Le Olimpiadi sono un terreno di confronto politico-economico, oltre che atletico, fra le grandi potenze. A Tokyo primi nel medagliere si sono confermati gli Usa, con la Cina saldamente al secondo posto. Ma un’Europa sotto un’unica bandiera vincerebbe.
La competizione Usa-Cina
Nell’antica Grecia durante le Olimpiadi veniva sospeso ogni combattimento, in segno di devozione agli dèi e per consentire agli atleti migliori di partecipare alle gare. Oggi, nell’era della competizione fra le grandi potenze, i giochi olimpici sono ancora terreno di confronto politico-economico, oltre che atletico. Così, spente le luci di Tokyo 2020, è il momento di trarre qualche conclusione analizzando le interessanti informazioni che ci hanno lasciato.
Ovviamente, il cuore di ogni considerazione strategica deve partire dalla grande competizione fra Usa e Cina, senza dimenticare la cenerentola Europa.
Anzitutto è facile osservare che gli Stati Uniti hanno conservato la leadership, come è successo negli ultimi trent’anni, da quando è caduto l’impero sovietico, sia per numero di atleti presenti che di medaglie conquistate. Tuttavia, la posizione dominante americana è stata come non mai tallonata dalla Cina, che in termini di medaglie d’oro è rimasta fino all’ultimo giorno in testa alla classifica, salvo scivolare al secondo posto quando la squadra femminile americana di volleyball ha vinto su quella brasiliana.
La Repubblica popolare cinese ha partecipato per la prima volta alle Olimpiadi (estive) solo nel 1984 a Los Angeles, dopo la normalizzazione dei rapporti con gli Stati Uniti promossa da Henry Kissinger e la risoluzione della controversia con il Comitato olimpico circa la presenza della Repubblica di Cina (Taiwan), che da allora sarebbe stata chiamata Cina Taipei. Da quel momento la Rpc ha preso parte a tutte le edizioni con risultati via via migliori sia in termini di atleti presenti, che di medaglie conquistate (vedi figura 1, 2 e 3). Così oggi la Cina è saldamente al secondo posto dietro agli Stati Uniti, ma davanti a tutti gli agli altri paesi industrializzati, quali Regno Unito, Germania, Francia, Italia, Giappone, Australia. Nel 2008 la Rpc è riuscita addirittura a conquistare la prima posizione in virtù del fatto che i giochi si svolgessero a Pechino e quindi gli atleti cinesi godessero del grosso vantaggio di gareggiare in casa.
Certamente questo tipo di classifiche contiene elementi di “nazionalismo” più o meno sano. Si pensi alle migliaia di bandiere tricolore esposte dopo la performance degli atleti italiano o ancora meglio all’incredibile storia olimpica dell’Unione Sovietica che durante il secondo dopoguerra, in un clima di guerra fredda, era riuscita per molti anni a tener testa agli Stati Uniti e a usare le vittorie olimpiche quale mezzo di propaganda del socialismo nel mondo: tra il 1952 e il 1988, su nove olimpiadi a cui aveva partecipato, l’Urss era riuscita a conquistare un maggior numero di medaglie in ben sei edizioni contro le sole tre in cui avevano prevalso gli Usa.
Un indicatore socio-economico
Tuttavia, i risultati olimpionici sono anche un interessante indicatore economico. In effetti, possono riflettere le risorse di un paese in termini di capitale fisico e sociale accumulato. Più grande e prospera è l’economia di una nazione, più è probabile che i suoi cittadini abbiano il tempo e le risorse materiali da investire per sostenere la preparazione dei loro atleti. Non a caso se guardiamo alla classifica delle prime venti nazioni che da sempre hanno guadagnato il maggior numero di medaglie, ci accorgiamo che, con la significativa eccezione di alcuni paesi dell’Est Europa e di Cuba, sono tutti paesi economicamente ricchi e sviluppati.
Le medaglie possono anche essere un indicatore della stabilità sociale di un paese. È improbabile che un paese devastato da guerre o malattie possa permettersi il lusso di rivolgere molta attenzione e fondi ai suoi atleti. Certamente è importante la dimensione demografica, tuttavia quella socioeconomica appare ancora più rilevante. Ecco perché l’avanzata cinese può essere letta anche in termini di sviluppo strategico-economico e dunque inquieta l’amministrazione Biden, come aveva preoccupato quella Trump.
Due parole, infine, sull’Europa e sull’Italia. I dati sul medagliere ci mostrano chiaramente che se le nazioni dell’Unione concorressero ai giochi sotto un’unica bandiera sarebbero certamente in testa a ogni classifica. Tuttavia, l’attaccamento che i cittadini di ciascun paese hanno alla propria patria ci conferma quanto ipotizzato da alcuni lavori: il principale ostacolo alla costruzione dell’Unione europea non è di natura economica o culturale, ma politica.
Infine, le 10 medaglie d’oro e le 40 complessive conquistate dalla squadra italiana sono state considerate un risultato eccezionale, e in effetti lo sono in termini assoluti, ma il decimo posto raggiunto dall’Italia nel medagliere mondiale è il peggiore negli ultimi 24 anni. Forse allora è vero che le medaglie olimpiche non si contano ma si pesano, come era solito ricordare Enrico Cuccia a proposito delle quote azionarie.
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fabio Capocaccia
Giuste osservazioni: mi domando se sia corretto il metodo comunemente usato nel fare il “ranking” tra paesi, condiderando solo gli ori e le altre medaglie solo in caso di parità. Meglio sarebbe, come dice Cuccia e – mi sembra- condivida Hamaui, dare un peso alle medaglie. Se si assegnassero, come logico, ad es. 4 punti all’oro, 2 argento e 1 bronzo, l’Italia sarebbe settima e non decima: davanti a tutte le europee, e questa non sarebbe la peggiore olimpiade degli ultimi 24 anni, come nella comune – e corretta -sensazione di chi le ha seguite.
bob
“il principale ostacolo alla costruzione dell’Unione europea non è di natura economica o culturale, ma politica…”
Io direi soprattutto Storica!!!