Nel suo articolo del 10 maggio, Carlo Milani trova come non esista alcun deficit di risorse per le banche italiane (calcolando un funding gap pressoché pari a zero). La tesi è piuttosto sorprendente e contraddice, prima che le risultanze dell’Abi, quelle della Banca d’Italia, che in più documenti ufficiali afferma il contrario; ad esempio nelle Considerazioni finali sul 2011 si diceva che “A marzo del 2012 i prestiti delle banche a clienti residenti in Italia ammontavano a circa 1.950 miliardi di euro, il 125 per cento del Pil.
Depositi e obbligazioni collocate presso le famiglie, le forme di raccolta più stabili, consentono di finanziare i prestiti per l’85 per cento (un funding gap del 15 per cento ndr); nella prima metà dello scorso decennio questa quota superava il 90 per cento. Le difficoltà di raccolta (…) impongono alle banche di procedere, con la necessaria gradualità, a un riequilibrio del rapporto tra impieghi e fonti stabili di raccolta”.
Per tradurre il pensiero della Banca d’Italia, prassi vuole che il funding gap si calcoli come rapporto tra il totale degli impieghi a residenti (al lordo delle sofferenze nette) e le fonti di raccolta stabili che nella versione restrittiva di Banca d’Italia vengono calcolate come somma di depositi e obbligazioni raccolte presso le sole famiglie residenti e che altri, tra cui lo scrivente, calcolano come la raccolta presso famiglie e imprese, sempre residenti. Ciò serve proprio a dar conto di quanta parte degli impieghi erogati dalle banche a residenti sia coperto da una raccolta stabile e non volatile, come abbiamo imparato essere quella presso i non residenti o quella presso i mercato all’ingrosso.
IL CONFRONTO INTERNAZIONALE
Ma anche al di là di queste preoccupazioni per la stabilità degli intermediari, il tema del funding gap ha assunto negli ultimi tempi sempre maggiore attenzione perché non è altro che lo specchio dell’equilibrio dei flusso di risparmio e investimento del paese, e quindi del saldo dei conti con l’estero. Tale relazione di equilibrio è stata per lungo tempo ignorata negli Stati Uniti, con gli effetti che tutti sappiamo, ma anche in alcuni paesi europei, tra cui principalmente l’Irlanda e la Spagna, in cui il ritmo di crescita del credito al settore privato è aumentato molto al di là delle capacità di risparmio dei due paesi determinando un abnorme debito estero; squilibrio che poi ha presentato il conto. (1)
Pensiamo che proprio la necessità di evitare che questo accada in Italia sia la preoccupazione principale espressa negli interventi della Banca d’Italia e dell’Abi.
In effetti, anche in Italia intorno alla metà del primo decennio Duemila il credito all’economia è cresciuto in maniera eccedente le capacità di risparmio del nostro paese, determinando un ampliamento significativo del funding gap. Come si può vedere dal grafico tra la fine del 2004 e la fine del 2007, il funding gap delle banche italiane è passato dal 15 al 25 per cento; poi è venuta la crisi che ha imposto un primo aggiustamento, ma già nel corso del 2010 il funding gap tornava a peggiorare toccando quota 20 per cento verso la fine del 2011. Nell’ultimo anno il gap risulta in diminuzione: si può stimare che a marzo di quest’anno sia diminuito di 4 punti percentuali rispetto al dato di un anno prima.
Grafico 1 – Stima del funding gap
Come chiarito dalla Banca d’Italia, i confronti internazionali sono molto difficili, ma possiamo stimare che oggi il dato italiano sia ancora superiore a quello medio dell’area dell’euro per circa 5 punti percentuali e di circa 10-15 punti percentuali. superiore rispetto all’esperienza dei paesi forti come Francia e Germania. Quindi strada ne è stata fatta, ma probabilmente il cammino non è ancora concluso.
Ovviamente, l’esigenza di chiudere il gap ha avuto effetti sul costo della raccolta già stressata dalla crisi dei debiti sovrani. Qui va detto che è criticabile la pratica di confrontare spread sui titoli governativi a dieci anni con lo spread sui tassi bancari a breve termine, soprattutto in una fase come l’attuale in cui la forte azione della Bce ha di molto ampliato la pendenza della curva dei rendimenti dei paesi periferici: sarebbe, invece, il caso di confrontare spread sulla medesima scadenza temporale.
Dunque se consideriamo lo spread per le scadenze fino a un anno tra i titoli governativi italo-tedeschi nei primi tre mesi del 2013 otteniamo uno scarto compreso tra 100-120 bp; se a questo punto consideriamo lo spread tra i due paesi sui tassi bancari sulle nuove emissioni con scadenze tra 3 mesi e 1 anno (Pct, Depositi con durata prestabilita e rimborsabili con preavviso) troviamo range di spread compresi tra 63 e 197 bp con un valore medio intorno ai 150 bp. Ecco dunque che i riflessi della crisi sovrana e del funding gap si sono manifestati e continuano a manifestarsi pienamente sull’attuale livello dei tassi bancari sulla raccolta a breve termine delle banche italiane.
* Ufficio analisi economiche Abi.
(1) Notiamo a tal riguardo che esiste una certa confusione tra il concetto di funding gap, e quindi di equilibrio tra risparmio e investimento, e quello di moltiplicatore monetario che riguarda principalmente le dinamiche di crescita economica. Se non esiste risparmio esso non può essere creato espandendo il credito: questo è stato forse il principale monito lasciatoci dalla crisi americana.
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Luigi Biagini
http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/economia-italiana-in-breve/2015/iteconom_101_ita.pdf pagina 10