La guerra ha devastato la già debole economia ucraina. La perdita di capitale umano è enorme, con milioni di persone costrette a rifugiarsi all’estero o in altre zone del paese. La ricostruzione del mercato del lavoro richiederà quattro assi di intervento.
Il contesto pre-conflitto
Qual era la situazione del mercato del lavoro in Ucraina prima dell’invasione russa dello scorso 24 febbraio? Qual è stato l’impatto della guerra su lavoratori e imprese? Cosa possono insegnare i conflitti del passato recente in Est Europa? Auspicando che la guerra finisca presto, che fare dopo?
Già prima della guerra, la situazione in Ucraina presentava alcune debolezze strutturali, esacerbate dalla pandemia. Tra queste un alto tasso di disoccupazione (10 per cento nel 2021) e una bassa partecipazione al mercato del lavoro (dieci punti in meno della media Ocse), soprattutto delle donne (56 per cento contro il 68 per cento degli uomini nella fascia 15-70 anni). Il 17 per cento degli occupati lavorava ancora nell’agricoltura, e una persona su cinque lavorava in nero. Tutto questo in un contesto demografico caratterizzato da una popolazione sempre più vecchia e un basso tasso di fecondità, che comporta in prospettiva una consistente riduzione dell’offerta di lavoro effettiva.
L’impatto della guerra è stato violentissimo. L’invasione russa ha stravolto il mercato del lavoro ucraino, causando un enorme mismatch, geografico e settoriale, di domanda e offerta di lavoro e provocando un esodo di capitale umano senza precedenti.
Dal lato dei lavoratori, la guerra ha costretto più di un terzo della popolazione ucraina (stimata nel 2021 a 41 milioni di persone) a spostarsi. Circa 7 milioni di persone sono rifugiati interni, mentre altri 7,9 milioni circa sono rifugiati all’estero: la più grande crisi migratoria in Europa dopo la seconda guerra mondiale (dati Unhcr), con donne e bambini che rappresentano circa il 90 per cento dei rifugiati. Di questi, 4,8 milioni sono registrati in Europa con la Temporary Protection Directive, una misura che permette loro di scegliere il paese di destinazione e lì lavorare subito (questo ha permesso una distribuzione più equilibrata dei rifugiati, se comparata ad altre ondate).
Anche le imprese si sono dovute spostare, spesso in direzione diversa da quella dei lavoratori. Studi sulle piccole e medie imprese ucraine mostrano come, a settembre e rispetto alla situazione pre-invasione, un terzo di queste avesse fermato completamente o quasi l’attività e un altro 50 per cento avesse comunque ridotto la mole di lavoro. Ci sono poi da considerare anche gli effetti indiretti della guerra: l’interruzione delle catene del valore, i danni infrastrutturali a luoghi di lavoro e mezzi di trasporto, i cambiamenti nella domanda di prodotti.
L’esperienza dei paesi est-europei coinvolti in conflitti nel passato recente (Bosnia-Herzegovina, Georgia, Kosovo, per esempio) ci insegna che la guerra ha effetti negativi di lungo periodo sulla salute e il capitale umano della forza lavoro e che è molto difficile reintegrare chi è emigrato per sfuggire al conflitto e ha deciso di rientrare al termine della guerra.
Alla luce di tutto ciò, e assumendo che la guerra finisca, un mercato del lavoro migliore richiede quattro assi di intervento.
Investire nel capitale umano per il futuro
Pandemia e guerra negli ultimi tre anni hanno aperto voragini nella carriera scolastica dei ragazzi ucraini, e rimediare ai gap dovrebbe essere prioritario nella ricostruzione del paese con programmi di recupero scolastico (tutoraggio, supervisione, doposcuola, campi estivi).
Allo stesso tempo, la guerra ha distrutto milioni di posti di lavoro, che in parte non ritorneranno. Perciò, fondamentale sarà la formazione dei lavoratori, facilitando la riallocazione verso i settori che saranno probabilmente più attivi nel post-guerra (come edilizia, ingegneria, salute, informatica).
Usare meglio il capitale umano esistente
Sarà importante incoraggiare la partecipazione al mercato del lavoro delle donne, supportando allo stesso tempo la natalità (ossia rafforzando la rete di asili nido e scuole materne), e prevenire la diffusione della disoccupazione tra i giovani, guardando magari alla tradizione tedesca delle scuole universitarie professionali (Fachhochschule).
Inoltre, una delle grandi sfide sarà l’integrazione nei mercati del lavoro locali delle persone sfollate internamente al paese. Queste persone hanno perso sia capitale fisico, sia le reti sociali in cui erano inserite. Serviranno trasferimenti ripetuti (per evitare il rischio povertà) e una-tantum (per facilitare l’accesso al credito e stimolare la ripartenza), assieme a programmi di occupazione sussidiata, ad esempio nei lavori pubblici, e di assistenza nella ricerca del lavoro.
Proteggere i gruppi più vulnerabili
In un contesto così difficile, perdere il lavoro può avere conseguenze molto serie. Per questo sarà importante riformare i sussidi di disoccupazione, espandendo l’assicurazione parziale: misure che permettano ai percettori di indennità di combinarle con lavori a basso reddito.
I veterani di guerra saranno potenzialmente un milione al termine del conflitto. L’evidenza suggerisce che il ritorno alla vita civile non è facile: andranno varate misure ad hoc (crediti d’imposta per chi li assume, sussidi alla formazione e altro ancora). Per garantire la sostenibilità del sistema pensionistico ucraino, non saranno praticabili pensionamenti anticipati su larga scala, anche se per alcune coorti vicine alla pensione si potrà immaginare uno scivolo tramite un’estensione dei sussidi di disoccupazione.
Attenzione andrà data ai lavoratori fragili. Il numero di persone fisicamente colpite dalla guerra continua a crescere e le conseguenze psicologiche saranno incalcolabili. Nella ricostruzione, bisognerà prevedere spazi e opportunità di lavoro adatte a persone con disabilità, oltre a strumenti significativi di supporto psicologico.
Promuovere il ritorno delle idee, se non delle persone
L’Ucraina ha subito un’importante riduzione di popolazione, e la perdita potrebbe non essere temporanea. Più la guerra si protrae, maggiore è la probabilità che i rifugiati rimangano nei paesi ospitanti anche dopo la fine del conflitto. Ciò nonostante, ci possono essere interazioni significative tra i rifugiati e la forza lavoro in Ucraina: internet e la vicinanza geografica possono ridurre in modo significativo la portata del brain drain associato alla migrazione di lavoratori qualificati. L’aumento più consistente delle esportazioni dall’ex Jugoslavia è stato registrato proprio nei settori con la più alta percentuale di rifugiati in Germania. La pandemia ha ampliato il lavoro da remoto: può essere un ulteriore strumento per riportare in Ucraina parte del capitale umano perso durante il conflitto e non fisicamente rimpatriato.
Questi interventi potranno essere effettuati con il supporto tecnico ed economico dell’Unione europea. Come è avvenuto in passati allargamenti dell’Unione, il processo di accesso all’Ue dell’Ucraina può stimolare un profondo miglioramento della qualità delle istituzioni del paese. Una serie di interventi dovrà essere finanziata dalla Ue anche estendendo lo strumento Sure (temporary support to mitigate unemployment risks in an emergency). I progressi compiuti nell’attuazione di queste politiche dovranno essere costantemente monitorati. Dotare l’Ucraina di un mercato del lavoro dinamico e moderno è nell’interesse dell’intero continente.
* L’articolo è tratto dal paper “The Labor Market in Ukraine: Rebuild Better”, scritto assieme agli economisti ucraini Marianna Kudlyak (Fed San Francisco) e Oleksandr Zholud (National Bank of Ukraine). Il paper è uno dei capitoli del libro “Rebuilding Ukraine: Principles and policies”, pubblicato dal Cepr e coordinato da Yuriy Gorodnichenko, Ilona Sologoub e Beatrice Weder di Mauro. Il libro è disponibile qui.
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