Le banche quotate italiane hanno effettivamente aumentato la rappresentanza femminile nelle posizioni di vertice, come prescritto dalla legge Golfo-Mosca, senza mettere in atto pratiche per aggirare la norma. Ma non c’è stato l’auspicato cambio culturale.

Dodici anni di legge Golfo-Mosca

A luglio saranno trascorsi dodici anni dall’introduzione della legge 120/2011 (la cosiddetta Golfo-Mosca) sulla diversificazione di genere nelle posizioni di vertice delle imprese italiane. La norma si proponeva di aumentare il peso relativo (almeno un terzo) del genere meno rappresentato (tipicamente le donne) negli organi sociali (consiglio di amministrazione e collegio sindacale o consiglio di supervisione) delle società quotate e di quelle a controllo pubblico. Nata come misura temporanea (per tre rinnovi), il legislatore ne ha esteso la validità per ulteriori tre rinnovi con la legge di bilancio sul 2020 (legge 160/2019) e ha aumentato ulteriormente la quota riservata al genere meno rappresentato (almeno due quinti). 

In un recente lavoro, abbiamo voluto valutarne gli effetti nel settore bancario italiano. Ci siamo posti tre principali quesiti: (1) le banche quotate – direttamente soggette alla normativa – hanno adeguato la composizione dei loro organi apicali alla prescrizione regolamentare? O, in alternativa, hanno attuato strategie di aggiustamento per attenuarne gli impatti? (2) L’aumento della quota di donne ha determinato un incremento della diversità dei board lungo altre dimensioni osservabili (quali età, esperienza, cittadinanza, prossimità geografica)? (3) La legge – che nasce e rimane una norma a scadenza – ha modificato nei suoi primi dieci anni di applicazione, anche solo parzialmente, le pratiche aziendali delle nomine dei membri dei board anche al di fuori del perimetro delle imprese bancarie direttamente soggette?

Figura 1 – Quota di donne nei consigli di amministrazione e nei collegi sindacali delle banche (2007-2019)

Note: dinamica della quota di donne in consigli di amministrazione e collegi sindacali per banche quotate, banche in gruppi quotati (cioè, banche in cui la capogruppo è quotata) e banche in gruppi non quotati. Le linee verticali indicano il periodo trascorso tra l’approvazione della legge Golfo-Mosca e la sua applicazione. Fonte: elaborazioni su dati Banca d’Italia (Del Prete et al., 2022).

Un bilancio con luci e ombre

In primo luogo, abbiamo verificato che le banche italiane quotate abbiano effettivamente corrisposto alla prescrizione di legge, accrescendo la rappresentanza femminile nelle posizioni apicali, senza mettere in atto pratiche volte ad aggirarne i dettami. La quota di donne nei consigli di amministrazione e nei collegi sindacali è passata, rispettivamente, dal 2,5 e 4,8 per cento nel 2010 al 38,9 e 38,0 per cento nel 2019 (ultimo anno prima del rinnovo della norma, figura 1). Le banche che erano quotate poco prima dell’approvazione della legge non sono uscite dal listino negli anni a seguire, e nemmeno hanno attuato modifiche ai regimi statutari (come la variazione del numero dei seggi nei collegi) per diluirne gli impatti. Non è stato così in altri contesti: in Norvegia, l’introduzione di una norma sulle quote di genere nel 2003 determinò cambi societari tali da evitarne l’applicazione per quasi la metà delle imprese potenzialmente soggette.

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Tuttavia, in merito agli altri due quesiti qualche ombra emerge. 

Al netto dell’ingresso di donne in entrambi gli organi sociali (decisionale e di controllo), la composizione dei rappresentanti non sembra essere cambiata sostanzialmente rispetto ad altre caratteristiche individuali che avrebbero potuto accrescerne la diversità. Quindi, è sì aumentato il numero di donne, ma queste hanno caratteristiche di età, esperienza, cittadinanza e prossimità geografica simili ai rappresentanti uomini. Pertanto, la diversità è aumentata quasi esclusivamente per l’apporto della componente di genere. 

Infine, la norma temporanea, che nel suo spirito avrebbe dovuto innescare buone pratiche aziendali di parità di genere nel governo societario, non sembra aver generato effetti indiretti al di là del suo ambito di applicazione stretto, per esempio coinvolgendo altre banche con pratiche e cultura aziendale comuni rispetto a quelle direttamente soggette alla legge. In particolare, abbiamo verificato che la quota di donne non è aumentata nelle banche che, pur non essendo quotate, appartenevano a gruppi la cui capogruppo era un intermediario quotato (figura 1), sottintendendo difficoltà di cambiamento di prassi consolidate nella cultura di governo societario. Ciò sembra suggerire che, allo scopo di favorire un salto culturale nella corporate governance di imprese anche non finanziarie – come nello spirito originario della legge –, risulta rilevante non solo fissare obiettivi di diversità negli organi di governo, ma anche ampliare la platea dei soggetti a cui si applica la normativa, estendendola, sulla scia dell’esperienza di altri paesi europei, a società medio-grandi non quotate.

* Le idee e le opinioni espresse in questo articolo sono da attribuire esclusivamente agli autori e non impegnano in alcun modo la responsabilità dell’Istituto di appartenenza.

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