Nel 2020 è calato significativamente il fabbisogno di lavoro ed è cresciuto il ricorso a misure di sostegno all’occupazione e al reddito, con un ricorso massiccio alla Cig. Il XX Rapporto annuale di Inps restituisce l’immagine di un anno difficile.

Il mercato del lavoro nel 2020

Il mercato del lavoro è stato caratterizzato nel 2020 da un significativo calo del fabbisogno di lavoro, accompagnato da una notevole espansione degli strumenti di sostegno all’occupazione e al reddito. Il XX Rapporto annuale di Inps restituisce un’immagine dell’evoluzione dell’ultimo anno, esaminando gli effetti delle misure adottate.

Il numero degli occupati in Italia, nel 2020, ha subito un calo del 2,8 per cento, contro una discesa del Pil dell’8,9 per cento. Come già sottolineato sulle colonne de lavoce.info, la differenza è dovuta a un aggiustamento dell’occupazione avvenuto principalmente sul margine intensivo: il monte ore lavorate si è contratto infatti ben più del numero degli occupati, facendo segnare una riduzione del 7,7 per cento (figura 1a).

Se dunque una quota limitata dei lavoratori ha perso il posto, le conseguenze in termini di minore input di lavoro e quindi calo del reddito hanno riguardato una platea più ampia.

La figura 1b mostra che le assunzioni sono calate del 28 per cento, con un effetto più marcato per i contratti a tempo indeterminato (-32 per cento) rispetto a quelli a tempo determinato (-27 per cento) e con riduzioni rilevanti anche per gli altri tipi di rapporti. Simile dinamica si registra per le cessazioni, ridottesi del 25 per cento (rispettivamente del 29 e 25 per cento per le due categorie di lavoratori qui considerate). La fase di stasi temporanea del mercato del lavoro, quindi, benché significativa per entrambe le componenti (e per le altre non incluse nella figura 1b), ha visto crescere maggiormente la tutela per chi già prima della crisi aveva un posto a tempo indeterminato (penalizzando invece i non ancora assunti), mentre la contrazione dei flussi è stata minore dal lato dei rapporti a tempo determinato.

Pesa sui prossimi mesi l’incognita del blocco dei licenziamenti: il rapporto quantifica in 330 mila i licenziamenti “mancanti” rispetto al livello definito fisiologico del mercato del lavoro – per oltre due terzi da piccole imprese, le più colpite dalla crisi.

Come era prevedibile, il reddito da lavoro aggregato (misurato dall’imponibile previdenziale), dopo una dinamica positiva nel 2019 (+1,8 per cento rispetto al 2018), si è pesantemente ridotto (-5,6 per cento). Il calo più significativo ha riguardato i dipendenti privati, seguiti dagli autonomi; il settore pubblico ha invece subito variazioni minime, per via del non utilizzo della cassa integrazione (figura 2).

Un anno straordinario per la cassa integrazione

L’espansione della cassa integrazione nel 2020 è stata eccezionale: i beneficiari sono passati da 620 mila a 6,7 milioni e la spesa è salita da 1,4 miliardi nel 2019 a 18,7 nel 2020. Dei 6,4 milioni di lavoratori che hanno beneficiato della “Cig Covid-19”, 4,3 milioni sono entrati in cassa integrazione a marzo e 1,3 ad aprile. Da allora, con l’eccezione di un nuovo piccolo aumento a novembre (+129mila), c’è stato un continuo calo degli interessati dalla misura (figura 3).

L’intensità del ricorso alla Cig è variata molto nel corso dei mesi, con un picco del 45 per cento dei cassintegrati posti “a zero ore” ad aprile 2020, progressivamente riassorbitosi. Ancora a gennaio-febbraio 2021, tuttavia, la quota dei dipendenti collocati in Cig per più dell’80 per cento dell’orario mensile si attestava intorno al 35-40 per cento.

Per quanto riguarda la durata, invece, metà dei beneficiari ha fruito della cassa integrazione per non più di tre mesi, quasi sempre coincidenti con il trimestre marzo-maggio 2020. Tuttavia, è da segnalare un gruppo che ha subito una massiccia sospensione dal lavoro: 310mila lavoratori sono stati collocati in Cig per almeno 10 mesi, con un’integrazione oraria superiore al 60 per cento.

Non solo Cig: le altre misure di sostegno al reddito

Reddito e pensione di cittadinanza (insieme al reddito di emergenza introdotto in itinere), cassa integrazione e bonus autonomi sono state le tre grandi misure di sostegno al reddito durante la crisi. Il Rapporto analizza le platee interessate, cogliendo importanti differenze.

Dall’analisi del reddito di cittadinanza emerge un quadro di forte esclusione sociale degli interessati, caratterizzati da una partecipazione marginale (con retribuzioni medie molto basse) o ancor più spesso inesistente al mercato del lavoro.

Una simile sovra-rappresentazione di gruppi fragili si ha anche, nel perimetro degli occupati, nell’uso della Cig Covid-19: la sua intensità diminuisce con salario, anzianità aziendale ed esperienza lavorativa, mentre – a parità di questi fattori – aumenta con l’età del lavoratore. E infatti, la cassa integrazione ha svolto un ruolo importante nel sostenere i segmenti più fragili degli occupati, contenendo le perdite economiche (che si sono attestate al 34 per cento del reddito annuale mediano anziché a un potenziale 60 per cento stimato dai ricercatori Inps) e le disuguaglianze, come già evidenziato su lavoce.info (qui e qui).

Per quanto riguarda invece il bonus per gli autonomi, è interessante notare la drastica riduzione delle domande (del 65 per cento) una volta introdotta la condizione del crollo del fatturato: la prima versione del bonus era stata infatti richiesta anche da professionisti inattivi nel 2019 o che avevano subito perdite contenute.

In conclusione, gli strumenti messi in campo durante il 2020 sono stati efficaci nel prevenire pesanti perdite occupazionali e nel sostenere il reddito dei lavoratori più fragili: la cassa integrazione, ma anche il reddito di cittadinanza, hanno infatti coinvolto fasce di lavoratori particolarmente a rischio. Tuttavia, la fase pandemica ha messo in luce alcune criticità del nostro sistema di protezione sociale, troppo frammentato e incapace di offrire una tutela davvero universale. La riforma degli ammortizzatori sociali di cui ora si discute può sanarle, a partire da un elemento su cui il nostro paese è in ritardo e cerca ora di recuperare: le politiche attive del lavoro, necessarie per fronteggiare l’ondata di disoccupazione in arrivo.

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