Le “spunte blu” prima di Twitter e ora anche di Meta segnalano un cambio di modello di business su Internet. Finito il tempo della crescita impetuosa, si punta a ottenere ricavi anche dagli utenti e non solo dagli inserzionisti pubblicitari.
La spunta blu di Twitter e Meta
A proposito di conformismo e innovazione da parte delle imprese, viene in mente la famosa barzelletta del tizio che prende l’autostrada contromano, e sentendo alla radio la notizia di un pazzo che prende la strada contromano commenta da solo “Un pazzo? Qui ci saranno almeno duecento pazzi!”
Ebbene, fino a qualche mese fa un largo numero di commentatori aveva sostanzialmente liquidato come disperata o dissennata la decisione da parte del neo-proprietario Elon Musk di spingere con forza sugli abbonamenti mensili a pagamento “Twitter Blue”, facendo più o meno garbatamente intuire un giudizio sottostante di “pazzia” intorno al personaggio. Invece, in queste ultime settimane sembra che Musk – più che agire da pazzo – abbia anticipato o aperto la strada ad altri soggetti forti tra i social network, e in particolare a Meta, proprietaria di Facebook e Instagram, la quale ha deciso di prendere la stessa direzione sull’autostrada dei ricavi, ovvero vendere con abbonamento mensile o annuale la famosa “spunta blu”.
Con “spunta blu” si intende naturalmente l’attestato grafico – visibile a tutti – che denota un soggetto verificato, cioè un soggetto la cui vera identità viene garantita dal social network stesso, in quanto ha mostrato un suo documento di identità o comunque ha pagato con carta di credito l’abbonamento stesso.
Un modello ripreso dai giornali
Questo modello di business per un “mercato a due lati”, in cui i ricavi pubblicitari vengono di fatto integrati da ricavi da abbonamenti, ricalca di fatto altri casi piuttosto antichi, come i giornali e le riviste cartacei, in cui gli occhi degli utenti – graditi agli inserzionisti pubblicitari – non ricevono i contenuti gratis ma devono pagare per ottenere il servizio, cioè per leggere.
Le differenze rispetto a giornali e riviste non sono però irrilevanti:
1) i social network si basano essenzialmente sull’idea che gli utenti stessi generino contenuti (Ugc: “User Generated Content”), e dunque in questo caso gli utenti pagherebbero non soltanto per vedere i contenuti altrui, ma anche per inserire i propri, potenzialmente evidenziati in maniera più forte dall’algoritmo del social network rispetto agli utenti che non pagano;
2) come è implicito nel punto precedente, si instaura una convivenza tra utenti paganti e non paganti, che dal punto di vista tecnologico non era possibile con i giornali cartacei, mentre lo è senz’altro possibile per giornali e riviste online, in cui gli utenti paganti hanno accesso a un numero maggiore di contenuti rispetto a chi non paga (anzi: è probabile che la mossa di Twitter e Meta costituisca di fatto un’imitazione del meccanismo utilizzato da questi ultimi soggetti, appartenenti al cosiddetto Internet 1.0).
Dal punto di vista dell’esperienza degli utenti e della loro disponibilità a pagare per la “spunta blu”, la questione cruciale sta nel capire quali saranno le differenze che giustificano – o non giustificano – l’esborso rispetto a un’esperienza gratuita. Nel caso di Twitter Blue elementi interessanti consistono nella possibilità di modificare i tweet già scritti nella mezz’ora successiva all’invio iniziale e di scriverne di lunghi, con un limite di 4 mila caratteri che ricorda quello tipico degli editoriali sui giornali tradizionali, rispetto agli attuali 280 per gli utenti non paganti (la parte eccedente i 280 caratteri viene mostrata soltanto se l’utente che legge il tweet clicca la scritta in blu “mostra altro”).
Per ora Meta ha lanciato il servizio “Meta Verified” in Australia e Nuova Zelanda, ma ha già annunciato di volerlo estendere ad altri paesi nelle prossime settimane. Il principale valore aggiunto di Meta Verified dovrebbe consistere nella maggiore visibilità all’interno dei due social network di coloro che acquistano l’abbonamento rispetto agli utenti non paganti.
Il mercato dei social network è estremamente concentrato, per cui Musk e Zuckerberg che prendono l’autostrada dei ricavi contromano – per tornare alla metafora iniziale – non assomigliano tanto a due macchine utilitarie quanto piuttosto a due carri armati, rispetto alle centinaia di macchine che per ora la percorrono nella direzione opposta.
Chi sarà il prossimo carro armato dei social a imitare i primi due? Il settore non è esattamente lo stesso, ma credo che il prossimo grande soggetto che andrà nella direzione del “farsi pagare” – in questo caso del farsi pagare un prezzo maggiore rispetto a quello annuale forfetario di 49,99 euro – sarà Amazon con Amazon Prime, che permette spedizioni postali illimitate gratuite e l’accesso ai contenuti di Prime Video.
Perché faccio questa previsione? Sono convinto del fatto che l’insieme di ciò che su Internet era gratis, o coperto da un prezzo insufficiente a creare profitti, più o meno gradualmente e inesorabilmente diventerà più piccolo, perché è ormai finita la fase della crescita impetuosa di questi business. Quella fase giustificava la scelta di far pagare nulla o poco la base degli utenti per allargarla, lasciando l’onere dei pagamenti ad altri soggetti come gli inserzionisti pubblicitari. Se la base degli utenti è stagnante o cresce di poco, non c’è più spazio contabile per un regalo a favore dei pionieri nell’utilizzo di quel social network o di quel servizio che “ormai usano tutti” (o quasi).
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lorenzo
Chi paga vede anche la pubblicità?