo immaginare un futuro di partiti italiani un po’ “meno-partiti”? Questa, per me, è la domanda posta dal memorandum di Barca. Il futuro ci darà la risposta.
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Alberto Bellini
ho letto attentamente il documento di Barca e ne sto ascoltando i commenti da giorni. quanto letto onestamente mi pare di impossibile realizzazione ma credo che anche nel discorso che fa l’autore di questo Post, si individui in modo errato il senso del partito palestra che Barca vorrebbe costruire. conscio che potrei essere invece io a sbagliarmi, esplicito quanto ho capito. Barca non indica un quasi partito contro un partito di massa. anzi indica un partito con una organizzazione forse ancora più sviluppata di quella che c’è adesso. il partito palestra dovrebbe essere un partito che dovrebbe porsi quale mediatore sia tra cittadini, attivisti, elettori in senso lato, sia tra base ed eletti. Nel primo senso (mediazione orizzontale) i funzionari (questi si mitologici considerando il compito e la formazione attuale dei funzionari PD) dovrebbero promuovere un incontro tra le esigenze dei singoli e quelle comunitarie partendo da fatti concreti e muovendosi nell’ambito di una pura valutazione qualitativa delle singole ragioni. questo tipo di mediazione sarebbe meramente cognitiva perchè ciascuno dei partecipanti dovrebbe accrescere la propria conoscenza del problema affrontato con un doppio vantaggio per un partito. da un lato consentirebbe ai cittadini di sentirsi parte attiva nella gestione del problema locale, dall’altro consentirebbe al partito di formare un primo livello di conoscenza degli umori della propria area di riferimento al netto delle variabili mistificanti che oggi separano oggettivamente il PD dalla realtà del proprio elettorato. una seconda mediazione, verticale stavolta, connetterebbe queste posizioni locali sia tra di loro che con gli eletti. in questo modo il partito diverrebbe lo strumento mediante il quale la molteplicità degli interessi si unisce in una serie di valori interlacciati che non sono già dati ed immutabili, ma che sono direttamente influenzabili dal mutare degli interessi degli elettori. tutto ciò avverrebbe non sulla rete, anche se innegabilmente questo partito si gioverebbe delle possibilità che la rete offre, e quindi non sarebbe direttamente afflitto dalla superficialità che si vede nel M5S.
Che poi tutto ciò sia realizzabile è altra cosa, ma il partito che Barca disegna è cosa diversa sia dall’attuale PD, sia dal partito liquido, sia ancora dal partito informale all’americana dove sono ancora dominanti le tendenze ideologiche di fondo sia pure pesantemente caratterizzate da condizioni locali. ricordiamo che a differenziare il partito di Barca dai partiti americana c’è la netta separazione con gli eletti.
Alberto Baldazzi
Scrivo dalla California dove parte della mia famiglia qui residente non arriva piu’ a capire il perche’ di questa particolare situazione italiana dove la nebbia invade tutto e tutti. Con tutti i suoi difetti Grillo appare piu’ comprensibile di Bersani e Bersani piu’ simile a una specie di Pontefice vecchia maniera che a un uomo di stato visionario. Non parliamo poi di Berlusconi che tutti auspicano vada in ritiro spirituale nel Buthan….a pregare con i Bonzi. Sono d’accordissimo con Persico
Carlos
E’ evidente, ormmai da anni, un processo di trasformazione dei partiti che, come le imprese si sono fatte post-industriali e post-fordiste (ossia più flessibili e leggere), così stanno diventando più “liquidi” e meno burocratici. Questa è una delle tesi contenute nell’ottimo saggio di Marco Revelli “Finale di partito” del quale consiglierei la lettura a tutti, in particolare ai “dirigenti” di partito (in particolare il PD). Non ho ancora letto il documento di Barca, ma da alcune cose che ho sentito, ho ricavato una sensazione e un convincimento. La prima è in linea con quanto afferma il prof. Persico nel suo articolo: un tentativo forse un pò astratto e macchinoso di “alleggerire” la forma-partito, forse appesantendone un pò troppo i meccanismi di collegamento con la base. Il secondo rafforza quanto si legge nel libro di Revelli (che compie un’ottima analisi, ma lo spazio dedicato alle proposte forse è un pò scarno): occorre ridiscure i fondamenti eminentemente organizzativi dei partiti (in particolare dei partiti di massa socialdemocratici…diciamo il PD). Una delle generalizzazioni confermate a più riprese dalla sociologia dell’organizzazione è che i movimenti hanno anch’essi un’organizzazione e che spesso tendono a trasformarsi in organizzazioni, ossia tendono a “burocratizzarsi” oppure ad accentrare la leadeship, perdendo così il loro carattere originario e la loro spinta al cambiamento. Insomma, mentre i partiti devono diventare più “movimentisti”, i movimenti (Grillo e i 5S) hanno il problema opposto: come mantenere il “movimentismo” organizzandolo. Sarebbe interessante aprire un dibattito a più livelli su questo argomento.
federico
Buongiorno, se il processo descritto è un driver del vero cambiamento, ben venga, Viceversa, è evidente, e stra-noto, che l’Italia sconta una sovrastruttura geronto-burocratica di tipo neo-feudale non in grado di implementare alcuna riforma. Per anni, l’unica politica sostenuta sono state le currency gimmicks. l’Itali ha bisogno di RIFORME STRUTTURALI, non di “svalutazioni2 o devaluation dei partiti. come già della moneta. Spero con simile metafora di avere reso la mia idea. COMPETENZA, MERITOCRAZIA, etc n..ect. riforme stra-noto da decenni, Eppure. guardate la rosa dei nuovi Pdr, eloquente testimonianza del nuovo che avanza…good luck Italy