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Ma la pensione di cittadinanza serve?

Il 27 aprile parte ufficialmente la pensione di cittadinanza. Il suo obiettivo è contrastare la povertà tra i più anziani. Un report Istat rivela però che la condizione dei pensionati è nettamente migliore rispetto a quella di altre fasce della popolazione.

Come funziona?

Il decreto-legge 4/2019 ha concretizzato una delle proposte cardine del M5s: la pensione di cittadinanza. La misura, spesso accostata al reddito di cittadinanza, mira a fornire un sostegno economico alle fasce più anziane della popolazione, ormai fuori dalla forza lavoro, che vivono in condizioni di povertà. La data di inizio è segnata per il 27 aprile.
Le critiche non sono state poche: sono molti quelli che pensano che il sussidio sia potenzialmente molto dispendioso, ma non del tutto necessario.
Il provvedimento è costruito in maniera molto simile al reddito di cittadinanza, con cui condivide anche l’obiettivo: colmare il gap tra il reddito percepito e la soglia di povertà. Si rivolge però ai nuclei familiari composti da persone con età maggiore o uguale a quella pensionabile, ovvero 67 anni. In sostanza, si tratta di un assegno mensile scomponibile in due parti: una parte di sostegno generale al reddito e una di supporto per le famiglie che vivono in affitto. Sarà quindi pari al massimo (780 euro) nel caso di persone single completamente prive di reddito e senza casa di proprietà; aumenterà, ma meno che proporzionalmente, per ogni membro aggiuntivo del nucleo familiare: nel caso di una coppia di over 67, l’importo sarà comunque minore del doppio di quello percepito da un single e pari al massimo a 1.092 euro al mese.
Oltre ai requisiti reddituali, ci sono anche stringenti limitazioni patrimoniali: ad esempio, la famiglia non deve aver appena acquistato un’auto o possederne una di cilindrata superiore a 1600 cm³. Inoltre, i beneficiari non possono avere un patrimonio mobiliare superiore a 6.000 euro, con alcune permissioni in più per nuclei familiari numerosi. Quest’ultima condizione rischia di essere quella decisiva per l’assegnazione del sussidio.
Altro requisito fondamentale è il possesso di cittadinanza italiana. Per gli stranieri sarà obbligatorio avere il permesso di soggiorno, anche se, considerata la minore età media di questi ultimi, non saranno comunque tanti a poter beneficiare del sussidio. Per tutti, però, è necessario risiedere in Italia da almeno dieci anni.
La pensione di cittadinanza si aggiunge ad un numero non esiguo di prestazioni assistenziali a favore della popolazione anziana, già poco coordinate tra loro. Oggi, gli anziani che non percepiscono redditi di alcun tipo e/o che percepiscono una pensione troppo bassa possono usufruire della pensione/assegno sociale, dell’integrazione al minimo e della maggiorazione sociale, fino ad arrivare a un ammontare complessivo di circa 650 euro mensili. Con l’introduzione della pensione di cittadinanza, nei fatti la pensione minima, o meglio il reddito complessivo a capo di un pensionato, sarà pari a 780 euro. Le vecchie misure assistenziali non verranno tuttavia sostituite, ma solo affiancate dal nuovo istituto. Il rischio di confusione è quindi alto: tutte queste prestazioni non sono legate tra loro da un unico disegno e hanno forme di eligibilità molto diverse tra loro.

I dati del rapporto Istat

In che modo l’introduzione della pensione di cittadinanza andrà a contrastare alcuni dei problemi che gravano sui nostri pensionati è ancora da vedere. Intanto l’Istat, attraverso il report “Condizioni di vita dei pensionati”, ci fornisce un quadro abbastanza esaustivo e utile per comprendere meglio alcune criticità. Soprattutto tenendo a mente che, per gli oltre sette milioni di famiglie con pensionati, i trasferimenti pensionistici rappresentano più dei tre quarti del reddito familiare disponibile e in più del 25 per cento dei casi l’unica fonte di reddito. E che il rischio di povertà è di circa otto punti percentuali minore per le famiglie con pensionati: gli anziani sono quindi tra le fasce della popolazione meno a rischio di vivere in miseria.

Figura 1

Innanzitutto, il report Istat mostra la diminuzione del numero di pensionati (calano tutte le categorie, tranne pensioni sociali e d’invalidità civile, più presenti al Sud). Si è passati dai 16 milioni e 800 mila del 2008 ai 16 milioni nel 2016. Il pensionato medio è oggi più ricco rispetto al passato. L’importo medio lordo dell’assegno è di 17.580 euro annui, ma in crescita. L’aliquota media Irpef è del 18,9 per cento (si abbassa all’11,4 per cento per chi guadagna meno di 15 mila euro) e nel 2015 il reddito medio netto stimato risultava quindi 14.311. Restano marcate, ma in miglioramento, le differenze di genere. Pur ricevendo quasi 6 mila euro l’anno in meno (8 mila se si conta solo la pensione di vecchiaia), il divario di genere sulle pensioni si è ridotto negli ultimi dieci anni del 5,5 per cento (e di oltre il 10 per quanto riguarda il trattamento di vecchiaia). Calano nettamente (del 20 per cento dal 2011) anche i pensionati che risultano avere un lavoro, di solito ultrasessantacinquenni maschi del Nord che svolgono lavoro autonomo.

Figura 2

D’altra parte, nel Mezzogiorno le condizioni dei pensionati stanno peggiorando e le differenze regionali sono sempre più ampie. Chi percepisce una pensione nel Sud Italia prende il 20 per cento in meno rispetto a chi risiede al Nord-Est o al Centro. E il divario è più che raddoppiato dagli anni Ottanta. Inoltre, la pensione da lavoro mediana al Sud è pari a 10.920 euro netti l’anno: ciò significa che il 50 per cento dei pensionati percepisce meno di 910 euro al mese.

Figura 3

Qualche spunto sulla misura

Stando ai dati riportati dal report (e altre fonti), gli anziani in media non affrontano situazioni di povertà gravi come quelle fronteggiate da altre fasce della popolazione. Tuttavia, il quadro peggiora se si focalizza l’attenzione in particolare su alcune categorie: le donne e i residenti nel Mezzogiorno. Ci si aspetta quindi che da loro provenga la maggior parte delle richieste. Il provvedimento sarà in grado di rispondere a queste categorie in modo efficace?

Del resto, alcuni punti critici sollevati sono proprio legati alla copertura dei beneficiari. I requisiti stringenti imposti rischiano di rendere il sussidio meno incisivo del previsto. Secondo il vicepresidente del Consiglio Luigi Di Maio, sono tre milioni i pensionati interessati. Secondo Repubblica si potrà arrivare a 200/250mila persone, sui 4 milioni di pensionati che Istat certifica prendere meno di 750 euro mensili. Mentre sono meno di 12 milioni i pensionati di oltre 67 anni. A ciò dobbiamo aggiungere che il massimo della pensione di cittadinanza spetterebbe solo a chi ha un basso Isee e vive in affitto. Se si considera che solo il 5 per cento dei pensionati non è proprietario della propria abitazione, 150 euro di integrazione per l’affitto sono da scomputare alla gran maggioranza dei pensionati italiani. Senza contare la proprietà di altri beni mobili o monetari, che a loro volta aumenteranno il numero di paletti previsti dalla misura. E infatti le stesse stime della direzione studi Inps parlano, per la pensione di cittadinanza, di una platea di 150mila persone.
Ma non solo. L’aggiunta del sussidio all’interno del sistema assistenziale rischia di aumentare il grado di confusione e inefficienza. Ad esempio, per quanto riguarda i beneficiari di integrazioni al minimo e maggiorazioni sociali (secondo Istat, 3 milioni i primi e 800mila i secondi), potrebbero sorgere alcuni problemi. È quanto rilevato da Il Giornale, per cui una coppia di coniugi con un assegno sociale non trarrebbe beneficio dalla manovra per le norme sul cumulo delle prestazioni. Stessa cosa per chi ha un assegno integrato al minimo (o un assegno sociale, se sprovvisto di reddito): al compimento dei 70 anni è possibile godere di una maggiorazione che parificherebbe l’assegno alla pensione di cittadinanza senza la “quota affitto”.

Insomma, con lo stesso investimento forse sarebbe stato meglio aiutare un’altra parte della popolazione più a rischio povertà. Ad esempio, rendendo meno penalizzante la scala di equivalenza del reddito di cittadinanza che danneggia i nuclei familiari numerosi.

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Il Punto

  1. Savino

    Tutto fa mancia e tutto fa pseudo-elemosina di propaganda. Non c’era nemmeno bisogno di distinguere tra reddito di cittadinanza e pensione di cittadinanza. L’amico dei 5 stelle Maduro la fa anche più semplice, chiamandola tessera del pane.

  2. Qualewelfare

    ..uno di quei tipici pezzi in cui si sceglie prima cosa si vuole dire e si portano dati per “giustificare” la scelta..come se coi dati si potesse davvero giustificare una scelta….insomma, mentre il povero Hume si rivolta nella tomba, vediamo un po’, in estrema sinstesi: il pezzo dice (correttamente) che: i) i pensionati sono tra le fasce di popolazione meno esposte al rischio di povertà in Italia e, ii) che le risorse destinate al RDC sono solo limitatamente destinate ai pensionati, perchè il disegno della misura riduce la platea in modo consistente. Perbacco, dove sta il problema ? Partendo dagli stessi dati, infatti, il disegno complessivo del RdC sembra coerente, destinando maggiori risorse alle fasce più a rischio povertà ed esclusione sociale…quanto a Hume…beh, coi soli dati in realtà si va poco lontano, sempre meglio esplicitare le premesse di valore..(es. la povertà va/non va combattuta, la povertà tra gli anziani va/non va combattutra…) e guardare ai dati, tutti i dati però..si confronti ad esempio il tasso grave deprivazione materiale over65 in ITA e nei paesi UE-15 (non ha senso il confronto con, che so, la Romania..)…forse qualche ragione per interventi redistributivi in campo pensionistico si trova… https://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/images/3/30/Severe_material_deprivation_rate_by_age%2C_2014-17_%28early_data%29_-_%25_of_population.png

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