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La concorrenza torna al centro dell’economia americana

Il presidente Usa ha firmato un ordine esecutivo per favorire la concorrenza nell’economia americana. Di fatto, Biden le assegna una funzione fondamentale, legata sia alla creazione di ricchezza, attraverso l’innovazione, sia all’equità sociale.

La “lenzuolata” di Biden

“Il capitalismo senza la concorrenza non è capitalismo. È sfruttamento”. Lo ha twittato il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, commentando la sua firma a un ordine esecutivo intitolato proprio “Promoting Competition in the American Economy”. Si tratta di un provvedimento articolato, che spiana la strada a quello che potrebbe essere uno degli assi portanti della presidenza democratica. Tuttavia, è solo un primo passo e, al di là della coerenza e nitidezza del messaggio, non è chiaro se e quali conseguenze produrrà.

Sul piano formale, un ordine esecutivo è una sorta di atto di indirizzo con cui la Casa Bianca invita le diverse agenzie che fanno capo all’amministrazione federale a seguire certi principi o adeguarsi a specifiche priorità. Nel passato, alcuni ordini esecutivi hanno avuto conseguenze dirompenti, come nel caso del proclama di emancipazione con cui Abraham Lincoln abolì la schiavitù negli stati ribelli. Ma, in genere, si tratta di provvedimenti abbastanza ordinari: basti dire che ogni presidente ne firma a centinaia durante il suo mandato.

Per quanto riguarda la sostanza, invece, l’ordine esecutivo numero 14.036 di Biden è una “lenzuolata” (per dirla all’italiana) piuttosto eterogenea. Il provvedimento trova una giustificazione nella crescente concentrazione osservata in molti settori dell’economia, che secondo i consiglieri economici del presidente disincentiva le imprese dall’innovare e danneggia i lavoratori e i consumatori.

In realtà, la questione è più controversa di quel che sembra: per esempio, c’è chi sostiene che il fenomeno sia causato principalmente dall’aumento della concentrazione nel settore dei servizi, dovuto però più al cambio tecnologico che alla minore concorrenza. Comunque, è ben possibile che l’indebolimento della competizione sia una delle cause della riduzione dei tassi di crescita della produttività e che abbia anche alimentato le disuguaglianze. Per questo, l’ordine esecutivo intende rimettere la concorrenza al centro della politica economica.

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La direttiva consta di ben 72 iniziative che chiamano in causa 12 agenzie federali. In estrema sintesi, gli interventi possono essere raggruppati in tre macro-categorie.

In primo luogo, Biden sprona le autorità antitrust (Department of Justice e Federal Trade Commission) a un atteggiamento più severo nei confronti delle operazioni di concentrazione societaria, tema sul quale diversi studiosi ritengono che negli ultimi decenni ci sia stato un eccessivo lassismo (si veda, per esempio, il best seller di Thomas Philippon, “The Great Reversal”). I settori sui quali si richiede una particolare attenzione sono quello bancario, tecnologico e della sanità. In secondo luogo, individua una serie di provvedimenti concreti che potrebbero promuovere la concorrenza nel mondo del lavoro: la riduzione dei vincoli all’esercizio delle varie professioni, la prevenzione di accordi tra datori di lavoro per limitare o ridurre la mobilità dei propri dipendenti e l’introduzione di limitazioni agli accordi di non-concorrenza. La terza categoria comprende una miscellanea di misure che riguardano molteplici settori: talune sono più chiaramente dirette a promuovere la concorrenza (per esempio, la portabilità dei dati bancari o la liberalizzazione della vendita degli apparecchi acustici), mentre altre hanno un nesso più indiretto (gli obblighi di neutralità delle reti telefoniche, la rinegoziazione dei prezzi di farmaci con obbligo di prescrizione, gli interventi a tutela degli agricoltori). Appartengono alla terza categoria anche alcune misure “consumeriste” nel settore della sanità (promuovendo la trasparenza dei prezzi delle spese ospedaliere, inducendo ad acquistare medicinali in Canada, e così via) e dei trasporti aerei.

L’ordine esecutivo crea poi un Competition Council, guidato dal direttore del National Economic Council (cioè il principale consigliere economico del presidente) e composto da diversi membri dell’amministrazione, con l’obiettivo di individuare barriere alla concorrenza e avanzare proposte (anche normative) per rimuoverle. Lo stretto legame tra il nuovo organo e l’amministrazione fa ritenere che il presidente voglia vigilare attentamente sull’esecuzione delle misure.

Una scelta politica

È presto per dire quali effetti produrrà quest’ordine esecutivo. In buona parte, dipende dalla solerzia e dalla decisione con cui l’invito del presidente si tradurrà in prassi concrete da parte delle agenzie federali. È comunque attesa a breve una revisione delle Horizontal and Vertical Merger Guidelines, come confermato dalla presidente della Ftc, Lina Khan, e dall’Acting Assistant Attorney General, Richard Powers. Sarà interessante vedere se e come le cose cambieranno per il settore tecnologico e per le principali piattaforme di internet, già nel mirino della Commissione europea.

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Certo, molte indicazioni sono formulate in modo vago. Non si può però sottovalutarne l’importanza politica. Di fatto, Biden assegna alla promozione della concorrenza una funzione fondamentale, legata sia alla creazione di ricchezza (attraverso l’innovazione), sia all’equità sociale (perché la concorrenza è associata alla riduzione dei prezzi dei beni e servizi e a salari più alti per i lavoratori). 

La politica economica di Biden, dopo sei mesi dal suo insediamento, comincia ormai a delinearsi con chiarezza: un mix di imponenti investimenti infrastrutturali finanziati in parte con incrementi delle imposte, misure volte a contrastare la delocalizzazione per motivi fiscali, e adesso anche la promozione della concorrenza. Nel programma di Biden c’è molto Keynes, ma c’è spazio anche per un po’ di liberismo di sinistra.

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Il Punto

  1. Enrico D'Elia

    La concorrenza non coincide necessariamente con una riduzione del potere di mercato (e degli extra profitti) dei soggetti dominanti, soprattutto quando il loro vantaggio deriva da economie di scala. Lo aveva spiegato un pessimo avvocato e grande economista come Piero Sraffa un centinaio di anni fa. Non mi pare che le lenzuolate di Biden frenino lo strapotere dei grandi gruppi e soprattutto non mi attenderei che la concorrenza alzi i salari e il potere d’acquisto dei lavoratori, che anzi storicamente sono i primi a vedere compressi i loro introiti e diritti quando parte una guerra (o una scaramuccia) sui prezzi. Chiedetelo ai controllori di volo e ai piloti ai tempi di Reagan.

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