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Il fascino opaco della moneta digitale

Le criptovalute non diverranno un mezzo di pagamento o una unità di conto, almeno per ora. Ma una loro regolamentazione serve. Né sono privi di rischi i progetti sulle valute digitali delle banche centrali. E attenzione ai sistemi privati di pagamento.

Il successo delle criptovalute

Sempre più di frequente il termine “valuta digitale” assurge alle cronache. Si pensi agli incredibili valori raggiunti da bitcoin, alle numerose iniziative delle principali banche centrali che stanno valutando se emettere una moneta digitale o al fatto che le banconote hanno sempre più lasciato il passo a strumenti di pagamento elettronici. In un contesto di forte cambiamento tecnologico il termine “valuta digitale” assume diverse connotazioni che meritano di essere chiarite, ma soprattutto vale la pena chiedersi quale ruolo debbano svolgere gli stati, le banche centrali e le altre autorità di vigilanza.

Innanzitutto, è chiaro che allo stato attuale le cosiddette criptovalute, che funzionano attraverso un registro distribuito, dove le transazioni sono trascritte utilizzando la tecnologia blockchain, difficilmente potranno diventare un mezzo di pagamento o una unità di conto. Questo sia perché il loro valore è troppo volatile, sia perché la loro tecnologia è troppo costosa e ha limiti di scalabilità. Bitcoin può fare cinque transazioni al secondo mentre la rete Visa ne processa 24 mila. Al limite, le criptovalute potranno divenire un importante asset class, cioè svolgere un ruolo di riserva di valore soprattutto in contesti di forte incertezza o vincoli ai flussi finanziari. E sempre che non si abbiano a cuore gli enormi problemi ambientali che le criptovalute comportano, dato il loro massiccio consumo di energia, si riescano a contenere le attività criminali che hanno trovato in esse un comodo strumento di riciclaggio e si trascurino i rischi operativi perché alla perdita o al furto della chiave privata il patrimonio investito sparisce per sempre e il 99 per cento delle piattaforme si è dimostrato hackerabile.

L’idea quindi che le criptovalute possano diventare il nuovo “oro digitale” dovrebbe per lo meno richiedere un’attenta vigilanza delle autorità, che finora si sono dimostrate distratte e impreparate a monitorare una attività che non si può facilmente classificare. Se non altro per non correre il rischio di creare bolle speculative che, secondo molti commentatori, potrebbero essere paragonabili a quella dei tulipani olandesi del XVII secolo.

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I movimenti delle banche centrali

Molto diverso è il discorso che concerne le monete digitali che le banche centrali stanno pensando di emettere (central bank digital money – Cbdm).

Per centinaia di anni le autorità monetarie hanno direttamente fornito al pubblico una moneta fiduciaria. Tuttavia, l’uso del contante è ovunque in rapido calo, mentre strumenti e piattaforme private di pagamenti digitali efficienti e convenienti sono cresciute enormemente. Ecco allora che le banche centrali valutano se offrire al pubblico una “banconota digitale”. O meglio, valutano se permettere di aprire direttamente conti sui loro libri o attraverso intermediari autorizzati. L’obiettivo è quello di continuare a offrire a tutti la possibilità di detenere una moneta pubblica sicura; migliorare la resilienza operativa del sistema dei pagamenti, fornendogli un backup; aumentare le scelte dei cittadini e la concorrenza; far crescere l’inclusione finanziaria per chi non ha la possibilità di accedere al sistema bancario; rafforzare la presa diretta della politica monetarie e fiscale specie in caso di helicopter money; ridurre i costi dell’emissione di banconote e favorire il risparmio energetico.

Un recente sondaggio della Banca dei regolamenti internazionali ha rilevato che l’80 per cento delle banche centrali dei principali paesi sono impegnate nel valutare se e come emettere la propria Cbdm e la metà è in fase di sperimentazione. La Banca centrale cinese ha già distribuito a 500 mila persone 200 yuan digitali (30 dollari) in alcune città pilota attraverso le principali banche pubbliche, mentre la Banca centrale delle Bahamas è andata oltre: ha emesso un Cbdm, noto come il “dollaro di sabbia”. In Occidente, la Banca centrale europea ha promesso la nascita di un e-euro entro il 2025, mentre la Fed è decisa a difendere l’egemonia del dollaro sia economica che politica (si pensi alle sanzioni e ai divieti all’utilizzo della moneta americana imposti con ragionevole successo a paesi come la Russia o l’Iran). Si è aperta così una sorta di corsa – o forse di guerra – delle valute digitali.

Tuttavia, le Cbdm hanno anche molte controindicazioni. Innanzitutto, pongono seri problemi in termini di privacy e controllo sociale, soprattutto nei paesi scarsamente democratici. In secondo luogo, i conti in valuta digitale rischiano di disintermediare il sistema bancario, per il quale sarebbe più difficile e costoso finanziarsi e quindi erogare prestiti. Il problema appare ancora più serio nei momenti di crisi, quando è facile immaginare una fuga dai depositi bancari. Inoltre, l’emissione di una Cbdm aumenterebbe la dimensione del bilancio della banca centrale e forse renderebbe più complessa la gestione della politica monetaria. Ecco allora le proposte di limitare l’ammontare di valuta digitale sovrana che ogni singolo individuo può detenere. In questo modo, tuttavia, si depotenzia grandemente il valore strategico di una valuta digitale. Infine, a livello internazionale non è chiaro se le banche centrali sarebbero disposte ad accettare pagamenti in Cbdm di altri paesi e se gli stranieri potranno detenere quella domestica.

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Senza queste e altre condizioni è improbabile che l’introduzione di una moneta digitale possa cambiare gli equilibri internazionali e il ruolo sovrano del dollaro. In ogni caso, è difficile immaginare un sistema finanziario internazionale basato sulle Cbdm senza un alto grado di cooperazione, coordinamento e controllo.

I sistemi privati di pagamento

Due parole, infine, sulle valute e sistemi di pagamento privati che negli ultimi anni hanno conosciuto uno straordinario successo. The Economist stima che oggi 3 miliardi di persone usino regolarmente portafogli elettronici e applicazioni di pagamento come PayPal, Ant-Group, Grab, MercadoPago o Visa. Oltre che permettere transazioni istantanee a prezzi molto bassi, questi sistemi sono anche in grado di raccogliere informazioni preziose sulle abitudini e gli stili di vita degli individui. Alcuni commentatori ritengono che la determinazione con la quale la banca centrale cinese si muove nell’emettere una moneta digitale ha più a che fare con il tentativo di limitare i due giganti locali (Alipay e WeChat), che non di imporre il renminbi a livello internazionale. È comunque evidente che lo strapotere che questi sistemi di pagamento possono detenere, grazie a effetti di network, e di rischi connessi, vanno considerati con attenzione. Forse è la priorità che le autorità si dovrebbero dare.

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  1. Raffaele Meligrana

    Molto interessante specialmente l’impatto sui bilanci delle banche centrali e la disintermediazione delle banche private. Può consigliare degli articoli di approfondimento?

    • Andrea

      L’economist ha dedicato la copertina del volume della scorsa settimana all’argomento, oltre che un approfondimento sul yuan digitale nella sezione “Finance & economics”. Sul loro canale Youtube è presente anche una video intervista.

  2. Firmin

    Chi investe (consapevolmente) in criptovalute lo fa perchè sono indipendenti dalle autorità monetarie e sono intrinsecamente contingentate, ovvero non possono produrre inflazione e il loro valore e ammontare non è correlato col ciclo economico e politico. Una vera criptovaluta di stato (non manovrabile discrezionalmente) sarebbe una contraddizione in termini e probabilmente non avrebbe mercato. Al massimo sarebbe un modo per risparmiare carta e inchiostro, ma già oggi l’immissione di liquidità passa attraverso le banche che raramente usano ancora le banconote.

  3. Giuseppe

    Con revisione:

    Ho letto solo la prima parte dell’articolo e mi sono fermato per una serie di banalità che ci ho trovato.
    I problemi ambientali di Bitcoin, per quanto debbano ancora essere realmente comprovati, sono nulli rispetto a quelli inerenti l’estrazione dell’oro, altro bene di rifugio.
    La previsione che le criptovalute non diverranno mai uno strumento di pagamento è già stata smentita da Salvador, precursore nell’adozione di Bitcoin come moneta di stato.
    Inoltre, le conclusioni sulle transazioni al secondo di BTC non tengono conto di sistemi velocissimi come Solana, Binance Smart chain, ecc.
    Professore.. invece che informarsi su fonti appartenenti alla economia e dalla finanza classica, farebbe bene a farsi un giro per i vicoli delle cripto. In strada si trovano sempre informazioni utili e vere.

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