La relazione finale della commissione bicamerale d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario affronta varie questioni. A trent’anni dal varo del Testo unico è forse necessaria una strategia di revisione dell’ordinamento del credito e della finanza.
La relazione della commissione bicamerale
La relazione conclusiva della commissione bicamerale d’inchiesta sul sistema bancario e finanziario, forse perché presentata al momento dell’insediamento del nuovo Parlamento, non ha avuto tutta l’attenzione che meritava. Ma la ragione principale sta forse nel fatto che i suoi lavori si sono svolti in un contesto non più caratterizzato da quei gravi punti di crisi, che invece avevano fatto da cornice all’attività della commissione istituita nella XVII legislatura, con analoghe finalità, dalla legge 12 luglio 2017, n. 107.
Dal clima agitato…
Negli otto mesi della sua attività, la contrapposizione politica tra i componenti di quella commissione fu molto “franca”, al punto che alla fine dei lavori furono presentate, oltre a quella della maggioranza, ben tre distinte relazioni di minoranza. Tanta vivacità originava dalla particolare situazione del sistema bancario italiano, con la risoluzione di quattro banche in amministrazione straordinaria (Banca delle Marche, Popolare dell’Etruria e le Casse di risparmio di Ferrara e di Chieti), la liquidazione di Veneto Banca e di Popolare di Vicenza, e con l’emergere di gravi danni a piccoli azionisti e sottoscrittori di obbligazioni. Per i gruppi parlamentari di opposizione, la commissione d’indagine doveva essere principalmente il terreno d’elezione per l’individuazione dei colpevoli, ma l’impressione, confermata poi dal sostanziale insuccesso dei suoi lavori, era soprattutto quella di un tentativo di lucro elettorale.
…alla normalità della nuova
Nelle intenzioni di alcuni partiti, questo avrebbe dovuto essere anche il filo conduttore della nuova commissione istituita con la legge 26 marzo 2019, n. 28, poiché, si legge nel disegno di legge all’origine dell’istituzione, “Le banche, custodi dei soldi dei risparmiatori, sono da sempre oggetto di scandali e vicende poco chiare”. Fortunatamente però, in ragione del cambiamento del clima politico, l’andamento dei lavori ha preso un’altra strada, approfondendo la conoscenza del sistema creditizio con attenzione al suo funzionamento e agli assetti regolamentari. Un’influenza, al riguardo, l’hanno sicuramente avuta le preoccupazioni manifestate dal presidente Sergio Mattarella nella lettera inviata ai presidenti delle due Camere al momento della promulgazione della legge istitutiva della commissione. Il Quirinale li invitava a vigilare affinché, per esempio, i commissari nella loro attività non debordassero negli ambiti di competenza delle autorità di vigilanza e non interpretassero i loro compiti tanto estensivamente da occuparsi anche delle strategie e delle scelte gestionali dei singoli istituti di credito.
Una soluzione per le sofferenze bancarie
La parte più interessante della relazione finale si concentra sulla gestione dei crediti in sofferenza sui mutui ipotecari. Fin dal 2016, in più di un articolo su questo sito, abbiamo formulato alcune ipotesi, con molte assonanze con quanto emerge dal lavoro della commissione, per far sì che la liberazione dei bilanci delle banche da quei crediti non comportasse necessariamente la perdita delle abitazioni da parte dei loro proprietari non più in grado di pagare le rate dei mutui. La commissione, ora, ha elaborato una proposta con uno schema operativo dettagliato.
Lo schema è questo. Un fondo immobiliare dedicato dovrebbe essere lo strumento cui ricorrono le banche creditrici e i proprietari degli immobili debitori per risolvere il loro rapporto relativamente ai crediti sofferenti. Il suo intervento può essere chiesto da uno dei due soggetti e deve sempre essere accettato dall’altro. Il fondo acquista dal debitore l’immobile, pagando alla banca un prezzo non superiore al valore contabile netto della sofferenza iscritto al bilancio della banca, oppure del prezzo al quale essa l’ha eventualmente pagato, oppure lo acquista al valore che può costituire una base d’asta o a quello definito dal consulente tecnico d’ufficio in caso di procedimento esecutivo. Il pagamento di questo prezzo chiude l’esposizione debitoria dell’ex proprietario nei confronti della banca, la quale in questo modo può accelerare lo smaltimento delle sofferenze. Il proprietario potrà continuare a disporre dell’immobile per dieci anni, pagando un canone annuo non superiore al 5 per cento del prezzo pagato dal fondo, e riacquistarlo, alla fine di quel periodo, a un prezzo stabilito in partenza. Se l’ex proprietario non è interessato alla locazione o all’acquisto, il fondo può vendere l’immobile al valore di mercato.
Poiché questo valore è sempre maggiore del prezzo pagato alla banca, il fondo realizza una plusvalenza: per equità, una parte dell’incremento di valore dovrebbe essere attribuito anche all’ex proprietario. Come più dettagliatamente indicato nei nostri precedenti articoli, ferma restando buona parte dello schema della commissione, questo risultato può essere ottenuto se il fondo, per il prezzo pagato, non diventasse proprietario al 100 per cento dell’immobile, ma solo per una quota pari all’incidenza di quel prezzo sul suo valore di mercato, mentre l’altra quota resterebbe al proprietario originario.
La fine anticipata della legislatura non ha permesso la presentazione di una proposta di legge sulla base dell’articolato allegato alla relazione della commissione. È opportuno tornare a occuparsi celermente dell’argomento perché le commissioni passano, mentre le sofferenze bancarie e i pignoramenti delle case restano, anzi è probabile che crescano.
Oltre le sofferenze
Sarebbe, però, riduttivo circoscrivere il contributo della relazione solo alla problematica dei crediti deteriorati: anche attraverso i contributi raccolti nelle audizioni dei protagonisti del sistema bancario, emergono altre suggestioni.
Si va dalla possibile estensione delle tutele degli investitori al rafforzamento dell’operatività degli organismi alternativi di soluzione delle controversie (Acf e Abf), alla valorizzazione della consulenza indipendente.
La commissione si sofferma, tra l’altro, sulla governance delle fondazioni bancarie auspicando una maggiore trasparenza informativa; sulla funzione delle partecipazioni pubbliche negli intermediari; sul ruolo delle banche di credito cooperativo per chiedere attenzione alla loro vocazione mutualistica e alla presenza nelle economie di comunità, senza tralasciare la problematica di una più razionale organizzazione dell’architettura della vigilanza.
Sono richiami importanti, naturalmente da approfondire, analizzare attentamente e discutere, e che forse avrebbero meritato una cornice più organica e l’inserimento in un quadro espositivo meno frammentato. Segnalano, però, l’esigenza per il regolatore, non soltanto di tamponare criticità congiunturali come i crediti deteriorati, ma di dotarsi di uno “sguardo lungo” per una strategia di manutenzione e revisione di un ordinamento del credito e della finanza che richiede interventi di più ampia portata, anche al di là delle pur utili indicazioni della relazione conclusiva della commissione. L’anno prossimo celebreremo i trent’anni del Testo unico bancario: potrebbe essere una prima occasione di riflessione.
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Maurizio Cortesi
Non capisco perché se il proprietario non paga le rate del mutuo dovrebbe essere poi in grado di riacquistarlo e pure con una plusvalenza? Se vende ha tutti i soldi per pagare l’affitto di mercato della sua ex casa o di un’altra più conveniente e il fondo immobiliare nuovo proprietario dovrebbe pensare solo ad affittare, magari investendo nell’efficienza energetica dell’immobile, e magari proponendo soluzioni innovative nella locazione per offrire una vera alternativa alla proprietà, specie per i giovani. Così è un altro regalo ai proprietari i veri poteri forti di questa pseudo repubblica che è l’Italia.