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I comuni alla sfida del Pnrr

I comuni dovranno gestire ingenti risorse del Pnrr. L’analisi dei progetti finanziati dal Fondo sociale europeo rivela che quelli troppo piccoli e quelli grandi, specie al Sud, hanno difficoltà a spendere i fondi. Servirebbe una struttura di sostegno.

I comuni e la capacità di utilizzare le risorse

I comuni saranno chiamati a gestire ingenti risorse provenienti dal Piano nazionale di ripresa e resilienza. In un articolo precedente abbiamo visto come la capacità di spendere i fondi europei da parte dei comuni sia molto differente, secondo un dualismo importante tra Nord e Sud: al fine di superare le criticità organizzative, potrebbe essere utile prevedere una cabina di regia specifica per i comuni del Sud. 

Qui ci occupiamo invece di una questione connessa ma ulteriore, ovvero la dimensione ottima che consente di gestire opportunamente i progetti finanziati con i fondi Pnrr.

Anche in questo caso una prima risposta alla domanda potrebbe provenire dal passato, analizzando i progetti finanziati dal Fondo sociale europeo (Fse) per il periodo di programmazione 2014-2020 (fonte: Opencoesione). In particolare, ci focalizziamo sui progetti per cui i comuni sono stati gli unici attuatori. La ragione della scelta sta nel fatto che in quest’ultimo caso si pone con forza il tema della capacità non solo di spesa, ma anche di gestione degli appalti per l’effettiva realizzazione dei progetti.

I progetti finanziati avevano come principali obiettivi la promozione di sistemi di trasporto sostenibili, occupazione sostenibile, inclusione sociale e lotta a ogni forma di povertà e discriminazione. Tutti temi che ricorreranno nei progetti che saranno finanziati con il Pnrr.

Dalla figura 1 si nota come la percentuale di realizzazione dei progetti europei sia crescente con la dimensione del comune considerato, almeno fino alla soglia di 20 mila abitanti. In particolare, si passa da una percentuale di pagamenti su fondi impegnati pari al 60 per cento nel caso di comuni con popolazione inferiore a 1.500 abitanti all’80 per cento nel caso di comuni con popolazione compresa tra 10 mila e 20 mila abitanti. Per comuni con popolazione superiore a 20 mila abitanti la capacità di spesa inaspettatamente crolla, scendendo fino al 56 per cento.

Differenze tra Nord e Sud

È utile analizzare il risultato per aree territoriali, nella fattispecie distinguendo tra comuni del Nord e del Sud del paese. Dalla figura 2 si nota come le economie di scala di figura 1 per comuni con popolazione inferiore a 20 mila abitanti siano guidate dai comuni del Nord Italia, i quali presentano per popolazione inferiore a 1.500 abitanti una percentuale di spesa su impegni pari al 76 per cento e per comuni compresi tra 10 mila e 20 mila abitanti una percentuale pari all’87 per cento, oltre i 20 mila abitanti la percentuale arriva al 91 per cento. Al contrario, il Sud non mostra un regolare andamento che possa rivelare economie di scala. Infatti, sotto i 20 mila abitanti la percentuale di spesa oscilla tra il 53 e il 63 per cento, con una forte caduta dopo i 20 mila abitanti al 43 per cento. Per i comuni del Nord non sussiste lo stesso problema con popolazione superiore ai 20 mila abitanti. Quindi l’inefficienza dei comuni grandi sembra una caratteristica presente in maniera preponderante al Sud, e non al Nord. 

Come spiegare questi risultati e, in particolare, il dualismo tra Nord e Sud? Come illustrato nella tabella 1, bisogna tenere presente che il finanziamento pubblico medio per progetto è all’incirca il triplo nel caso di comuni del Mezzogiorno rispetto a comuni del Nord. Tuttavia, il divario – pur importante – nel caso di comuni con più di 20 mila abitanti è ridotto: il finanziamento pubblico per i comuni del Sud è 2,25 volte quello per i comuni del Nord. 

Supervisione necessaria

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In conclusione, si potrebbe ragionare sull’opportunità di favorire un’aggregazione dei comuni sotto la soglia dei 20 mila per aumentare la capacità di spesa in un’area del paese dove è comunque già elevata, come il Nord. Quella nel Mezzogiorno risulta – come era da aspettarsi – molto più bassa, soprattutto per i comuni superiori a 20 mila abitanti (91 per cento contro 43 per cento). Ciò pone questioni rilevanti rispetto all’esigenza di gestire con accortezza la governance dei fondi del Pnrr, con meccanismi di supervisione rafforzati nei casi in cui, sulla base dei dati precedenti, è più probabile un utilizzo molto parziale dei fondi europei disponibili. 

Di particolare interesse per i comuni nel recente “decreto Semplificazioni” è il blocco alla deroga della legge n. 55/2019 (cosiddetta “Sblocca cantieri”). Per superare gli eventuali problemi di economie scala, è stata infatti prevista la reintroduzione dell’obbligo per i comuni non capoluoghi di provincia di avvalersi di centrali uniche di committenza che possono essere costituite presso (i) unioni di comuni, (ii) province/città metropolitane e (iii) comuni capoluogo di provincia, per gli appalti di opere afferenti al Pnrr (sopra i 40 mila euro per acquisto di beni e servizi e i 150 mila euro per lavori pubblici). La norma, tuttavia, non è disegnata indicando una dimensione minima sotto la quale bisogna avvalersi delle centrali uniche, necessità che la nostra analisi sembrerebbe suggerire per il Nord Italia. Si fa invece riferimento al valore degli appalti: sotto questo profilo, anche quelli di valore limitato potrebbero non essere gestiti in modo efficiente da comuni estremamente piccoli. 

Inoltre, nessuna forma di supporto specifico di sostegno alla gestione degli appalti è prevista per le amministrazioni comunali che, sulla base dei dati qui analizzati, sono in maggiore sofferenza: i comuni del Sud e in particolare quelli di grandi dimensioni. Bisogna comunque ricordare che in caso di manifeste inadempienze da parte di enti che mettono a rischio il conseguimento degli obiettivi intermedi e finali del Pnrr, il Consiglio dei ministri può attribuire in via sostitutiva il potere di adottare procedimenti necessari ad altri soggetti. Si potrebbe pensare di prevenire il ricorso a tale estremo rimedio prevedendo un’apposita struttura di appoggio gestita centralmente per i territori del Sud che dalla nostra indagine appaiono come particolarmente fragili.

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  1. Piero Borla

    Bene la struttura di supporto, ma con quali competenze e poteri ? C’è pur sempre da temere che i sindaci preferiscano evitare l’intromissione di soggetti estranei anche se ciò potrebbe aiutare a superare inefficienze e lungaggini. Il raggiungimento dei risultati viene prima del rispetto delle autonomie, quando queste si rivelano inefficienti. Il commissariamento deve essere considerato come rimedio normale, quando consente l’utilizzo efficiente e tempestivo di fondi che altrimenti andrebbero perduti. Questo vale non solo nel caso eccezionale del Pnrr: deve essere applicabile anche per tutte le assegnazioni di fondi pubblici da parte di enti esterni al soggetto attuatore

  2. Savino

    Cambiare le persone nelle amministrazioni prima che le procedure. Quello che chiamano eccesso di burocrazia non è altro che un groviglio di persone sbagliate e senza competenze messe al posto sbagliato. Mettiamoci i nostri giovani laureati nella p.a. anzichè farli scappare all’estero.

    • Belzebu'

      Gli uffici tecnici pubblici sono al collasso a causa di personale giovane, anche con laurea, tuttavia incompetente per carenza di esperienza lavorativa. Creano problemi di ogni tipo, costi per errori regolarmente insabbiati, costi per il loro mantenimento improduttivo senza poter licenziare somari e fannulloni.

      Per certe professioni non basta essere laureato, progettare edifici e calcolare strutture non è come fare il politico, lo psicologo o il ragioniere, se non ben addestrati prima, con adeguato tirocinio privato, si creano danni irreversibili e spesso pericolo pubblico sottovalutato.

      Le amministrazioni pubbliche, per efficientarsi e costare di meno, dovrebbero incaricare liberi professionisti esterni e pagarli a lavoro eseguito, se ben eseguito, con fattura.
      Costerebbero molto meno dei dipendenti pubblici, non gli devi pagare e garantire la pensione poichè se la pagano privatamente e non devi pagare i costi aggiunti per uffici segretarie, bidelli, manutenzioni.

  3. UMBERTO TROISE

    Leggo tardivamente il suo bell’articolo, checondivido. La prima questione che mi piacerebbe approfondire (sono R.d.P. Ragioneria ed Economato in un comune di 9.000 ab.) è: come gestiscono questi problemi gli altri paesi dell’UE? (penso soprattutto alla Francia e alla Germania). E poi: esistono in altri paesi UE strutture di supporto di livello territoriale (dipartimentale, regionale, ministeriale) o ad hoc per il supporto tecnico – organizzativo all’impiego dei fondi, per la gestione a ciclo completo dei progetti da selezionare e dei relativi affidamenti? Il suo articolo mi stimola a intraprendere delle ricerche in merito.

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