Lo studio della Banca d’Italia “Turismo in Italia: numeri e potenziale di sviluppo” fotografa un settore economico in crescita e con grandi potenzialità. Ma l’approccio deve aprirsi alla contemporaneità del marketing territoriale e aziendale.

Lo studio della Banca d’Italia

La Banca d’Italia conduce una rilevazione essenziale per conoscere le principali informazioni sul turismo italiano, che si basa su di una survey annuale permanente sulle spese e i comportamenti degli stranieri in Italia e per converso degli italiani all’estero, proseguendo così il lavoro dell’Ufficio italiano cambi.

Questa fonte, insieme alla storica “Indagine sui viaggi e le vacanze degli italiani” condotta dall’Istat a partire dal 1959, costituisce il basamento delle informazioni affidabili circa la domanda turistica in Italia e verso l’Italia. È vero che gli esercizi ricettivi sono tenuti a raccogliere e trasmettere i dati sugli arrivi e sulle presenze turistiche, ma lo fanno in modi e con tempi largamente disomogenei.

L’indagine della Banca d’Italia, che è la spina dorsale della pubblicazione, si articola in analisi di diverso approccio: peso economico, capacità produttiva, andamenti, tendenze, posizionamento, fino a una conclusione dedicata alle politiche per il turismo.

Chi ha paura del sovraturismo

Lo spauracchio del sovraturismo, argomento molto di moda nelle cronache estive, rappresenta il filo conduttore dell’intero lavoro, anche se non vengono delineate ancora possibili soluzioni praticabili, al di là di un generico richiamo alla destagionalizzazione e delocalizzazione dei flussi.

I dati sono questi: sempre più turisti internazionali visitano il nostro paese e molti di più ancora lo vorrebbero fare. Si tratta soprattutto di “extracomunitari”, in misura crescente provenienti da paesi di recente sviluppo, che vogliono vedere per la prima volta Roma, Firenze, Venezia e così via.

Mentre la capacità ricettiva (alloggi) cresce in modo tutto sommato controllabile, nonostante l’exploit della sharing economy, è il sistema dei trasporti che, se insegue senza governo la domanda, rischia di far invadere i nostri luoghi più pregiati da visitatori non pernottanti, “mordi e fuggi”. Ne è un chiaro esempio il caso delle Cinque Terre, anche per le ricadute della crocieristica a Savona, Genova, La Spezia, Livorno.

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Il problema è dunque mal denominato, si dovrebbe caso mai chiamare “sovra-escursionismo”. Né si intravedono soluzioni attraverso la politica locale, se si escludono i tanto vituperati “tornelli” o le ricorrenti proposte di numero chiuso, che peraltro esiste già, ad esempio sulle isole minori.    

Aspettando la politica

La competizione, però, non è solo economica. In diverse parti del lavoro della Banca d’Italia si sostiene che sono i prezzi, assoluti e relativi, a orientare la domanda turistica, pur dovendo in definitiva ripiegare sulla constatazione di una bassa elasticità della domanda al prezzo.

Questa legge economica mal si attaglia a prodotti come i viaggi e le vacanze, che sono ben lontani dalle necessità primarie, molto più “aspirazionali” che non “essenziali”.

Nessun viaggiatore sceglie la propria destinazione solo sulla base della convenienza, anzi. Non è un caso che tra le mete turistiche più desiderate al mondo, e tra le più frequentate, ve ne siano diverse che si possono ben definire care. Anzi la notorietà, la reputazione e il desiderio tendono a far lievitare i prezzi, anche con una offerta non saturata.

Il punto che sembra più debole nell’analisi della Banca d’Italia, tuttavia, è la classificazione “produttiva” delle aree di offerta turistica italiane, che rimane inchiodata a cinque categorie: turismo d’affari e, tra quello di svago, cultura, mare, montagna e rurale/lago. Queste sono tipologie geografico-territoriali, ma sempre meno categorie merceologiche di prodotto, perché prescindono dalle motivazioni, sempre più essenziali e trasversali.

Nel marketing turistico il prodotto non è quello che si ha da vendere, quanto piuttosto ciò che il turista compra e perché lo sceglie. Così i prodotti possibili sono decine, se non centinaia. Ad esempio nel Piano strategico del turismo 2017-2022, alla linea di intervento A.1.1., ne vengono analizzati 22, rilevati per ognuna delle regioni italiane, a costituire il Catalogo delle destinazioni e dei prodotti turistici, utile anche per la  promozione.

E le motivazioni non possono essere riassunte con poche definizioni generiche, devono essere approfondite fino al punto utile in cui offerta e domanda si capiscono e si incontrano.

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Per questo anche nel turismo si è ormai diffusa l’analisi del ciclo di vita del prodotto e la “teoria della lunga coda” formulata da Anderson nel 2004 su Wired, in cui si riconosce l’utilità di vendere una grande varietà di prodotti in quantità relativamente piccole, rispetto a un numero esiguo di varianti: una massa di nicchie, e non più/non solo pochi prodotti standard.

Nelle sue conclusioni il lavoro di Banca d’Italia non sfugge alla ricorrente tentazione di auspicare una politica “settoriale” per il turismo, pur constatando che il quadro istituzionale non è favorevole e che il Pst 2017-2022 rimane  lo sforzo corale e di partecipazione più grande mai realizzato in questo campo.

Peccato solo che il sistema indiscriminato di “buttare il bambino con l’acqua sporca”, così tipico degli avvicendamenti governativi, abbia penalizzato un lavoro che era stato condiviso da tutti i soggetti.

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